L’interculturalità nell’area del Mediterraneo: fortificazioni e siti bizantini in Calabria
Di Maria Barreca (maria.barreca@tin.it)
Versione inglese
Dalla prima metà del VI alla seconda metà dell’ XI secolo l’Impero di Bisanzio fu titolare di diritti di sovranità su ampie porzioni del Mezzogiorno peninsulare d’Italia.
Alla fine del IX secolo, al culmine dell’espansione bizantina, questo spazio geografico giunse a coincidere con le attuali regioni di Basilicata, Calabria e Puglia. Ancora oggi, nella toponomastica di alcuni luoghi, si trovano termini bizantini. Bisanzio svolse in Calabria, Basilicata e Puglia un’opera di riorganizzazione e di assimilazione: i Bizantini favorirono nel Meridione d’Italia il miglioramento delle condizioni generali di vita sociale ed economica, salvarono dall’abbandono molte città antiche, ne fondarono di nuove e promossero dappertutto il recupero delle terre incolte e l’ampliamento degli spazi abitati.
(nella foto ROSETO CAPO SPULICO, CS, Italy: IL CASTELLOIn Italia la dominazione bizantina ebbe inizio sotto il regno di Giustiniano (527-565), con la guerra tra Goti, che già governavano in Italia, e Bizantini.
La campagna in Italia fu guidata da Belisario, luogotenente di Giustiniano, e cominciò dall’Italia meridionale. Belisario sbarcò a Reggio nel maggio 536 e risalì la penisola lungo il versante tirrenico. Il Sud dell’Italia peninsulare, ad eccezione di Napoli, si arrese pacificamente a Belisario, perciò questi, nel suo viaggio di conquista verso il Nord d’Italia, si servì del Meridione secondo le necessità logistiche della campagna in corso, come base d’attacco e fonte d’approvvigionamento per le truppe.
Mentre Belisario era impegnato nel Nord, nella conquista del Regno ostrogoto dell’Italia settentrionale, Totila, re degli Ostrogoti, approfittò per estendere i suoi domini al Sud peninsulare d’Italia, obbligando le popolazioni rurali a versargli tributi.
Belisario fece allora una seconda spedizione nell’Italia meridionale, durata cinque anni (544-548). Questa spedizione, tuttavia, non si concluse positivamente. Belisario, dopo uno sbarco di fortuna nel porto di Crotone, inviò parte delle sue truppe nella Calabria superiore per difenderla dai Goti presso Petra Sanguinaria, nelle vicinanze dell’odierna Cassano, e Lavula, forse l’attuale Torre Bollita, nei pressi di Nova Siri, tra la Lucania e il Bruzio. L’intento di Belisario era di prevenire la capitolazione di Rossano, sede di un presidio imperiale. Ma, a causa della sconfitta delle truppe di terra e del mancato arrivo di soccorsi navali, inviati in un secondo momento, gli assediati di Rossano furono costretti alla resa per fame e le terre e i beni degli aristocratici furono espropriati.
Giustiniano non si rassegnò a lasciare l’Italia in mano ai Goti e, nel 550 circa, mandò Narsete a guidare una nuova spedizione che si concluse con l’inizio del dominio bizantino sull’Italia.
Il 13 agosto 554 Giustiniano emanò, per richiesta di papa Vigilio, la “Prammatica Sanzione” con la quale riorganizzava l’Italia su principi di restaurazione imperiale. Furono abrogate le leggi di Totila ostili ai possessori di latifondo e questi furono reintegrati nei loro antichi diritti. L’Italia, lontana dal centro del potere imperiale, divenne una provincia nella quale ebbero importanza come funzionari locali i vescovi e il Papa. Il governo fu affidato ad un prefetto del Pretorio e capitale fu Ravenna.
I Bizantini crearono parecchie fortificazioni sul Golfo di Taranto, da Taranto a Crotone, a Rossano, fortilizio preesistente all’arrivo dei Bizantini. Le fortificazioni erano collegate alla costa ed inserite in un circuito il cui raggio si allargava fino a Gallipoli da un lato e Squillace dall’altro, munite di Castra nel VI secolo.
Nel 568 i Longobardi conquistarono l’Italia. L’espansione del ducato longobardo di Benevento tolse all’impero bizantino vastissime porzioni di territorio in Italia meridionale.
Nel tempo in cui era duca di Benevento Arechi (591-641) il dominio bizantino si restrinse in Lucania alla sola città di Agropoli, in Puglia alla città di Siponto e alla penisola salentina.Mentre più estesi e regolari erano i domini nell’estrema Italia meridionale, nella regione Brittiorum, dove vi era una rete di città collegate, da Reggio a Cosenza. La Calabria beneficiava di condizioni di maggiore sicurezza grazie alla vicinanza della Sicilia, ben presidiata e posta al riparo dagli attacchi dei Longobardi.
Nel 596 i Longobardi conquistarono Crotone. Fu papa Gregorio Magno a riscattare i prigionieri con il pagamento di trenta libbre d’oro. I Longobardi divisero il territorio della penisola in ducati. Anche la Calabria di età bizantino- longobarda poté assumere la sua fisionomia di provincia verso il 653, quando papa Martino I (649-655) la menziona come realtà politica ben definita.
All’indomani della morte di Costante II, sbarcato in Italia nel 663, Arabi e Longobardi di Benevento approfittarono per espandere i loro domini su tutta l’Italia meridionale, dove rimasero bizantine solo Gallipoli e Otranto. Ciò sconvolse, ma non scardinò, il ducato bizantino di Calabria. Centri bizantini erano in questo periodo in Calabria Locri, Thurii, Taureana, Tropea e Bivona, che si dichiaravano appartenenti all’ “eparchia” della Calabria nella lettera inviata durante il concilio di Roma del 680 da papa Agatone a Costantino IV.
L’imperatore Leone III colpì con una politica di restrizioni fiscali anche la Sicilia e la Calabria, comportando un aumento di valori imponibili per tutti i contribuenti. Inasprì la politica verso i pontefici ed espropriò parte dei loro patrimoni.
Tra VIII e IX secolo i possedimenti dell’Impero bizantino si ridussero via via al solo ducato di Calabria che comprendeva, da una parte, la Calabria a sud della valle del Crati e di Cosenza e dall’altra Gallipoli e Otranto sulla fascia costiera pugliese.
Nell’ 827, con lo sbarco arabo a Mazara, la Sicilia divenne provincia musulmana. Anche la Calabria risentì di questa nuova situazione: gruppi di Saraceni s’insediarono tra l’840 e l’842 nelle città di Taranto e Bari. La situazione diventò più precaria quando Tropea, Amantea e Santa Severina furono occupate dai Saraceni. Il dominio bizantino nell’Italia meridionale fu sempre in una situazione d’incertezza.
Tra l’855 e l’875 il sovrano carolingio Ludovico II attaccò i domini arabi nell’Italia meridionale. I bizantini tentarono di raggiungere con Ludovico II una comune intesa anti-araba, ma senza buoni risultati. Tra impero carolingio e impero bizantino, anzi, prevalsero rivalità ideologiche e politiche quando Ludovico II preferì l’accordo ai Saraceni per legittimare la sua sovranità a discapito di Bizantini e Longobardi, già stanziati sulle terre che egli desiderava annettere ai suoi domini.
Adelchi II, longobardo, principe di Benevento, prese prigioniero Ludovico II, che morì nell’ 875. Il che diede ai Bizantini possibilità di rientrare .
Fu Gregorio, baiulus, “giudice amministrativo” sbarcato ad Otranto nell’873, a portare avanti il primo tentativo di riconquista bizantina nel Sud. Egli riuscì a neutralizzare il potere di Ludovico II sul ducato di Benevento e a far riconoscere ad Adelchi l’egemonia di Bisanzio. Gregorio seppe salvaguardare il Mezzogiorno dagli attacchi dei Saraceni ancora presenti con salde colonie ad Agropoli e sul Garigliano.
Oltre ad essere interessante per i suoi siti, la Calabria ricorda imponenti figure di santi. A Palmi, San Fantino, notevole sia dal punto di vista religioso che per l’ameno paesaggio del luogo. La cripta del santo si trova a Taureana.
La Magna Graecia ha lasciato in Calabria gli innegabili segni della sua presenza, dalle scienze, alla letteratura, all’arte, ma sono senza dubbio i Bizantini che, con i loro monaci, hanno dato molto alle nostre popolazioni, con la loro sapienza e l’esempio di santità.
Oggi se ne vanno riscoprendo le liturgie, come la Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, dove “la musica interpreta l’idea delle cose dette”. Ma il suo fascino consiste soprattutto nel ricordarci che ciò che ancora oggi avviene avveniva mille anni fà, nei monasteri greco-calabri.
La cripta di San Fantino reca un acrostico: ”Io vado cantando con inni le meraviglie di Fantino, Cristo fece sorgere in Occidente come una luce, che illumina con i prodigi le anime di quelli che nella fede e nell’amore venerano la tua santa memoria…Mortificando la carne, fanciullo e semplice, …sollevato dalla terra verso i cieli ti sei innalzato con le tue virtù, e, divenendo compagno degli Angeli, ti sei mostrato medico splendido, curando ugualmente le anime e i corpi…Sempre ti affrettasti a proteggere i bisognosi e i poveri…o Fantino ispirato da Dio…O pieno di Spirito Santo, come all’asciutto hai passato a cavallo il Metauro”.
San Fantino “il Cavallaro” nacque a Taureanum intorno al 294 e morì nel 336, presumibilmente il 24 luglio. Allo stato attuale è l’unico santo calabrese dei primi secoli cristiani attestato da fonti storiche. Il biografo Pietro ci dà notizia di un tempio di San Fantino a Taureana, nei primi passi della Vita. Qui – si dice – si trovava il sacro recinto dove giaceva il corpo del Santo.
Attorno alla cripta sarebbe sorto un monastero femminile, le cui suore custodivano le spoglie del Santo e ne alimentavano la lampada perenne. Pietro si sofferma a raccontare inoltre i molti miracoli di Fantino, di alcuni dei quali si dichiara egli stesso testimone. Ne descrive ben diciannove, verificatisi nel tempio del Santo, tra cui quello di una profumata fragranza che, sparsasi dalla tomba, riempì la cappella. Il Santo meritò per questo l’appellativo di “mirovlita”, attributo bizantino che indica che dalla tomba emana unguento profumato.
La cripta è ricavata probabilmente dal ninfeo di un palatium di epoca romana, attribuibile al IV-V secolo. In esso è ancora presente una struttura muraria ricca di varie epigrafi in latino. Le pareti orientale e meridionale sono solcate da profondi archi ciechi, e in quella orientale si apre la bocca di un’antica condotta da cui sgorgava l’acqua, la cui presenza, attestata nella Vita del Santo, è ritenuta ancora oggi miracolosa. I muri interni recano le tracce di affreschi di epoche diverse: è ancora visibile la sovrapposizione della pittura bizantina, con i ritratti dei Padri della Chiesa, a quella di epoca romana.
Il Bios del biografo Pietro testimonia che, originariamente, la tomba del Santo era collocata nella cripta; poi, nel secolo VIII, ai tempi dello stesso Pietro, fu collocata nella basilica superiore, all’interno dell’altare. In seguito la chiesa fu distrutta, probabilmente a causa di un’incursione saracena e, intorno al X secolo, la tomba del Santo fu ricollocata nella cripta. La presenza delle reliquie è attestata, tra l’altro, dall’Archimandrita Terracina, che nel 1551 afferma di aver ritrovato il corpo di San Fantino tra le rovine della chiesa a lui dedicata. La cripta è il luogo di culto cristiano più antico di tutta la Calabria. Anche se adeguati studi a tal proposito non sono stati effettuati, si può ipotizzare che la tomba di San Fantino si trovi ancora sepolta in sito, probabilmente nei pressi della vecchia chiesa.
Accanto alla chiesa sorgeva
anche un piccolo monastero maschile. Le sue origini sono oscure e la Vita
del vescovo Pietro non vi accenna neppure, informazioni su di esso ci giungono
invece da una lettera di papa Gregorio Magno, datata 590, che parla di una monastero sito a Taureanum. Questo, governato dagli abati di San Fantino, sarebbe lo stesso che, nel 1457, fu ritrovato deserto ed ormai in rovina dal Chalkeopoulos e nel 1551 dall'Archimandrita Terracina.
Il complesso avrebbe subito una progressiva decadenza dal 951, data in cui si ipotizza la distruzione di Taureana, fino al 1552, data di ricostruzione della chiesa e del monastero ad opera del conte Pietro Spinelli da Seminara, città divenuta erede della distrutta Taureanum.
Sono passate per questo luogo numerose invasioni di barbari, Goti, Svevi, Normanni, Aragonesi, Saraceni, e si sono abbattuti numerosi terremoti, uno per secolo negli ultimi trecento anni: 1783, 1894, 1908. Ma tutto ciò, in passato, non bastò a fiaccare la volontà del popolo nel ricostruire ogni volta l'antico insediamento cristiano.
Testimonianza straordinaria della plurisecolare vita di San Fantino è una tela, scampata alle traversie del tempo, della Vergine tra San Filippo e San Fantino, databile al 1500 circa.
La composizione pittorica di autore ignoto fu restaurata, come attesta la vicina iscrizione, nel 1857. Essa, collocata sulla parete sinistra della chiesa, rientra nella consuetudine tardo-medievale della Biblia pauperum: spiegare al popolo le Sacre Scritture per immagini. La tela rappresenta l'Immacolata Concezione, il cui dogma fu promulgato da Pio IX nel 1854: la Vergine, dalla tunica bianca con manto azzurro, fra angeli osannanti e con ai piedi la falce lunare, viene esaltata nell'iscrizione come "Turris eburnea"e "Ianua Coeli". A sinistra è l'immagine di San Fantino in abito basiliano, con le braccia incrociate in preghiera; a destra l'apostolo San Filippo, martire in Asia Minore, in veste azzurra e manto rosso, il colore del martirio. Regge in mano il pastorale e la croce, secondo la liturgia bizantina. L'ignoto artista rappresentò inoltre, con molta fantasia, nella parte inferiore del quadro, il monte Sant'Elia e la marina di Pietrenere con a largo un veliero.
Oggi la vecchia chiesa di San Fantino a Taureana è un fabbricato degradato, in rovina, ulteriormente danneggiato da un maldestro e incompleto intervento edilizio. La cripta è ormai in completo stato di incuria e di abbandono. Persiste purtroppo il devastante disimpegno delle istituzioni, che nulla hanno fatto perché il sito ricevesse maggior rispetto.
Nel territorio di Melicuccà si trova ancora oggi la grotta di Sant'Elia lo Speleota. Superata Seminara e la zona di Sant'Anna, ci si inoltra in un territorio aspro e selvaggio, fatto di dirupi impraticabili, gole profonde, forre, anfratti, verde da ogni parte a perdita d'occhio. Ad una svolta della Provinciale una breve scalinata conduce alla grotta. Qui visse l'eremita Sant'Elia, operando portentosi prodigi, venerato tanto dalla Chiesa latina, quanto da quella greca.
I monaci ortodossi, ritornati di recente su questi monti dopo secoli di assenza, hanno riconsacrato la grotta. Sull'altare, le icone del Santo ci riportano ai secoli lontani, quando in ogni anfratto i monaci e gli eremiti studiavano e lavoravano. L'avanzata islamica nel Mediterraneo, in Palestina, in Grecia, in Egitto, in Sicilia, spingeva in questi rifugi inaccessibili sempre nuove ondate di religiosi. La Calabria divenne allora per l'Italia quello che erano stati nei primi secoli cristiani la Tebaide e il deserto d'Egitto.
Un particolare affascinante della grotta di Sant'Elia è la cosiddetta "goccia sacra". Dall'alto della grotta, seguendo una cadenza ritmica, sgorga dell'acqua, da sempre: una sola goccia, ma costante, cade in un'acquasantiera di pietra e la si beve come acqua miracolosa.
Nella zona di Seminara la Sacra Archidiocesi d'Italia sta portando a termine la costruzione di una nuova chiesa, dedicata a Sant'Elia. Questa dovrebbe costituire il nucleo intorno al quale far sorgere un monastero ortodosso. E' un'opera di stile greco-orientale, simile alla Cattolica di Stilo. Come vuole la tradizione antica per gli edifici di culto, l'abside è rigorosamente rivolto a Oriente. Dall'altra parte della strada sorge la chiesa cattolica di Sant'Antonio Abate.
La storia dei rapporti tra latini e greci in Calabria è fatta di sopraffazione dei primi sui secondi, fino alla completa soppressione del rito greco. Le ultime celebrazioni cessarono infatti a Gerace nella seconda metà del 1700. Il rito greco è poi rifiorito in Calabria nel 1900, con l'istituzione dell'Eparchia di Lungro, insieme a quella di Piana degli Albanesi, in Sicilia.
I cattolici di rito greco, sia in Sicilia che in Calabria, sono pacificamente uniti tanto a Roma quanto a Costantinopoli, perché mai ruppero i rapporti con nessuna delle due Chiese.
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