Tecnologia. Pino Rotta intervista Camilla Brossa Founder & CEO di CAIA Consulting – AI e Web3
Written by Pino Rotta, 20 aprile 2025
Buonasera amici di Helios Magazine, una nuova intervista del nostro format. Questa volta abbiamo un’opportunità particolare, è un ospite che, come sempre, ci intratterrà con la sua competenza, con uno sguardo alle prospettive e ci aiuterà a capire argomenti molto di attualità. Parleremo di tecnologia, di una tecnologia che ormai è presente nella nostra vita, delle prospettive di questa tecnologia, dell’intelligenza artificiale, ma anche di un’intelligenza artificiale che ormai si proietta verso dimensioni diverse, verso dimensioni che dovremo ancora cercare di capire dove si spingeranno. I computer quantistici sono qualcosa che pur ancora in fase di sperimentazione, cambieranno completamente sia l’intelligenza artificiale che il nostro modo di interagire con queste nuove tecnologie. La nostra ospite di questa sera è La dottoressa Camilla Brossa, CEO di Gaia Consulting, consulente che ha una particolare attitudine e capacità nella gestione della tecnologia negli ambiti professionali.
D.: Buonasera Camilla, la ringrazio per aver accettato la nostra intervista. e le lascio subito la parola per capire intanto che cos’è Gaia Consulting e come usa la tecnologia per le sue attività.
R.: Buonasera Pino e grazie mille ancora per l’invito. Sono molto contenta di di poter partecipare a questa intervista. Ho fondato CAIA Consulting in realtà da poco. Oggi facciamo ufficialmente due mesi, tra l’altro. CAIA nasce come agenzia di consulenza per l’innovazione tecnologica. Quello che facciamo è aiutare aziende, brand e creativi a capire come utilizzare le tecnologie emergenti per differenziarsi sul mercato. Ci rivolgiamo in realtà a tutti i settori, nel senso che l’intelligenza artificiale sta veramente trasformando tutti i settori e quindi noi cerchiamo di aiutare le aziende in territorio italiano a non rimanere indietro, quindi cercare di capire come utilizzare queste tecnologie per rimanere al passo e ottenere un vantaggio competitivo sul mercato. Ho detto aziende e artisti e creativi perché in realtà noi ci rivolgiamo da un lato alle aziende, ma dall’altro a tutti gli artisti, sia nel senso stretto della parola, ma anche a tutti gli artisti musicali, per esempio. Perché tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain possono veramente cambiare la vita degli artisti per come la loro arte viene creata, ma anche per come la loro arte viene venduta, monetizzata e distribuita sul mercato.
D.: Una delle domande che spesso ci si pone a proposito dell’arte e della musica in particolare, ma anche della letteratura, della scrittura è se il fatto di poter creare dei testi o delle musiche con l’intelligenza artificiale non sia un po’ falsare la creatività dell’artista?
R.: Questa è una grande domanda. Io penso che dipende. Secondo me bisogna sempre osservare il fenomeno con occhio critico e senza farsi ingannare da bias. Per esempio, ho parlato recentemente di come l’intelligenza artificiale stia cambiando il mondo della tecnologi,. della lettura e della scrittura. Addirittura, ci sono esperti che sostengono che la lettura e la scrittura scompariranno tra qualche anno, che i nostri nipoti saranno l’ultima generazione a leggere e a scrivere. Questo perché di fatto la tecnologia può rendere l’ambiente della lettura e della scrittura molto più immersivo, quindi magari slegandosi da quello che è prettamente il testo. Però lì ovviamente sorge una domanda morale ed etica, che secondo me proviene da un bias, e cioè del considerare il testo scritto come moralmente superiore rispetto a altri formati, che possono essere audio, possono essere video, possono essere realtà più immersive. E questa stessa domanda può essere fatta per tutti i tipi di creazione, può essere la scrittura, può essere un’opera d’arte, può essere la musica. Secondo me dipende molto dall’intento, nel senso che se l’intento è istruire, educare, intrattenere bisogna chiedersi ci importa veramente che questi contenuti siano stati creati con l’intelligenza artificiale? E se sì, perché? Perché se di fatto io sto ottenendo lo stesso effetto che avrei ottenuto se quel contenuto fosse stato creato da un essere umano perché mi dovrebbe importare che questo è stato creato con l’intelligenza artificiale? Quando parliamo di arte secondo me il concetto diventa un pochino più complesso, nel senso che bisogna capire che cosa si intende per arte. Bisogna definire anche un pò il concetto. Io lavoro tanto nel mondo dell’arte digitale, oggi tanti nuovi artisti sono programmatori, perché tutto il mondo dell’arte generativa, quindi arte che viene generata utilizzando l’intelligenza artificiale, sta spopolando tantissimo. E il nuovo artista è colui che sa creare un algoritmo che generi arte. E quella è a tutti gli effetti considerata arte, però di fatto l’input…
D.: Diciamo che il digital painting non è nuovo. È da anni che si usa.
R.: Assolutamente. Ed è una forma d’arte… completamente autonoma e con un suo mercato anche, e che con i nuovi canali di comunicazione, con le nuove piattaforme di fruizione dell’arte, si sono sviluppate molto più velocemente. Questo tra l’altro va, secondo me, anche oltre il digital painting, perché non c’è proprio più manualità. Sì, diciamo che la mentalità è già predisposta. E’ predisposta, ma comunque alcune persone non pensano che quella sia arte. Cioè l’arte generata da un algoritmo viene considerata a volte da alcuni moralmente inferiore rispetto alla bravura tecnica che può avere un artista. E lì, secondo me, dipende molto dalla persona che fruisce il contenuto. Però è utile, secondo me, chiederci perché ci importa se un contenuto è creato dall’intelligenza artificiale o meno. Perché magari può anche essere un bias nostro.
D.: Sono totalmente d’accordo che c’è un mio editoriale sull’intelligenza artificiale in cui dico proprio questo. Però c’è un limite, non so se lei è d’accordo. Con gli attuali sistemi di intelligenza artificiale noi siamo chiamati a creare un format quanto più particolareggiato possibile su quello che vogliamo ottenere come creazione. Per cui io dovrò inserire delle questioni, devo rispondere a dei quesiti, devo dare degli input, però alla fine il contenuto, c’è il rischio, che sia un pò appiattito, che i contenuti siano un pò appiattiti, nel senso che se io faccio un discorso sull’intelligenza artificiale, Io qui pongo, da divulgatore, la questione di cercare di far capire a chi mi ascolta che cos’è l’intelligenza artificiale, come si muove, come funziona, ma pongo anche delle questioni che riguardano l’etica. la privacy l’identità digitale; cioè pongo anche delle questioni appunto di carattere etico e c’è il rischio che invece nel creare dei testi letterari o nel creare dei saggi anche, soprattutto nella creazione di saggi scientifici in senso ampio del termine, ci sia una risposta che tende a livellare i contenuti.
R.: Sicuramente sì, dipende molto da come è istruito il modello e ovviamente quello ha molto impatto sull’output. Io penso che per generare contenuti scritti soprattutto l’intelligenza artificiale debba essere un ausilio, non deve essere… non deve rimpiazzare completamente la persona che scrive, qualunque cosa il testo sia, perché da un lato la creatività umana ad oggi non può essere emulata dall’intelligenza artificiale, ancora, non siamo ancora arrivati a quel punto, e dall’altra appunto lo stesso modello genera output molto simili. Secondo me la bellezza dei saggi e di leggere un libro e degli articoli anche, deriva molto dall’esperienza personale e dall’unicità di chi la scrive. E questo è inimitabile, non si può replicare con una macchina, perché è esperienza personale, è passato, è quello che tutti i libri che una persona ha letto, tutto… tutto il bagaglio culturale che una persona ha, referenze culturali implicite rispetto a, non lo so, anche forme semantiche prese da un determinato autore. Sono cose che le macchine ad oggi non possono ancora replicare, secondo me. Quindi finché sono utilizzate come ausilio per migliorare il proprio contenuto e migliorare il proprio lavoro e lavorare più smart… benissimo sostituire completamente, io per prima forse non sono molto d’accordo, perché quando io leggo qualcosa anche se è un articolo mi piace cogliere la personalità di chi l’ha scritto.
D.: questo è ancora la nostra forma mentis ma non è detto che non cambi perché poi noi dobbiamo prendere atto che lui Cioè noi cambiamo con l’uso dei linguaggi, se i linguaggi cambiano cambiamo anche il nostro modo di percepire la realtà. E quindi nel futuro man a mano ci adatteremo a questo tipo di tecnologia, a questo tipo di format, a questo tipo di proposte e risponderemo con la nostra creatività perché l’uomo ha la capacità non soltanto di adattarsi ma anche di trasformarsi. Ha avuto qualche esperienza di questo genere con l’attività professionale che sta svolgendo? Sia dal punto di vista, diciamo, della consulenza con delle aziende, sia dal punto di vista del rapporto con gli artisti?
R.: Rapporto con gli artisti, sì, assolutamente. Io lavoro tanto nel mondo dell’arte digitale, ci ho lavorato anche prima di fondare CAIA. Secondo me, soprattutto nel mondo dell’arte, c’è questa questione etica di qual è la linea tra creatività e opera generata con una macchina e quindi facilmente replicabile e quindi con valore minore. L’arte è tutta basata sulla percezione del valore di un’opera d’arte e di fatto questa percezione deriva dalla storia che l’artista decide di dare a quell’opera d’arte, dalla tecnica in parte e da quello che quell’opera comunica. quindi in realtà il dilemma di che cos’è che cos’è la creatività che cos’è l’arte è un dilemma molto attuale in quel mondo. Nelle aziende questo si sente un pò meno nel senso che o si tratta di plagio e quindi ovviamente bisogna fare attenzione a creare qualcosa autentico e dare prova che questa cosa sia stata fatta da una persona, magari anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, ma che ci sia dietro una persona, però lì è più una questione legale più che etica. Sicuramente ci sono delle cose da considerare ogni volta che viene creato qualcosa e ogni volta che viene fruito qualcosa.
D: Lei ha avuto un’esperienza, ne parliamo un po’ più avanti adesso, ha avuto un’esperienza molto importante, molto formativa, sta continuando l’esperienza negli Stati Uniti, a San Francisco, dove è stata ed è ancora guest Bentrovati amici di Eros Magazine. I computer sostituiranno l’uomo? Io non credo, ma il futuro è alle porte, è già presente quasi. Computer quantici, neurogenici, intelligenza artificiale sempre più complessa e noi dobbiamo cercare di leggere il nostro presente e guardare al nostro futuro. Lo faremo con un ospite, Camilla Brossa, CEO della CAIA Consueling, esperta di web training e intelligenza artificiale e insieme alla nostra ospite con voi cercheremo di capire dove stiamo andando e a che punto siamo. Buonasera amici di Road Magazine, ben trovati con una nuova puntata, una nuova intervista del nostro format. Questa sera abbiamo un’opportunità particolare, è un ospite come sempre, che ci tratterrà con la sua competenza, con delle prospettive che ci aiuterà a capire degli argomenti molto di attualità. e parleremo di tecnologia, parleremo di una tecnologia che ormai è presente nella nostra vita, delle già prospettive anche di questa tecnologia, come dicevano la sigla, dell’intelligenza artificiale, ma anche di un’intelligenza artificiale che ormai si proietta verso dimensioni diverse, verso dimensioni che dovremmo ancora cercare di capire dove si spingeranno. I computer quantistici sono qualcosa che sono in fase di sperimentazione ma cambieranno completamente sia l’intelligenza artificiale che il nostro modo di interagire con queste nuove tecnologie. La nostra ospite di questa sera è l’autoressa Camilla Grossa, CEO della Gaia Consulting, consulente che ha una particolare attitudine e capacità nella gestione della tecnologia negli ambiti di professione. Buonasera Camilla, la ringrazio per aver accettato la nostra intervista. e le lascio subito la parola per capire intanto che cos’è Gaia Consulting e come usa la tecnologia per le sue attività. Buonasera Pino e grazie mille ancora per l’invito sono molto contenta di aver di poter partecipare a questa intervista. Allora, io sì, ho fondato Kaya Consulting in realtà da poco. Oggi facciamo ufficialmente due mesi, tra l’altro. Kaya nasce come boutique, come agenzia di consulenza per l’innovazione tecnologica. Quindi noi quello che facciamo è aiutare aziende, brand e creativi a capire come utilizzare le tecnologie emergenti per differenziarsi sul mercato. Ci rivolgiamo in realtà a tutti i settori, nel senso che l’intelligenza artificiale sta veramente trasformando tutti i settori e quindi noi cerchiamo di aiutare le aziende in territorio italiano a non rimanere indietro, quindi cercare di capire come utilizzare queste tecnologie per rimanere al passo e ottenere un vantaggio competitivo sul mercato. Diciamo che ho detto aziende e artisti e creativi perché in realtà noi ci rivolgiamo da un lato alle aziende, ma dall’altro a tutti gli artisti, sia nel senso stretto della parola, ma anche a tutti gli artisti musicali, per esempio. perché tecnologie come l’intelligenza artificiale e la blockchain possono veramente cambiare la vita degli artisti per come la loro arte viene creata, ma anche per come la loro arte viene venduta, monetizzata e distribuita sul mercato. Una delle domande che spesso ci si pone a proposito dell’arte e della musica in particolare, ma anche della letteratura, della scrittura e se il fatto di poter creare dei testi o delle musiche con l’intelligenza artificiale non sia un po’ falsare la creatività dell’artista questa è una grande domanda io penso che Dipende. Secondo me bisogna sempre osservare il fenomeno con occhio critico e senza farsi ingannare da bias. Per esempio, ho parlato recentemente di come l’intelligenza artificiale stia cambiando il mondo della tecnologia. della lettura e della scrittura. Addirittura ci sono esperti che sostengono che la lettura e la scrittura scompariranno tra qualche anno, che i nostri nipoti saranno l’ultima generazione a leggere e a scrivere. Questo perché di fatto la tecnologia può rendere l’ambiente della lettura e della scrittura molto più immersivo, quindi magari slegandosi da quello che è prettamente il testo. Però lì ovviamente sorge una domanda morale e etica di ehm che secondo me proviene da un bias, e cioè del considerare il testo scritto come moralmente superiore rispetto a altri formati, che possono essere audio, possono essere video, possono essere realtà più immersive. E questa stessa domanda può essere fatta per tutti i tipi di creazione, può essere la scrittura, può essere un’opera d’arte, può essere la musica. Secondo me dipende molto dall’intento, nel senso che se l’intento è… istruire, educare, intrattenere bisogna chiedersi ci importa veramente che questi contenuti siano stati creati con l’intelligenza artificiale? E se sì, perché? Perché se di fatto io sto ottenendo lo stesso effetto che avrei ottenuto se quel contenuto fosse stato creato da un essere umano perché mi dovrebbe importare che questo è stato creato con l’intelligenza artificiale? Quando parliamo di arte lì secondo me il concetto diventa un pochino più complesso, nel senso che bisogna capire che cosa si intende per arte. Bisogna definire anche un po’ il concetto. Io lavoro tanto nel mondo dell’arte digitale, oggi tanti nuovi artisti sono programmatori, perché tutto il mondo dell’arte generativa, quindi arte che viene… viene generata utilizzando l’intelligenza artificiale, sta spopolando tantissimo. E il nuovo artista è colui che sa creare un algoritmo che generi arte. E quella è a tutti gli effetti considerata arte, però di fatto l’input… Diciamo che il digital painting non è nuovo. È da anni che si usa. Assolutamente. Ed è una forma d’arte… completamente autonoma e con un suo mercato anche, e che con i nuovi canali di comunicazione, con le nuove piattaforme di fruizione dell’arte, si sono sviluppate molto più velocemente. Esatto. Questo tra l’altro va, secondo me, anche oltre il digital painting, perché non c’è proprio più manualità. Sì, diciamo che già la mentalità è già predisposta. Ma è predisposta, ma comunque alcune persone non pensano che quella sia arte. Cioè l’arte generata da un algoritmo viene considerata a volte da alcuni moralmente inferiore rispetto a… alla bravura tecnica che può avere un artista. E lì, secondo me, dipende molto dalla persona che fruisce il contenuto. Però è utile, secondo me, chiederci perché ci importa se un contenuto è creato dall’intelligenza artificiale o meno. Perché magari può anche essere un bias nostro. Sono totalmente d’accordo che c’è un mio editoriale su… l’intelligenza artificiale dice proprio questo. Però c’è un limite, non so se lei è d’accordo. Con gli attuali sistemi di intelligenza artificiale noi siamo chiamati a creare un format quanto più particolareggiato possibile su quello che vogliamo ottenere come creazione. Per cui io dovrò inserire delle questioni, devo rispondere a dei quesiti, devo dare degli input, però alla fine il contenuto c’è il rischio che sia un po’ appiattito, che i contenuti siano un po’ appiattiti, nel senso che se io faccio un discorso sull’intelligenza artificiale, Io qui pongo, da divulgatore, la questione di cercare di far capire a chi mi ascolta che cos’è l’intelligenza artificiale, come si muove, come si funziona, ma pongo anche delle questioni che riguardano l’etica. la privacy l’identità digitale cioè pongo anche delle questioni appunto di carattere etico e c’è il rischio che invece nel creare dei testi letterari o nel creare dei saggi anche, soprattutto nella creazione di saggi scientifici in senso ampio del termine, ci sia una risposta che tende a livellare i contenuti Sicuramente sì, dipende molto da come è istruito il modello e ovviamente quello ha molto impatto sull’output. Io penso che per generare contenuti scritti soprattutto l’intelligenza artificiale debba essere un ausilio, non deve essere… non deve rimpiazzare completamente la persona che scrive, qualunque cosa il testo sia, perché da un lato la creatività umana ad oggi non può essere emulata dall’intelligenza artificiale, ancora, non siamo ancora arrivati a quel punto, e dall’altra appunto lo stesso modello genera, output molto simili, quindi anche tutto quello che… Secondo me la bellezza dei saggi è di leggere un libro e degli articoli anche, deriva molto dall’esperienza personale e dall’unicità di chi la scrive. E questo è inimitabile, non si può replicare con una macchina, perché è esperienza personale, è passato, è quello che… Tutti i libri che una persona ha letto, tutto… tutto il bagaglio culturale che una persona ha, referenze culturali implicite rispetto a, non lo so, anche forme semantiche prese da un determinato autore. Sono cose che le macchine ad oggi non possono ancora replicare, secondo me. Quindi finché sono utilizzate come ausilio per migliorare il proprio contenuto e migliorare il proprio lavoro e lavorare più smart… benissimo sostituire completamente io per prima forse non sono molto d’accordo perché quando io leggo qualcosa anche se è un articolo mi piace cogliere la personalità di chi l’ha scritto e questo è ancora la nostra forma mentis ma non è detto che non cambia perché poi noi dobbiamo prendere atto che lui Cioè noi cambiamo con l’uso dei linguaggi, se i linguaggi cambiano cambiamo anche il nostro modo di percepire la realtà. E quindi nel futuro man a mano ci adatteremo a questo tipo di tecnologia, a questo tipo di format, a questo tipo di… risponderemo con la nostra creatività perché l’uomo ha la capacità non soltanto di adattarsi ma anche di trasformarsi. Ha avuto qualche esperienza di questo genere con l’attività professionale che sta svolgendo? Di quale genere? sia dal punto di vista, diciamo, della consulenza con delle aziende, sia dal punto di vista del rapporto con gli artisti. Rapporto con gli artisti, sì, assolutamente. Io lavoro tanto nel mondo dell’arte digitale, ci ho lavorato anche prima di fondare CAIA. Secondo me, soprattutto nel mondo dell’arte, c’è questa questione etica di qual è la linea tra… creatività e opera generata con una macchina e quindi facilmente replicabile e quindi con valore minore. L’arte è tutta basata sulla percezione del valore di un’opera d’arte e di fatto questa percezione deriva dalla storia che l’artista decide di dare a quell’opera d’arte, dalla tecnica in parte e da quello che quell’opera comunica. quindi in realtà il dilemma di che cos’è che cos’è la creatività che cos’è l’arte è un dilemma molto attuale in quel mondo nelle aziende questo si sente un po meno nel senso che o si tratta di plagio e quindi ovviamente bisogna fare attenzione a creare qualcosa autentico e dare prova che questa cosa sia stata fatta da una persona, magari anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, ma che ci sia dietro una persona, però lì è più una questione legale più che etica. Sicuramente ci sono delle cose da considerare ogni volta che viene creato qualcosa e ogni volta che viene fruito qualcosa.
D.: Lei ha avuto un’esperienza, ne parliamo un po’ più avanti adesso, ha avuto un’esperienza molto importante, molto formativa, sta continuando l’esperienza negli Stati Uniti, a San Francisco, dove è stata ed è ancora guest lecturer presso l’Università di Harvard. Da questa esperienza presso quella che è più generalmente conosciuta come la Silicon Valley può darci un’idea della differenza che ha trovato, dal punto di vista dei rapporti con le aziende, tra gli Stati Uniti, quella parte degli Stati Uniti che le conosce, e l’Italia? Intanto perché è torna dell’Italia?
R.: Grandissima domanda questa. Sono tornata in Italia perché ho dovuto, nel senso che l’America funziona con dei visti e quindi ci sono determinate regole da rispettare. In realtà io ero anche arrivata alla fine di un capitolo secondo me io ho passato quattro anni a San Francisco nella Silicon Valley, ed è stato un capitolo bellissimo della mia vita, ero però arrivata al termine di questo capitolo non so se…
D.: ne parliamo tra un attimo, fermiamoci un attimo prima sull’attività vera e propria, cosa ha visto cosa ha trovato Nella Silicon Valley di San Francisco è qualcosa che ha trovato invece tornando in Italia dal punto di vista professionale.
R.: Dal punto di vista professionale la Silicon Valley mi ha dato tantissimo. Io ho lavorato tanto nel mondo delle start-up e soprattutto nelle start-up più innovative, quindi tutte le start-up che lavoravano con tecnologie emergenti. Ho iniziato a lavorare nell’intelligenza artificiale nel duemila e diciannove, quindi quando era ancora un po’ prematura rispetto a come adesso. Era abbastanza all’inizio, sì. Poi sono passata al mondo WebTree, quindi tutto il mondo blockchain, metaverso.
D.: Che cos’è per il nostro pubblico? Che cos’è il WebTree e il blockchain?
R.: Il WebTree è la fase successiva dell’Internet, sostanzialmente, basato sulla decentralizzazione, quindi dove la blockchain gioca un ruolo fondamentale. La blockchain è una tecnologia, semplicemente immaginatela come un database pubblico. Ogni volta che qualcosa viene messo sulla blockchain diventa pubblico a tutti quelli che hanno accesso a questa blockchain, quindi per una questione di trasparenza. Web tre è la definizione di una nuova industria. Noi adesso siamo nel web due per la maggior parte delle aziende e sono tutte le aziende considerate centralizzate. Facciamo un esempio. Se io penso a YouTube, Facebook, Instagram, sono tutte social media centralizzate, perché tutti i dati, tutto il server e tutto il controllo è sotto l’azienda che prende qualsiasi decisione. Se domani YouTube decide di cancellare il mio account, io non ci posso fare niente. Loro cancellano il mio account e io perdo tutti i dati che io ho mai caricato sul mio profilo. Questo è il sistema centralizzato, quindi web due. Il sistema web tre è l’evoluzione ed è il sistema decentralizzato quindi un social media decentralizzato, la loro giocano molto sulla centralizzazione perché di fatto loro sono proprietari di tutti i dati degli utenti. Quello è il loro business, quello è come loro fanno i miliardi, la decentralizzazione invece ti permette di strutturare una piattaforma in modo molto più capillare, quindi la blockchain è questo cloud sostanzialmente basato su tanti nodi che quindi permette una decentralizzazione e anche un’immutabilità ogni volta che qualcosa viene messo sulla blockchain non può essere tolto né rimosso senza che tutti se ne accorgano, quindi permette anche una trasparenza che ad oggi le piattaforme tradizionali centralizzate non hanno. E quindi Web3 significa solo quello. Di solito quando un’azienda in qualche modo utilizza la blockchain viene definita Web3e, viene categorizzata in quell’ambito. D.: Stavamo dicendo della sua esperienza a San Francisco. Lei ha trovato un mondo un po’ schizofrenico, lo conosciamo, per chi non ha avuto la possibilità di visitarlo, città come San Francisco, non soltanto San Francisco, da altre esperienze cinematografiche io ricordo una bellissima serie che si chiama Homeless dove credo che sia girata proprio a San Francisco dove va a vedere questa Veramente incredibile la differenza di vita, di stile di vita tra chi può permettersi, avendo un tenore di vita alto, può permettersi tutto o quasi tutto e chi invece non può permettersi neanche di mangiare tutti i giorni. questo lei l’ha conosciuto?
R.: Sì poi San Francisco è una città relativamente piccola sono un milione di abitanti quindi è facile vedere tutte le sue realtà sì la cosa che mi ha colpito molto di San Francisco è che si vedono macchine che si guidano da sole e gli edifici di queste aziende multimiliardaria, perché tutta la Silicon Valley è la sede di Google, Meta, Instagram, Salesforce, tutte le grandi del tech, e poi attraversi la strada, non devi neanche andare nelle periferie, letteralmente attraversi la strada dal Financial District, dove ci sono tutti questi uffici e ci sono… c’è gente che muore per strada, letteralmente, c’è questo quartiere di San Francisco che si chiama Tenderloin, che è un quartiere in mezzo alla città proprio, quindi se tu non lo sai ci cammini dritto dentro, come ho fatto io il primo giorno a San Francisco senza sapere ci sono passata proprio dentro a piedi, non è stata una bella esperienza, da quel giorno l’ho evitato, però fa riflettere perché comunque è una divisione netta tra i gli ultramiliardari che vivono lì, alcune tra le persone più ricche del mondo sono lì, e queste persone che hanno preso questo quartiere in mezzo alla città e hanno creato questa città fatta di tende. Poi ci sono un sacco di documentari sull’epidemia del Fentanil, la San Francisco, quindi persone che muoiono letteralmente di overdose tutti i giorni per la strada. Io ho chiamato l’ambulanza un paio di volte perché non sapevo se queste persone… Appena arrivata è stato uno shock, perché le persone ci camminano di fianco e nessuno dice beh. E dopo un po’ mi sono adeguata a questo mood, a questa atmosfera apocalittica.
D.: Io non credo che lei si sia adeguata, perché al di là del fatto del visto che scadeva, lei comunque ha scelto di tornare in Italia. E in Italia, diciamo, e adesso non voglio, noi abbiamo un sacco di problemi in Italia, problemi enormi, però obiettivamente, insomma, lei stessa ammette che la qualità della convivenza civile e umana in Italia è diversa. E questo è lo stimolo, diciamo, che la fa rimanere nel suo paesello, come dice.
R.: Sì, diciamo che passando così tanto tempo a San Francisco, io me ne sono andata in realtà prima, diciamo che avevo questa questione del visto da risolvere, non sono arrivata alla scadenza, io avrei avuto ancora sei, otto mesi. per continuare a cercare lavoro negli Stati Uniti e in realtà ho preferito tornare perché quattro anni a San Francisco mi hanno, diciamo che ho preso tutto quello che volevo prendere dalla città ed ero pronta per andarmene. San Francisco è una città molto difficile sotto tanti punti di vista, dal punto di vista sociale, crearsi amicizie, dal punto di vista finanziario, una città, forse la città più cara d’America, è complesso perché da un lato ti dà tantissimo, ti dà accesso a una un’area in cui c’è una concentrazione altissima di talenti… dall’altra però è proprio molto difficile viverci… molto difficile creare relazioni autentiche con le altre persone… perché è una città un pò di passaggio per tutti… è difficile trovare qualcuno che è a San Francisco… per stabilirci e per farci famiglia… quindi è una città in cui la gente va per passare qualche anno, farsi i contatti che si deve fare e poi se ne va. Poi, tra l’altro, io ho fatto il Covid a San Francisco, quindi è stata anche lì un’esperienza molto particolare. L’Italia sicuramente mi sta dando tante soddisfazioni. Io adesso è un anno e mezzo che sono tornata in Italia, non pensavo ci sarei rimasta così tanto perché io sono tornata e ho ancora tutti gli amici qua, non li ho mai persi. Poi ho un legame bellissimo con la mia famiglia, quindi è stato molto bello tornare e rivivermi la quotidianità qua che avevo forse un po’ dato per scontato. Perché è vero che quando sei in giro, costruisci la tua carriera, hai opportunità, insegna ad Harvard, fai questo, fai quello, lavori per aziende miliardarie, però dall’altra io ogni tanto mi chiedo che cos’è che conta veramente per me nella vita. E di fatto adesso che banalmente ogni tanto riesco comunque a fare cena con tutta la mia famiglia riunita al tavolo, penso quanto sono fortunata, perché quando ero là mi sono persa lauree, mi sono persa momenti importanti della mia famiglia, dei miei fratelli e sono tutte cose che poi riflettendoci mettendo su una bilancia dicevo non so se il gioco vale la candela e quindi sono tornata adesso sono molto contenta di essere qua, non dico che l’Italia sia meglio degli Stati Uniti perché non è mai quello il punto del discorso, però mi ha fatto apprezzare tanto le piccole cose che forse avevo dato per scontato prima
D.: diciamo che in questo momento questo possiamo affermare sicuramente che l’Italia è meglio degli Stati Uniti.
R.: Non lo so.
D.: È un momento di transizione, come tutti i momenti di transizione, bisogna scontare qualche prezzo, bisogna pagare. Siamo arrivati alla conclusione, io sono veramente grato di questa conversazione, perché mi piace fare questo tipo di intervento, lei ancora è un guest lecturer ad Harvard, quindi ha una visione delle cose diretta per quanto riguarda il rapporto con i settori tecnologici avanzati, però è anche la testimonianza che poi la qualità della vita è quella che ci consente di avere rapporti umani più diretti e più cari a noi. Grazie dottoressa Brossa e ringrazio tutti i nostri amici che ci seguono con qualche problema anche di lingua ci seguono un po’ da tutto il mondo noi abbiamo una sezione su Facebook abbiamo una sezione dedicata solo ai nostri follower E dire la verità è che con la tecnologia riusciamo anche ad affrontare il problema di investimento. Ci rivediamo la prossima settimana con una nuova intervista, con un nuovo ospite. Grazie ancora dottoressa Brossa.
R.: Grazie a lei.