La società sofistica
Written by Salvatore Romeo, 16 gennaio 2025
“far apparire vero il falso e falso il vero”
La Sofistica fu una corrente filosofica importante tra il V e il IV sec. A.C. e la sua importanza deriva principalmente dall’avere spostato l’interesse della cultura dall’esplorazione della natura e dalla ricerca dell’archè del mondo e della realtà sui valori e sugli ideali umanistici. In sostanza, i sofisti indirizzarono l’asse delle loro riflessioni dalla physis all’uomo e a tutto ciò che lo distingueva come individuo dotato di pulsioni, desideri, istinti e bisogni e come membro di una società, e quindi interessato ai valori della politica, della religione, dell’etica e dell’educazione. Nessuna accezione negativa, pertanto, poteva essergli attribuita, tranne quella che gli venne assegnata successivamente, specialmente da Aristotele, che considerava i sofisti come “smerciatori di una sapienza apparente”. Ciò derivava, essenzialmente, dal fatto che il sofista nella ricerca di una verità faceva ricorso a tutta una serie di ragionamenti capziosi, che in definitiva avevano poco a che fare con “la Verità” delle cose e molto, invece, con la sua verità soggettiva, giungendo finanche ad offuscare il vero e a rafforzare il falso, rivestendolo delle apparenze del Vero. L’epoca nella quale si sviluppò la Sofistica stava conoscendo un periodo lungo e lento di inesorabile decadenza dell’aristocrazia e di parallela crescita dell’importanza del popolo, ovvero di quel demos che grazie all’enorme espansione dei commerci e all’allargamento dei confini conobbe un’era contrassegnata da un enorme afflusso di forestieri verso Atene, condizione che comportò un contatto con esperienze diverse, conoscenze nuove, usi, costumi e leggi totalmente differenti da quelli a cui era abituato. Tutto questo contribuì a determinare un’atmosfera di disorientamento e di smarrimento, entro la quale era oltremodo difficoltoso riuscire a rintracciare punti di riferimento valoriali e idealistici fermi e condivisi. La frammentazione delle conoscenze e il declino dei valori e degli ideali tradizionali, offuscati dalla troppa diversità e dalle troppe novità che esigevano una digeribilità troppo repentina, comportò il sorgere di una cultura nella quale chi riusciva a imporre, non con la forza dei muscoli, bensì con quella dei ragionamenti e delle parole, la propria Verità, che spesso coincideva solamente col proprio punto di vista e con le proprie convinzioni, riusciva ad emergere e ad acquistare il diritto conferitogli da una certa virtù politica. Tutti, pertanto, potevano aspirare al potere e al governo della polis, bastava che fossero capaci di far valere le proprie idee. Questo è, indubbiamente, il sacro principio della democrazia, nella quale dovrebbe teoricamente emergere il più capace e il più meritevole, per virtù, onestà, sapienza e saggezza. Ma i sofisti ci hanno insegnato che è possibile con le parole far apparire vero il falso e falso il vero. Così come la crisi dell’aristocrazia determinò la possibilità di accedere al potere di cerchie sempre più vaste di popolo, la crisi dell’aristocrazia culturale determina oggi il declino dell’aretè, ossia della virtù, e comporta un relativismo culturale entro il quale chi riesce a diffondere meglio e in modo capillare le proprie argomentazioni emerge sugli altri. Oggi, epoca globalizzata e senza confini definiti, tale capacità oratoria viene utilizzata soprattutto in politica e rafforzata non tanto dalla qualità delle idee, quanto dalla ridondanza, dal grado di accettazione della massa, che avvalora e rende incontrovertibile la propria verità, e dalla forza della diffusione, ampliata e amplificata dai mezzi di diffusione sociali, da internet, dalle TV e dai giornali, che rappresentano attualmente lo strumento di persuasione più efficace, tanto da costituire l’obiettivo di coloro che mirano al governo di una Nazione.