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EUROPA – Torino: CONFERENZA INTERGOVERNATIVA E AGENDA EUROPEA. IL RUOLO DELL’ITALIA di Stefano ZAMAGNI


Si apre a Torino, alla fine di questo mese (marzo, n.d.r.), la Conferenza Intergovernativa che dovrà procedere alla revisione e integrazione del Trattato di Maastricht. Si tratta di un’occasione importante per dimostrare che, dopo tante emarginazioni ed esclusioni, “nonostante tutto l’Italia c’è”. E’ con questo in mente che, in quel che segue, svilupperò la seguente tesi: considerare l’unione monetaria come mero processo tecnico, rimuovere il suo contenuto socio-economico e la sua essenza esplicitamente politica, significa rovesciare i termini del progetto europeo, tradendone l’ispirazione originaria. Quella dell’Unione Europea è una storia di volontà politica e di forze socio-economiche. L’Europa ha conosciuto fasi in cui la spinta potente dell’evoluzione sociale ed economica ha trascinato politici esitanti verso la creazione di nuove istituzioni sovrannazionali e altre fasi in cui è stata una volontà politica lungimirante a incanalare tendenze spontanee disordinate, riluttanti o anche distruttive verso la creazione della casa comune. L’alternarsi di queste fasi ha reso possibile il cammino compiuto fin qui, e sia chiaro che non si tratta di impresa di poco conto. Eppure, la situazione attuale appare assai critica. E’ bensì vero che l’integrazione delle società e delle economie europee è un processo giunto ad uno stadio già molto avanzato. Ma integrazione europea non significa unione politica europea. Numerosi segnali indicano che, dalla fine degli anni ottanta ad oggi, l’abbinamento dei residui vincoli alla libera circolazione delle merci, persone e capitali ha creato uno “spazio europeo” in cui le forze socio-economiche sembrano appagate dall’attuale stato di integrazione. Le identità e le prerogative nazionali tradizionali sembrano rendere i popoli europei riluttanti a compiere ulteriori passi verso l’unificazione politica vera e propria. Al tempo stesso, al venir meno delle spinte “dal basso”, questa volta non sembra sorgere una forte guida politica del processo di unificazione. Ebbene, l’epicentro di questa crisi europea è la parte economica del trattato di Maastricht, che – ben inteso – non è tanto la causa quanto il sintomo del vuoto di volontà politica che si è creato intorno al progetto di unificazione europea, vuoto che è per ora occupato dal feticismo dei numeri dei cosiddetti parametri di Maastricht. Non voglio entrare in una discussione tecnica di tali parametri, ma richiamare l’attenzione su un aspetto assai più di fondo: la filosofia alla base del Trattato di Maastricht (sottoscritto nel gennaio 1992) ha imposto una svolta ad ” U ” rispetto al percorso tracciato dal celebre Rapporto Delors sottoscritto dai paesi membri nel 1989. La differenza che più colpisce è l’inversione tra mezzi e fini. Il Rapporto Delors poneva la Unione politica come fine ultimo dell’azione delle Comunità e la Uem come mezzo per rimuovere impedimenti alla convergenza macroeconomica e all’armonizzazione economica in generale, grazie anche a rafforzati strumenti fiscali federali. Il Trattato – come ora risulta palese – fissava la Uem come prerequisito per l’accesso alla Up attraverso un processo di convergenza da attuarsi sotto la esclusiva responsabilità di ciascun singolo paese membro. Ciò deve indurci a riflettere sulla posizione dell’Italia in questo processo. Nel nostro paese si fronteggiano dei “partiti” che propongono entrambi posizioni erronee per l’Italia e per l’Europa. Il primo, diciamo il “partito degli euroscettici”, si fa portavoce dei dubbi e del malcontento crescenti riguardo ai costi economico-sociali di Maastricht, con argomenti non infondati, ma che rivelano un fondo di nazionalismo politico-economico mirante a preservare un’illusoria e anacronistica autonomia nazionale rispetto alle ingerenze e ai vincoli comunitari. Il secondo, diciamo “il partito degli eurotodossi”, è ancorato all’idea del vantaggio per l’Italia di “legarsi le mani” vincolando la propria politica economica ad accordi imposti da istituzioni sovrannazionali credibili, vista l’incapacità di autoregolarsi. Ciò impedisce qualsiasi riflessione critica sullo stato di crisi del processo di unificazione europea e sull’inadeguatezza del Trattato di Maastricht. Come spesso accade, i due estremi si saldano, impedendo che l’Italia trovi una posizione equilibrata di impegno serio e credibile, da un lato, sul fronte del risanamento finanziario e, dall’altro, della integrazione necessaria del Trattato in maniera tale da salvaguardare la volontà politica di unificazione già chiaramente espressa dai grandi padri fondatori dell’Europa. Anche perchè un’Europa senza l’Italia sarebbe un’Europa contro l’Italia, dal momento che l’Italia resterà unita solo dall’Unione Europea. C’è allora da sperare che la Presidenza italiana voglia assumere l’iniziativa di (almeno) chiarire e definire tre questioni decisive. Primo, che non ha senso un’Unione economica che fissa soltanto vincoli di convergenza e non anche obiettivi di convergenza. Vale a dire, che non basta un “patto di stabilità”, come richiesto dal Ministro delle Finanze tedesco ci vuole anche un “patto di sviluppo” centrato sull’obiettivo della piena occupazione. Secondo, che più stringenti si fanno i vincoli monetari, più forte diventa l’esigenza di poter contare su una politica fiscale compensativa a favore delle regioni europee più svantaggiate. Terzo, che il vero problema che oggi affligge l’impresa europea non è quello di chi entra in Europa, prima o dopo (le due velocità; il nucleo duro; la geometria variabile), ma è quello di quale Europa del 21° secolo si vuole e si può costruire. Inserire nell’agenda della Conferenza tali questioni sarebbe già un notevole contributo del nostro paese alla costruzione della comune casa europea.

(pubblicato ne nr 2/1996 della rivista Helios Magazine)

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