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Rosso Sangue Pomodoro di Eleonora Scrivo e Tiziana Calabrò


Aisha, mia amatissima figlia,

torno a scriverti in questa notte odorosa, di luna piena, è molto tardi, ma non dormo, da qualche giorno ho un po’ di dolori alle ossa, forse è l’età, ma niente paura, qui sto benissimo, l’Italia è un paese bello e pieno di verde, da quando sono arrivata, non vedo altro che verde intorno a me, screziato dal rosso dei pomodori.

Sono belli, sai figlia mia e venerati come il nostro Katonda che non sono degna di nominare. Ce ne sono di ogni forma, tondi e grossi, piccoli e lunghi che sono i più difficili da raccogliere e le mani mi diventano subito rosse e piene di vesciche, ma non mi lamento, figlia mia, perché poi il padrone ce ne dà qualcuno, insieme al pane, quando la sera ci porta a casa.

Sai, non si mangia solo così, ma anche con la pasta, caldo e succoso, molto più del nostro biltong. Ti ricordi quando lo preparavamo con la nonna, quanto ne mangiavi e come ti sporcavi tutta?

Così fanno qui, le famiglie, in estate, fanno bollire i pomodori che noi raccogliamo e li chiudono nelle bottiglie di vetro e li conservano e poi li usano per le zuppe, la pasta e la pizza che sembra la nostra injera ma è molto più profumata, certe volte la sera quando ancora raccolgo i pomodori, arriva dalla strada provinciale, dove c’è un ristorante, un profumo che mi sembra di svenire, ma così per scherzo, lo sai che mamma è forte e sta bene.

Quando potrai venire qui, ti farò assaggiare tutte le cose col pomodoro, aspetto te per provarle anche io, per ora mangio solo il pane coi pezzetti strofinati, ma quando Katonda permetterà che tu mi raggiunga, allora vedrai, il pomodoro mi restituirà tutto il servizio che gli ho offerto e ci riempiremo di sughi, di pizza e di carne cotta lentamente.

Devi essere fiera della tua mamma, Aisha, perché lei lavora con una delle cose più importanti dell’Italia, come tante altre sorelle e fratelli, ma proprio tanti che ci dobbiamo stringere dentro le stanze, vicini vicini, come le piante di pomodori, perché per questa ricchezza servono molte mani e molte braccia. Non devi piangere, Aisha, perché mamma è lontana, ma devi pensare con orgoglio che io servo un frutto della terra a cui persino un famoso poeta ha dedicato un canto. Lui si chiama Neruda, lo dice sempre il padrone quando ci porta al lavoro che il sole ancora non è salito: “il pomodoro, astro della terra, stella ricorrente e feconda…”, vedi ho imparato le parole, prima non capivo niente, ora so anche la poesia.

Ahi vorrei scrivere tanto, ma le mani fanno male e le braccia pure, ma non per il lavoro, è che sono vecchia, la prossima estate saranno 37, Aisha mia…

… ma quando tu sarai qui, sono certa, le mani mi faranno meno male, perché diventeranno mani felici e si prenderanno cura di te. La sera ti pettinerò i capelli e ti racconterò una storia, una del nostro paese, che parlerà del vento, della pioggia sacra, del sole e degli alberi che sanno fare ombra, come una madre che ripara.

Anche qui, sai, il sole è potente e mi tocca il collo e le braccia. Ogni tanto gli parlo. Perché tutti parlano alla luna, ma al sole nessuno parla. Sai qui, la parola “sole”, significa anche un’altra cosa. Una parola che dice di  come a volte ci sentiamo noi donne, in questa terra che appartiene agli uomini. Ma stai tranquilla, la tua mamma è coraggiosa e forte. Lo sono io, come le mie sorelle africane, come le sorelle di questa terra che mi porta in grembo. Noi siamo coraggiose, e lo sei tu, amore mio. Quando il sole dell’Africa rallegra di luce le nostre case, pensa che lui è venuto anche a trovare me, e questi campi sterminati e rossi. Quando lo sento appoggiarsi sulla schiena, io gli parlo e gli dico:  bacia Aisha, sole,  dille che quei baci sono i miei, falle il solletico, dille che quelle dita sulla sua pancia sono le mie, le dita rosse di pomodoro, accarezzala sulle guance, fai passare i tuoi raggi tra i capelli. E’ il sole che fa crescere le piante, ingrossare i frutti e anche te, che sono certa, stai diventando sempre più bella. E’ lo stesso sole bambina mia, che ci unisce in questa distanza, che sappiamo, io e te, essere  il tuo peso sulle spalle. Vedrai, questo peso, ti renderà le gambe forti. Loro un giorno,  ti porteranno da me.

Perché giorno verrà, Aisha, che il mare, dolcemente, unirà la terra, e sarai dalla tua mamma colore del pomodoro. Ogni notte prego il mare, perché sia buono e clemente, sia padre e fratello e amico. Così scivolerai tra le mie braccia e io ti canterò canti africani e vicine, ci sentiremo meno sole. Non vivrai in questi campi, a dormire piedi e schiena con le altre.  Avremo una casa  nostra, e un bagno per noi e la sera prima di spegnere la luce, ti darò un bacio, come quando ero lì e ti tenevo tra le braccia. E i pomodori… i pomodori, la tua mamma, amore mio, li comprerà al mercato e ti farò una salsa profumata, la spalmerò sul pane con l’olio di questa terra generosa e sedute, vicine vicine, la mangeremo in silenzio, sorridendo finalmente, senza più lacrime Aisha mia, io e te, tu e la tua mamma, che ti pensa, sempre, da questa terra lontana.

 

Eleonora Scrivo e Tiziana Calabrò

 

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