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Cadrà il progetto europeo? La fine della società liquida


Il 2016 sarà forse l’anno in cui volgerà al suo epilogo il progetto di disintegrazione dell’Europa iniziato già da una quindicina d’anni. Trionfano gli egoismi nazionalistici. Un progetto che ha visto, come abbiamo più volte ribadito sin dal 2003, protagonisti due alleati storici del mondo occidentale: gli Stati Uniti d’America, con la loro testa di ponte nel Vecchio Continente rappresentata dalla Gran Bretagna, e il nucleo storico dell’Unione Europea, in particolar modo Francia, Italia, Germania e Spagna.

La drammaticità dell’epilogo di questo scontro di interessi economici e geopolitici lascia sgomenti con la scia di sangue e cadaveri che da oltre quindici anni è diventata una macabra consuetudine a cui la propaganda e la disinformazione sono riusciti a farci accettare fino al momento in cui la parte più debole, protagonista involontaria di questo scontro, non ha cominciato a cercare salvezza sulle sponde dei paesi europei, Italia in primis, per una fatale vicinanza geografica alle aree colpite dalla violenza degli interessi occidentali, aree che vanno dal Mali all’Afganistan, con al centro il focolaio storico e origine di tutti i conflitti successivi, la Palestina.

Il motivo di questo scontro e della conseguente reazione antieuropea va ricercato nelle scelte politiche che dal 2001 in poi l’Unione Europea ha tentato di realizzare. Dopo un percorso per nulla facile né scontato, nel 2001 cominciano a realizzarsi (con Romano Prodi) due eventi politici che avrebbero potuto cambiare definitivamente gli equilibri geopolitici ed economici mondiali: inizia l’era dell’Unione Europea ratificata nel 2007, dopo la prima bocciatura del 2005, sulle sponde settentrionali del Mediterraneo, e nel 2004 viene inaugurato il Parlamento dell’Unione Africana, che comprenderà 52 paesi, e che si doterà di una Costituzione praticamente mutuata da quella europea. Sono gli anni in cui iniziano ad consolidarsi gli interessi delle due sponde del Mediterraneo, con ben otto trattati sottoscritti nell’arco di soli cinque anni, dal 2002 al 2007. Un mercato euro africano con una potenzialità, in termini di risorse energetiche, alimentari, di materie prime e soprattutto umane che, accanto alla forza industriale dell’Europa, avrebbe cambiato definitivamente gli equilibri mondiali. Questa prospettiva non poteva essere accettata dagli Stati Uniti d’America che vedevano minacciata la propria supremazia, nel momento in cui un altro colosso mondiale cominciava espandere i sui interessi, la Cina. Dal canto suo la Russia, ancora in crisi e disgregata dopo la caduta dell’Unione Sovietica, non ha potuto che ritirarsi dall’Afganistan e lasciare che i paesi occidentali, apparentemente di comune interesse ed accordo ma nella realtà succubi (soprattutto Italia, Spagna, Gran Bretagna e Polonia) degli interessi USA si scontrassero per contendersi le risorse e le posizioni strategiche del Nord Africa e del Medio Oriente. La guerra in Iraq del 2003, fu fatta ordendo un inganno in piena Assemblea ONU e contro la volontà di centinaia di milioni di cittadini che scesero in piazza per chiedere che non si facesse. Ma la diplomazia aveva solo preparato la caduta dei governi che si opponevano a questa scelta americana (da notare che mentre si cercano ancora i terroristi in Afganistan, ovviamente non trovandoli, il terrorismo viene alimentato dai paesi arabi alleati storici degli USA, Arabia Saudita e Qatar) e nel 2003, senza l’approvazione dell’ONU la guerra iniziò e dall’Iraq si espanse a tutta l’area del Mediterraneo meridionale e dell’Africa centro-occidentale (dove la Cina avena già cominciato la sua espansione per la conquista delle risorse alimentari e minerarie). Intanto si lavorava anche sul versante est dell’Unione Europea. Con aiuti economici consistenti americani e sotto la spinta della delocalizzazione industriale dei Paesi dell’Europa “storica”, i paesi dell’ex Unione Sovietica furono fatti entrare nell’Unione con un’accelerazione che aveva più l’obiettivo di impedire la ripresa del controllo russo su questi paesi che una volontà di integrazione politica reale che di fatto non è ancora avvenuta essendo tutti paesi ad economia debolissima e con giovani istituzione facilmente orientabili dalla morsa bancaria. Oggi tutto questo progetto è dispiegato. I profughi delle guerre volute dall’Occidente sono diventati il problema principale e la spinta verso l’arretramento del progetto politico europeo, mentre quello euro africano è già morto e sepolto. In uno scenario di scontro economico e militare i paesi con la più alta concentrazione di crediti bancari versi altri paesi, in primis la Germania, fa apparire l’Europa un organismo vorace e predatorio e in parte proprio così si comporta, provocando l’effetto (paradossale ma scontato!) una reazione popolare antieuropea. Si è dissolta la memoria del perché il progetto europeo ed euro africano erano nati ed è rimasta la rabbia che alimenta le forze che hanno la responsabilità di averci condotto in questa crisi epocale ma che hanno la capacità di indossare i panni populisti dei “difensori della patria” con il rischio sempre più consistente di una deriva autoritaria neonazista e neofascista in molti paesi nel cuore dell’Europa, culla un tempo della civiltà e del diritto.

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