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Aggressività, ostilità e rabbia


Dall’Annuario Statistico Italiano si rileva che nella totalità i delitti denunciati dalle Forze dell’Ordine all’Autorità Giudiziaria nel 2023 vi è stato un incremento del 3,8% rispetto al 2022, con l’aumento soprattutto del gli omicidi volontari consumati (+3%) e di quelli tentati, le lesioni personali dolose e le percosse in genere, spesso legate all’incremento dei reati che violano la normativa sull’utilizzo e lo spaccio di stupefacenti. Questi dati concordano con la percezione collettiva che nella società moderna i comportamenti e gli atteggiamenti violenti siano in notevole aumento rispetto al passato, la qualcosa riconosce le sue cause in molteplici e diversificate condizioni di natura alquanto diversa. In linea generale possiamo distinguere tali condizioni in due grandi sfere: quella politica e socioeconomica, che comprende motivazioni connesse all’incremento demografico, al sovraffollamento e all’abbandono delle periferie urbane, alla precarietà lavorativa e al conseguente basso livello della qualità della vita, e quella psicologica ed esistenziale, legata invece ad una cultura sempre più deresponsabilizzante, che concorre a fare smarrire alla persona ogni riferimento al buon senso e alla solidarietà umana. La società postmoderna è caratterizzata dall’ambiguità, dall’ambivalenza e dall’instabilità ideologica, che insieme alla citata precarietà del mondo del lavoro, al continuo rimescolamento della progettualità educativa e scolastica, alla progressiva messa in discussione del senso di fratellanza e di solidarietà nei confronti degli “altri” e dei diversi, concorrono a far nascere una comunità “perplessa” e smarrita, preda dell’indeterminatezza e priva di un’identità ben strutturata e di cinture di protezione. Di fronte all’evidenza di crimini violenti, spesso commessi con efferata crudeltà, che scuotono la nostra coscienza individuale e lo spirito comune è lecito chiedersi se questi possano rappresentare l’esito di un processo psicologico normale oppure collegato ad un qualche disturbo psichico, ponendosi la domanda sul limite che intercorre tra la normalità e la follia, argomento che a sua volta suggerisce la necessità di distinguere il peso della responsabilità individuale e dell’intenzionalità da una parte e la capacità insita in ognuno di noi di discernere e di scegliere i comportamenti da adottare nella vita di ogni giorno secondo precetti che prediligono il bene nei confronti del male. Spesso si parla di violenza come sinonimo di aggressività, ignorando che si tratta, in realtà, di aspetti diversi dell’essere e dell’agire dell’uomo. La violenza attiene ai comportamenti che includono atti lesivi agiti attraverso l’impiego della forza fisica. L’aggressività è una delle forze energetiche più antiche e comuni a tutte le specie e il suo significato originario era connotato come istinto fondamentale per la sopravvivenza, utile per preservare tanto la vita del singolo animale, quanto la perpetuazione della specie. Era un istinto che salvaguardava sostanzialmente dalle aggressioni dei predatori, ma che era funzionale anche al soddisfacimento di altre esigenze esistenziali, come quella sessuale, alimentare, di difesa del territorio. Col progredire dell’evoluzione essa non si identificò più con l’aggressione violenta, ma rimase nell’apparato psichico dell’individuo unicamente come pulsione, ovvero come tensione emotiva volta alla gratificazione di un desiderio. Essa costituisce l’aspetto speculare della libido, che rappresenta l’energia psichica buona e positiva, indirizzata verso scopi culturalmente e moralmente accettabili e condivisi. Potremmo, pertanto, concludere che l’aggressività costituisca l’energia cattiva e negativa, e in un certo qual senso ciò corrisponde alla realtà. A volte, però, perché nella nostra mente ogni pensiero e ogni intenzione può avere uno sbocco positivo o negativo, buono o cattivo, a seconda dei meccanismi di difesa dell’Io messi in atto e dal sentimento etico dell’individuo. Con la sublimazione, per esempio, pulsioni inconsce aggressive, e pertanto paradigmaticamente concepite come negative e cattive, possono invece venire incanalate su obiettivi e comportamenti sociali utili, positivi, condivisi e apprezzati da tutti, come la filantropia, la dedizione altruistica o alcuni slanci eroici. Nelle manifestazioni di una disposizione mentale aggressiva, distinguiamo comunque diverse espressioni, che comprendono atteggiamenti sottesi da strutture emotive e cognitive particolari, che danno adito a comportamenti diversi. Nell’espressione dell’aggressività si ritrova coinvolto primariamente il comportamento, senza che necessariamente venga interessato il sistema cognitivo, ovvero il pensiero superiore, tanto è vero che essa è presente, come abbiamo visto, anche nel regno animale, nel quale l’aggressione avviene unicamente per soddisfare uno dei bisogni di cui l’animale ha necessità, vuoi che sia di natura alimentare, sessuale o difensiva. L’animale non odia, cioè, non aggredisce per il gusto di farlo e di abreagire un’emozione ostile. Nell’uomo, invece, l’ostilità, che è un aspetto dell’aggressività, puramente umano, appartiene al complesso cognitivo-emotivo-comportamentale, rappresentando un evento puramente intellettuale. L’uomo ostile ha sfiducia negli altri, diffidenza e scarso senso di empatia e di condivisione emotiva, si ritrova pertanto isolato e da solo e può aggredire per odio, per risentimento, per vendetta, per rancore, per antipatia, ossia può farlo senza che vi sia una necessità materiale tesa alla gratificazione di un bisogno. A meno che il rancore e la vendetta non vengano concepiti come un bisogno… Un’altra espressione dell’ostilità è la rabbia. Ma mentre la prima è indirizzata verso un obiettivo specifico e preciso, derivando anche etimologicamente da hostis, che significa nemico, la rabbia costituisce una esplosione irruenta, incontrollata, pantoplastica e indiscriminata, raramente indirizzata verso un preciso obiettivo. Riuscire a controllare le tendenze aggressive od ostili comporta aver raggiunto un ottimale equilibrio caratteriale e ciò si può perseguire solamente agendo nel corso del percorso educativo adolescenziale, graduando processi educativi che applichino misuratamente momenti gratificanti e frustranti, poiché solo imparando a dilazionare il momento della soddisfazione dei desideri e dei bisogni si può gradualmente modificare il modo di essere e di stare al mondo, rispettando se stessi e gli altri e, probabilmente, raggiungendo un piacere superiore nel tempo.

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