A  una lettura poco attenta il romanzo  “Bella Calabria compreso l’omicidio” di Barbara Collet  potrebbe apparire nella sua trama un racconto leggero una sorta di giallo contemporaneo; in realtà tra le sue righe si cela un analisi spietata dell’ ambiente intellettuale e sociale  dentro il quale si muovono i vari personaggi .Ma c’é di più: all’autrice, di formazione teutonica, alcuni aspetti della terra calabrese suggeriscono un certo esotismo ed ecco che dipinge pregevoli acquerelli ambientali e sensoriali che di norma sfuggono a chi da sempre vive in questi luoghi e ne é assuefatto: ed ecco che all’odore della ginestra si mescola quello del mare e ad esso il profumo dei cibi tradizionali e l’occhio spazia per vallate boscose, rupi, anfratti e scogliere. È tornando all’analisi socio culturale la Collet sa mettere a nudo le contraddizioni tra fierezza, tutela di certe tradizioni, idealismo voglia di riscatto e la resa a quei poteri forti che da tempo si sono incistati in ogni ganglio della società. Ed é così che l’idealismo di Antonio, che sin da ragazzo il padre aveva allontanato da quell’ambiente per “salvarlo”, Si liquefà alla prospettiva di garantire una vita migliore alla figlia grazie al compromesso che raggiunge con l intrigante e corrotta direttrice del Museo di Reggio Calabria la quale, contaminata dalla sua stessa ambizione, non arretra davanti all evidenza scientifica pur di negare, in accordo all’Opus Dei, radici culturali  della Calabria più antiche delle cristiane. La Collet, pur venendo da un’altra sfera culturale, ha saputo intuire come un tempo la povertà o la cieca fede induceva le famiglie ad avviare qualche figlio allo studio per farsi prete, vocazione a parte. Ha intuito come persino il Santuario di Polsi non era immune alla ferrea legge dei signori della Montagna. Tuttavia il romanzo non vuole essere solo una denuncia dei mali che affliggono un popolo incline per necessità a clientelismo e compromesso; qui e là si scorgono luminosi sprazzi di ribellione, dì idealismo, dì voglia di riscatto.