Atteggiamenti e comportamenti aggressivi nel WEB
Written by Salvatore Romeo, 11 dicembre 2024
La narrazione moderna, principalmente a causa dell’enorme diffusione degli strumenti di condivisione delle informazioni che non si limitano più alla televisione, alla radio e ai giornali, ma che trovano invece una cassa di risonanza smisurata, in tutti i sensi, nelle piattaforme digitali, unitamente all’iperbolica divulgazione di alcune notizie, di per sé doverosamente da stigmatizzare, rischia di modificare la nostra percezione della realtà effettiva e di prospettarci una società oramai avviata sulla strada della decadenza e del declino morale e umano.
Non vi è dubbio che nella nostra epoca i fenomeni violenti siano in assoluto aumentati nel mondo, ma dobbiamo considerare anche l’enorme espansione della popolazione mondiale, per cui è una derivazione statisticamente matematica e ineludibile che parallelamente all’aumento demografico aumentino anche tutte le tipologie di comportamento, inclusi quelli violenti e aggressivi.
Chiaramente, questa affermazione non vuole assolutamente minimizzare questi fenomeni, né tantomeno giustificarli, ma solo cercare di dar loro una cornice un po’ più realistica rispetto a quella che in maniera fisiologica, in virtù di quanto detto prima, siamo portati a percepire.
Una simile considerazione va fatta anche per il fenomeno del Bullismo e, conseguentemente, anche del Cyberbullismo, che ne è il corrispettivo virtuale e di cui possiede tutte le caratteristiche tranne la fisicità, soprattutto in considerazione dell’enorme diffusione del WEB.
Spesso sentiamo affermare che la violenza è in gran parte il prodotto di una sottocultura, che si manifesta con maggiore frequenza nei luoghi nei quali il livello culturale generale è più basso rispetto ad altri ambienti e che i soggetti che la praticano siano a loro volta anch’essi scarsamente dotati di cultura in senso lato.
In realtà, invece, la cultura non è in assoluto un’alternativa alla violenza.
Può essere senza dubbio un antidoto, nella misura in cui amplia ed eleva la mente e lo spirito del singolo risvegliando in lui i sentimenti di empatia e di solidarietà connaturati in ognuno di noi, ma fondamentalmente essa agisce principalmente come elemento regolativo della violenza, controllandola e disciplinandola all’interno di espressioni consentite in un determinato gruppo sociale ed entro determinati limiti, come può avvenire, per esempio, per uno stato di necessità, oppure per legittima difesa o ancora per proteggere la salute di una terza persona da un danno grave.
I ragazzi della via Paal di Molnar e il romanzo Emil di Erich Kästner, per esempio, raccontano storie di prepotenza giovanile, ma il comportamento violento in questi casi non è gratuito né tantomeno attuato per scopi malvagi, quanto, invece, compiuto nell’esigenza e nel desiderio di poter conquistare uno spazio di libertà e di giustizia, e ambedue assurgono metafore della lotta che bisogna combattere per affermare i propri diritti e difenderli anche contro ostacoli apparentemente insormontabili.
D’altra parte, in un certo senso le manifestazioni della violenza sono un prodotto del clima culturale predominante in una data società e in un dato periodo storico, divenendo in sostanza un comportamento che si apprende attraverso il contesto ambientale in cui l’individuo vive e agisce.
La cultura non va però intesa come un’entità astratta ed esistente di per sé, ma è un processo dinamico, prodotto dalla collettività e comprendente una serie di ideali e un sistema di valori, di regole e di consuetudini comunemente accettati e condivisi in una specifica comunità e in una determinata epoca storica.
Quest’ultimo concetto è estremamente importante, poichè i valori in particolare sono delle variabili dipendenti, in quanto mutano nel corso del tempo con il mutare del clima culturale, politico ed economico di una società e ciò che poteva essere uno scandalo o un atteggiamento imbarazzante, se non intollerabile, qualche decennio fa oggi può apparire invece accettabile e normale.
Non è ovviamente il nostro caso, poiché sia il Bullismo che il Cyberbullismo costituiscono delle devianze sia se li consideriamo nel nostro tempo e nella nostra cultura, sia se li collochiamo in altri contesti e in altre epoche.
A volte queste azioni possono venire adottate come forma di ribellione e di autoaffermazione personale, per vedere fino a che punto valgono le regole, i limiti e i divieti imposti dagli adulti e dal sistema in cui si vive, oppure solamente per sentirsi in sintonia e accettati all’interno di un qualche gruppo, altre volte denunciano, invece, un sottostante disturbo della personalità o quantomeno una sua fragilità.
Spesso sentiamo parlare di comportamenti violenti attuati da gruppi di persone, come può accadere durante talune manifestazioni dimostrative, o tra le contrapposte tifoserie degli stadi, o ancora nelle aggressioni da cosiddetto “gruppo selvaggio”, specialmente in azione tra alcune compagnie del “sabato sera”.
In questo caso, la violenza collettiva trova la sua spiegazione psicodinamica principale nella cosiddetta perdita dei confini dell’Identità personale, in conseguenza della quale il singolo soggetto diluisce la propria personalità e la sua identità si fonde con quella degli altri, pensando, percependo ed agendo tutti allo stesso modo: l’Io diventa, cioè, il Noi, mentre gli Altri restano al di fuori e divengono Loro, empaticamente distanti ed estranei.
In una condizione di questo tipo il singolo si deresponsabilizza, perde ogni riferimento che gli potrebbe derivare dall’applicare il buon senso e il far parte di un organismo più grande, e quindi più forte, e quindi più difensivo, gli conferisce addirittura una maggiore forza e intraprendenza nel commettere atti che in altre situazioni molto probabilmente non si sognerebbe nemmeno di fare.
E una sorta di deresponsabilizzazione si può realizzare in modo molto più evidente allorchè ci si ritrova protetti da uno schermo virtuale e spesso anonimo, come avviene nei casi di Cyberbullismo, condotta che esprime una marcata e incontrollata aggressività.
Anche se può apparire come la manifestazione di comportamenti sostenuti da una personalità forte e decisa, in genere, però, questo tipo di atteggiamenti maschera un carattere tutto sommato debole e insicuro e la presenza di un disagio interiore latente che, oltre a sfociare nella devianza può esitare in un disturbo psichico ben definito, di natura nevrotica o addirittura psicotica, più o meno grave.
La fragilità caratteriale può venire spesso mascherata dalla creazione di una identità grandiosa, dilatata in maniera fittizia e artefatta nell’immensa dimensione della Rete, la quale offre oltretutto la possibilità dell’anonimato, per cui il cyberbullo può percepirsi inattaccabile e libero di compiere comportamenti che nella realtà concreta generalmente non farebbe.
Spesso nella creazione di una nuova e virtuale identità, i ragazzi sono alla ricerca di una rivalsa da frustrazioni subite, oppure di un rifugio nel quale poter esprimere ciò che percepiscono intimamente ma che non hanno la forza di realizzare e a volte questo qualcosa di percepito può anche nascondere un senso di vuoto ideologico o di noia esistenziale che spinge a comportamenti anticonformistici e antitetici a quei valori che la società impone, situazione che troviamo suggestivamente rappresentata ne I turbamenti del piccolo Törless dell’austriaco Robert Musil.
Nel caso del Cyberbullismo, rispetto al semplice Bullismo, la violenza perpetrata in Rete si dimostra molto più invasiva e spietata poiché pone la vittima di fronte alla propria impotenza e il fatto di non poter fare nulla per difendersi o per controllare la situazione alimenta ulteriormente il senso di fallimento e di frustrazione.
La mancanza del contatto fisico nelle vessazioni virtuali non vuol dire che queste siano meno dannose rispetto alle altre, poiché spesso la sofferenza psicologica, più sottile e meno visibile di quella fisica, può compromettere in maniera significativa la qualità della vita in misura e in modo molto più grave di quella fisica.
Il vivere una reiterata e continua condizione di frustrazione e di umiliazione induce abbassamento dell’autostima, perdita della fiducia in se stessi e nelle proprie qualità personali, problemi di identità, ansia e depressione, con conseguenze estremamente negative sulla percezione del senso di Sè e del proprio valore.
L’obiettivo di colpire la sfera personale intaccandone l’autostima e la percezione del proprio valore come persona è una strategia a volte messa in atto anche con il cosiddetto linguaggio d’odio, o hate speech, un fenomeno odierno sempre più esteso e visibile che coinvolge diversi ambiti della società, dalla politica all’informazione, allo sport, e che si svolge sia in rete che al di fuori attraverso attacchi verbali estremamente violenti e offensivi contro i più fragili e i diversi per nazionalità, aspetto fisico, religione, orientamento sessuale o idee politiche.
Tutti i comportamenti che deviano dalla norma, a meno che non siano direttamente e chiaramente riconducibili a condizioni di disagio o di patologia, devono comunque essere considerati anche alla luce della capacità di autodeterminazione dell’individuo, il quale è un soggetto pensante e razionale e pertanto dovrebbe essere senz’altro in grado naturalmente di orientare i propri comportamenti, di non sottovalutarli e di prevederne le conseguenze.