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Intervista a Gabriele Lideo “Paciugo poetico tipo uova strapazzate”


Pubblichiamo l’intervista con il poeta Gabriele Lideo in formato video e ringraziamo  Maria Basile per la lettura delle poesie che sono riportate alla fine della presentazione che lo stesso poeta ha scritto:

GABRIELE LIDEO

Gabriele Lideo
Paciugo poetico tipo uova strapazzate

 

Presentazione

Questa raccolta di poesie è molto poliedrica, tratta di vari argomenti permeati di una vena molto triste.

Le poesie in essa contenute sono un concentrato di nostalgia, malinconia, gioia, entusiasmo e tristezza.

MARIA BASILE

 

Si passa da uno stile molto contemporaneo e innovativo ad uno arcaico, dall’essere prolisso ad essere essenziale. Un miscuglio di generi ed emozioni che raccoglie tutto il corollario che una persona contiene; per questo il titolo: “Paciugo poetico, tipo uova strapazzate” perché, anche se non lusinghiero, addensa un po’ il concetto di quello che volevo esprimere, ossia non avere limiti, essere ermetico, conciso, visionario, ebbro, pazzo, tenero, gracile e mansueto. Il mio io, l’io in prima persona singolare, frastaglia ogni mia poesia addentro la raccolta senza soffermarmi su altri soggetti. Per me il concetto di poesia significa estrapolare dall’interno tumefatto, dalle viscere, qualcosa di liliale e illibato, come se le brutture che ho conosciuto nel mondo fossero uno stimolo a proseguire sulla via della redenzione attraverso l’espressione della mia sofferenza e del mio gaudio, e allora dolore e gioia si mescolano. Tutte le emozioni e gli stili si condensano in un’eruzione vulcanica di euforia spaziale che mi faceva trasecolare. Mentre scrivevo questa raccolta ero ammaliato dalla bellezza, quasi in trance, cercavo di scovare qualcosa di indicibile dentro di me, di solcare qualsiasi ostacolo che mi frenava dal dire ogni cosa che mi saltava in mente, spogliandomi di fronte al mondo, concedendomi la grazia di elargire ogni mia fragilità senza paura di giudizio e spero di esserci riuscito. Questo era il mio intento anche se ammetto di essere, delle volte, molto esagerato e senza filtri, non mi importava quando scrivevo perché mi dicevo: “se devo scrivere lo farò nella forma che più preferisco andando incontro a rifiuti, giudizi o indifferenza” è sempre stato questo il motto che mi ha spinto ad essere tanto fuori dai luoghi comuni e dalla tradizione accademica. Scrivevo e scrivo ancora per elevarmi,

non per compiacere un pubblico. Sono individualista in questo senso, perché esprimo tutto me stesso, e il mio me stesso, vuole imbrattare, vuole sperimentare, senza soffermarsi ad un solo e unico flusso o stile, mischiare tutto ma con la vena di tristezza di cui parlavo prima perché la mia vita è stata un trambusto di dolore e fatiche sin da piccolo e questo spleen, questo stato d’animo malinconico, pur mischiando vari stili, mi distingue come poeta; è il mio stampo, il mio marchio. Non posso abiurare me stesso rifiutando di essere triste, non me ne frega niente, potrei scrivere per tutta la vita senza mai essere pubblicato, pace, io tutto il cuore ce l’ho messo sta agli editori riconoscere se ho talento, io, per mio conto, ho un’immensa autostima di me stesso, che non è boria o megalomania, semplicemente so di avere delle qualità e non saranno i rifiuti a bloccarmi, scrivo per aprire il mio petto al mondo e far vedere a tutti il mio cuore e questa raccolta (che è solo la prima di altre cinque) penso sia un bell’esempio di ciò che intendo e del significato che ha per me l’arte.

 

TRISTEZZA

A volte,

Una tristezza, Una tristezza

Come un’immagine Freddata di te

Che cadi giù

Da un cupo rompicollo E affondi nel buio,

Come cadere

Nel vuoto nero dell’universo

O nel pecioso fondale oceanico,

Perché non si contano più

Le volte in cui ti

hanno  violato,

Offeso,

Gettato.

 

Più di mille parole

E io amo la letteratura,                              Ma il tuo

Endocarpo ineffabile

Appena sussurrato

Al labbro da un bacio,

Mi ha riempito,

Più di orde di parole

Superbe ma intangibili.

 

E non lasciarti andare se le luci si spengono

 

E non lasciarti andare se le luci si spengono Perché i matti sognano perversi,

Con una brama convulsa di decollare

Che supera gli albatri,

Danzano sublimi riflettenti lumi tra le stelle; Furore rugliano sulla tenebra accigliata,

E magie spargono

Come semenze di spirito, Sulla bruma incantata.

 

E non lasciarti andare se le luci si spengono La cupa liturgia della tenebra

È benedetta dalla luce scomparsa, Fondamento di forgiatura di eroi Con lorica ammaccata

E foga pugnace per la lizza stellare. Non turare con zaffi la verve

Che da diecimila anni gronda, Pompa,

Per imbozzimare,

Con azzurrità celesti il mondo.

 

E non lasciarti andare se le luci si spengono Non temere l’occaso

Tiepido araldo dell’abbuiata notte,

Perché lo sberlucicchio di pulsanti particole Inonderanno lumeggianti la volta

E la strenna sarà la speme

Di una possibile aurora oltre quelle fatidiche ore, La notte palpita un gran nitore,

E tu sciocco che lo avevi scordato.

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