Haddad: “La Tunisia attraversa un’autentica rivoluzione”
Written by Giancarlo Calciolari, 11 ottobre 2024
Haddad: “La Tunisia attraversa un’autentica rivoluzione”
(Originale in francese di seguito, traduzione a cura di Giancarlo Calciolari)
Congresso degli psichiatri tunisini del 25 ottobre 2014.
Cari amici, colleghi, come non ringraziare il Comitato organizzatore, il suo presidente Bashir Ben Hadj Ali e tutti quelli che si sono pregiati d’invitarmi, per concludere questo imponente congresso con una mia conferenza. Colgo in questo invito il simbolo della nostra nuova Tunisia, pronta a accogliere calorosamente i suoi figli.
A Parigi, talvolta sono criticato per l’ottimismo che ho sempre verso l’evoluzione del paese, sin dal giorno dopo la rivoluzione del 2011, anche nei suoi momenti più difficili. Ho la pretesa, infatti, di misurare il polso della nostra gente.
La Tunisia è l’unico paese arabo che ha attraversato la “Primavera araba” senza affondare nel caos e senza imboccare una forma di dittatura. Perché? Questa “primavera” mi fa pensare a una parabola della cabala, quella cosiddetta dei vasi rotti. Secondo questa parabola, al momento della creazione, Dio ha organizzato una serie di vasi in cui ha inviato la sua luce. Ma si è rivelata così forte che i vasi sono andati in frantumi.
Paragono il movimento rivoluzionario del 2011 a questa luce così potente da far quasi crollare la struttura della maggior parte dei paesi arabi. Tranne la Tunisia!
Da quasi tre anni in Tunisia tutto è provvisorio, Presidente, governatori regionali, governi successivi, capi di amministrazione, direttori di ospedali… Tutti sono temporanei! E ancora il paese non ha mai smesso di funzionare più o meno bene. Fluctuat nec mergitur, il motto della città di Parigi, si presta bene per la Tunisia: “sballottata dalle onde ma non inghiottita”. E domani, 26 ottobre, giorno delle elezioni, la barca arriverà sana e salva al suo porto.
La Tunisia attraversa un’autentica rivoluzione, senza offesa per i piagnoni o i limitati, che hanno della rivoluzione di una rappresentazione hollywoodiana: si tratta di una rivoluzione quale sia domani la dirigenza del paese. Noi abbiamo qualcosa in comune con questi futuri leader. Tutti abbiamo un inconscio, e è questo inconscio che conduce il ballo dei destini individuali o collettivi.
Che cosa è una rivoluzione? È un cambiamento di discorso, di modello. Un nuovo paradigma s’instaura, lentamente, insidiosamente, gradualmente, sostituendo l’antico. E questo cambiamento di paradigma ci riguarda. Questo primo congresso di psichiatri tunisini ha avuto il merito di raccogliere le correnti più diverse della salute mentale. Forse potremmo suddividerle in due categorie.
Nella prima, lo psichiatra è uno scienziato, un medico del substrato anatomico-fisiologico.
I sostenitori della seconda corrente credono che mai la soggettività sia riducibile a una spiegazione scientifica. La scienza studia gli scambi materia e energia, e la soggettività non può essere ridotta a tali scambi. Le neuroscienze ci permettono di localizzare nel cervello le strutture cerebrali legate a un processo di pensiero, a un affetto. Esse ci descrivono la fisiologia e la dinamica, ma non ci danno l’essenza di quel processo di pensiero, di quell’affetto.
Personalmente appartengo a questa seconda categoria, e è come psicoanalista che vi parlo.
Qual è stato il vecchio paradigma che ha dominato i diversi paesi arabi e musulmani, Tunisia inclusa? Era un modello autoritario, piramidale, patriarcale.
Il paradigma democratico verso il quale siamo diretti potrebbe essere definito, in senso lato, come una società di fratelli e di sorelle. La democrazia si fonda su questo tipo di società fraterna, ma anche sulla parità fra uomini e donne. Questo tipo di società è certamente più difficile da gestire di una società piramidale, patriarcale.
Questo patriarcato scomparirà? Certamente no, ma ormai si è indebolito.
Freud ha costruito la psicanalisi proprio sul modello patriarcale, su una teoria del padre, custode dell’ordine simbolico e moderatore dei conflitti. Questo schema sembra oggi inadeguato.
Perché questa attenzione per il padre? Naturalmente è, o dovrebbe essere, l’agente di separazione del soggetto da sua madre, altrimenti tale soggetto sprofonderebbe nella psicosi. Questo ruolo del padre non è destinato a scomparire, e noi possiamo anche amaramente rimpiangere il suo indebolimento. L’autorità paterna, finora di diritto divino, è da riprogettare, da ricostruire, nel contesto della rivoluzione “donna”. Anche su questo punto la Tunisia svolge il suo ruolo di laboratorio.
Ma c’è anche nella rivalità per il padre qualcosa di relativamente semplice, ottimista. Infatti, il conflitto edipico ha la sua risoluzione, vale a dire l’omicidio simbolico del padre e la rinuncia alla madre come oggetto del desiderio, se non d’amore. Morto il padre, il conflitto cessa.
È la stessa cosa nella rivalità conflittuale tra fratelli? La fratellanza non è proprio il luogo dell’amore che ci si può immaginare. L’omicidio del fratello, la sua eliminazione, risolve questo conflitto? No, i fratelli sono come le teste dell’Idra. Più si tagliano, più rispuntano. La loro trasposizione sulla scena politica sappiamo cosa offre.
Che cosa ci si aspetta dal fratello (o dalla sorella)? Essenzialmente che ci assomigli il più possibile, che condivida le stesse idee, gli stessi valori, le stesse credenze, la fede stessa. Se questa equazione è inadeguata, si romperà con lui. Questo può portare sino alla cosiddetta pulizia etnica. Eppure, una volta operata la purificazione, una volta eliminate le persone diverse da voi, non aspettate di scoprire, fra coloro che vi sembravano così simili, persone molto diverse, anche insopportabili, che vi augurate di combattere, di eliminare, ecc… Questa rivalità nei confronti dell’altro dello specchio non finisce mai. Può condurre a scivolare nella barbarie: sono “scivoli” che vediamo proliferare qua e là.
Penso che psicoanalisi dovrebbe sviluppare ulteriormente la sua riflessione sulla questione della fraternità, non come un luogo di amore, ma come molla di tutti i conflitti.
A volte è stato mosso il rimprovero a Freud di un’ispirazione religiosa, biblica, camuffata. Sicuro?
Senza voler offendere nessuno, mi si permetta un momento di considerare i testi sacri, i testi fondatori, non come meteoriti cadute dal cielo, ma come il deposito di una saggezza millenaria. Prendiamo il caso della Bibbia. Cosa ci dice sin dai primi capitoli?
Il padre sotto forma di Dio? Forse. Ma dal capitolo 3, ecco il primo omicidio, quello di Abele, per mano di suo fratello maggiore, Caino. E continua così, arpe per sordi: rivalità dei figli di Noè, rivalità di Ismaele e di Isacco, rivalità sul filo dell’omicidio di Giacobbe e Esaù, poi dei figli di David, che si uccidono a vicenda. In breve, una serie inarrestabile.
Da questa moltiplicazione di racconti dei conflitti tra fratelli emerge ancora una lezione, vale a dire che la relazione fraterna è la fonte di ogni violenza sociale. Sembra inesauribile. Senza speranza?
Ecco che la Bibbia ci presenta improvvisamente una figura meravigliosa, sia in senso fisico sia morale. Giuseppe il Giusto, Yoseph Ha Saddik. Se questa figura mitica di Giuseppe tiene un posto importante nel Corano, non è per caso. Nella modernità, questa figura ha ispirato il grande scrittore tedesco Thomas Mann, il suo capolavoro in quattro volumi, Giuseppe e i suoi fratelli.
Perché questo personaggio ha tale aura? Proprio perché rappresenta il fratello perseguitato, messo quasi a morte e poi venduto in schiavitù dai suoi stessi fratelli. Lacan ha detto un giorno, probabilmente alludendo al suo destino: “A cosa serve un fratello? A essere venduto come schiavo in Egitto”.
Ecco che in un secondo tempo, Giuseppe è in grado di vendicarsi di coloro che gli hanno fatto tanto male. E pertanto, non li persegue. Egli supera le sue pulsioni e la sua aggressività: abbraccia i suoi fratelli e li invita a seguire il suo esempio. Questo percorso ideale è quello della santità e della giustizia. Potremmo ispirarci!
Forse, per concludere, questo grande congresso si è svolto sotto il segno di Giuseppe, ossia del superamento delle rivalità fraterne.
Traduzione di Giancarlo Calciolari, 10 ottobre 2021
V.O.:
Congrès des psychiatres tunisiens 25 octobre 2014
Chers amis, chers collègues,
Comment d’abord ne pas remercier le comité organisateur, son Président Béchir Ben Hadj Ali, et tous ceux qui m’ont fait cet honneur de m’inviter, en clôture de votre impressionnant Congrès, à donner cette conférence. Je veux voir dans cette invitation le symbole de notre Tunisie nouvelle prête à accueillir chaleureusement tous ses enfants.
A Paris, je suis parfois critiqué pour l’optimisme dont j’ai toujours fait preuve à l’égard de l’évolution du pays, dès le lendemain de la Révolution de 2011, même en ses moments les plus difficiles. J’ai la prétention, en effet, de savoir prendre le pouls de notre peuple. La Tunisie est le seul pays arabe ayant traversé « Le printemps arabe » sans sombrer dans le chaos et sans revenir à une forme de dictature. Pourquoi ? Ce « printemps » me fait penser à une parabole kabbalistique, celle dite des vases brisés. Selon cette parabole, au moment de la Création, Dieu a disposé une série de vases sur lesquels il envoya Sa lumière. Mais celle-ci se révéla si forte que les vases se brisèrent.
Je compare le mouvement révolutionnaire de 2011 à cette lumière si puissante que la structure de la plupart des pays arabes a volé en éclats. Sauf la Tunisie ! Depuis près de trois ans, en Tunisie tout est provisoire, le Président, les gouvernements successifs, les gouverneurs de région, les chefs d’administration, les directeurs des hôpitaux, etc. tous sont provisoires ! Et pourtant le pays n’a jamais cessé de fonctionner, plus ou moins bien. Fluctuat nec mergitur, la devise de Paris, convient bien à la Tunisie : Je flotte mais je ne coule pas. Et demain, 26 octobre, jour des élections, le bateau arrivera sain et sauf à son port.
La Tunisie traverse une véritable révolution, n’en déplaise aux esprits chagrins, ou bornés, qui ont de la révolution une représentation hollywoodienne, ceci quelles que soient les personnes qui, demain, dirigeront le Pays. Vous et moi avons un point commun avec ces futurs dirigeants. Nous avons tous un inconscient et c’est cet inconscient qui conduit le bal des destins individuels ou collectifs.
Qu’est-ce qu’une révolution ? C’est un changement de discours, de modèle. Un nouveau paradigme prend la place, lentement, insidieusement, progressivement, de l’ancien. Et ce changement de paradigme nous concerne, nous psychiatres.
Ce premier congrès des psychiatres tunisiens a eu le mérite de rassembler les courants les plus divers de la santé mentale. Peut-être pourrait-on subdiviser ces courants multiples en deux catégories.
Dans la première, le psychiatre se veut d’abord un scientifique, un médecin du substrat anatomo-physiologique.
Les tenants de la seconde catégorie pensent, eux, que jamais la subjectivité ne se réduira à une explication scientifique. La science étudie les échanges de matière et d’énergie, la subjectivité ne peut se réduire à ces échanges. Les neurosciences nous permettent de localiser dans le cerveau les structures encéphaliques liés à tel processus de pensée, à tel affect, elles nous en décrivent la physiologie et la dynamique , mais elles ne peuvent nous donner l’essence de ce processus de pensée, de cet affect.
Personnellement j’appartiens à cette seconde catégorie, et c’est comme psychanalyste que je vous parle.
Quel était l’ancien paradigme qui dominait sans partage les différents pays arabes et musulmans, Tunisie incluse ? C’était un modèle autoritaire, c’est à dire pyramidal, patriarcal.
Le paradigme démocratique vers lequel nous nous dirigeons pourrait être défini, grossièrement, comme une société de frères et de sœurs. La démocratie repose sur ce type de société fraternelle mais aussi sur l’égalité des femmes et des hommes. Ce type de société est certainement plus difficile à gérer qu’une société pyramidale, patriarcale.
Ce patriarcat va-t-il disparaître ? Certainement pas, mais il est désormais affaibli.
Freud a bâti la psychanalyse précisément sur le modèle patriarcal, sur une théorie du Père, gardien de l’ordre symbolique et modérateur des conflits. Ce schéma me paraît aujourd’hui insuffisant.
Pourquoi cet accent porté sur le Père ? Bien sûr, celui-ci est, ou devrait être , l’agent de séparation du sujet et de sa mère, sans quoi ce sujet s’engloutirait dans la psychose. Ce rôle du Père ne va pas disparaître, et on peut même regretter amèrement son affaiblissement. L’autorité paternelle, jusqu’ici de droit divin, est à réélaborer, à reconstruire, dans le contexte de la révolution féminine. Sur ce point aussi, la Tunisie joue son rôle de laboratoire.
Mais il y a aussi dans la rivalité au Père, quelque chose de relativement simple, d’optimiste. En effet, le conflit œdipien possède sa résolution, à savoir le meurtre symbolique du père et le renoncement à la mère comme objet de désir, sinon d’amour. Une fois le père mort, le conflit cesse.
En va-t-il de même dans la rivalité conflictuelle entre frères ? Car la fraternité n’est pas ce lieu d’amour que l’on imagine. Le meurtre du frère, son élimination, résout-il ce conflit ? Nullement, les frères sont comme les têtes de l’Hydre. Plus vous en coupez, plus il en repousse. Transposé sur la scène politique, on sait ce que cela donne.
Qu’attend-t-on de son frère (ou de sa sœur) ? Essentiellement qu’il vous ressemble le plus possible, qu’il partage les mêmes idées, les mêmes valeurs, les mêmes croyances, la même foi. Si cette ressemblance est insuffisante, vous allez rompre avec lui. Cela peut conduire à ce qu’on appelle la Purification ethnique. Seulement, une fois cette purification opérée, une fois éliminés les gens différents de vous, vous ne tardez pas à découvrir parmi ceux qui paraissaient si semblables à vous, des gens très différents, insupportables même, que vous allez souhaiter combattre, éliminer, etc.. Cette rivalité à l’autre du miroir est sans fin. Elle peut conduire au toboggan de la barbarie, ces toboggans que l’on voit proliférer ici et là.
Je pense que la psychanalyse devrait développer davantage sa réflexion sur cette question de la fraternité, non comme lieu d’amour, mais comme ressort de tous les conflits.
On a parfois reproché à Freud une inspiration religieuse, biblique, camouflée. Est-ce bien sûr ?
Sans vouloir choquer personne, permettez-moi un instant de considérer les textes sacrés, les textes fondateurs, non comme des météorites tombés du ciel, mais comme le dépôt d’une sagesse millénaire. Prenons le cas de la Bible. De quoi nous parle-t-elle dès les premiers chapitres ?
Du Père sous la forme de Dieu ? Peut-être. Mais dès la chapitre 3, voilà le premier meurtre, celui d’Abel, par son frère ainé, Caïn. Et ça continue, ça rabâche pour les sourds : rivalité des fils de Noé, rivalité d’Ismaël et d’Isaac, rivalité au bord du meurtre de Jacob et d’Esaü, puis des fils de David, qui s’entretuent, bref ça n’arrête pas.
De cette multiplication de récits de conflits entre frères, il ressort quand même une leçon, à savoir que la relation fraternelle est à la source de toutes les violences sociales. Elle paraît inépuisable. Serait-elle sans issue? Et voilà que la Bible nous présente soudain une figure merveilleuse, au physique comme au moral, Joseph le Juste, Yoseph Ha Saddik. Si cette figure mythique de Joseph tient ainsi une place importante dans le Coran, ce n’est pas pour rien. Dans la modernité, cette même figure a inspiré au grand écrivain allemand Thomas Mann, son chef-d’œuvre en quatre volumes, Joseph et ses frères.
Pourquoi ce personnage a-t-il une telle aura ? Justement parce qu’il représente le frère persécuté, presque mis à mort, puis vendu comme esclave par ses propres frères. Lacan le dira un jour, sans doute en allusion à son propre destin : « A quoi sert un frère ? A être vendu comme esclave en Egypte. »
Voila que dans un deuxième temps, ce Joseph est en posture de se venger de ceux qui lui ont fait tant de mal. Et pourtant, il n’en fait rien. Il surmonte ses pulsions et son agressivité, et il embrasse ses frères et les invite à suivre son exemple. Ce chemin idéal est celui de la sainteté et de la justice. Puissions-nous nous en inspirer !
Peut-être qu’en définitive, ce grand congrès s’est-il tenu sous le signe de Joseph, c’est-à-dire celui de rivalités fraternelles surmontées.
Nota del Direttore : Dal 2014 qualcosa è cambiato. Najla Bouden Romdhane (Kairouan, 1958) è una politica tunisina, Primo ministro della Tunisia dal 30 settembre 2021, nonché prima donna a ricoprire tale incarico in Tunisia e in una nazione a maggioranza araba. In precedenza nel 2011 aveva prestato incarico presso il ministero dell’istruzione superiore.
NDLR : quelque chose a changé depuis 2014. Najla Bouden Romdhane (Kairouan, 1958) est une femme politique tunisienne, Premier ministre tunisien depuis le 30 septembre 2021, et la première femme à occuper ce poste en Tunisie et dans un pays à majorité arabe. Auparavant, en 2011, il était employé au ministère de l’Enseignement supérieur.