Mediterraneo: Fucina di arte, lettere e scienze

Di Giuseppe Comerci (gcomerc@jumpy.it)


Dalla metà dell’XI e fino al XIII secolo si assiste in Europa ad una  intensificazione dei contatti tra mondo orientale e mondo cristiano che erano già iniziati in Spagna dal IX-X secolo in poi. A Toledo re Alfonso X il Savio nel XIII secolo istituì un collegio di traduttori, dall’arabo in latino, che diffusero nelle università europee (Parigi, Oxford, Colonia, Bologna) i commenti arabi ad Aristotele e Platone, testi di medicina, fisica, astronomia, ottica, alchimia... Lo stesso avveniva a Palermo alla corte dei re normanni sino a Federico II ed anche oltre.

In queste brevi note mi sforzerò di mostrare che nel bacino mediterraneo, le culture cristiane, ebree e musulmane si intersecano continuamente, sicché a ragione Alessandro Bausani può parlare di un "Islam as essential part of Western Culture" ( Studies on Islam, Amsterdam-London, 1974). Nella cultura del mediterraneo si crea dunque una vera e propria koiné  di pensiero" (e si vd.   Roger Arnsaldez, A la croisée des trois monothéismes. Une communauté de pensée au Moyen Age, Paris, 1993) favorito dalla stessa civiltà araba che a sua volta, era frutto di una complessa integrazione delle culture di occidente e d’oriente (filosofia greca, scienza ellenistica, astronomia persiana e matematica indiana).

Questa complessità si coglie soprattutto in Italia meridionale dove si incontrano la cultura bizantina e quella mussulmana della Sicilia. Esse si intersecano e influenzarono a vicenda per cui alla copiatura di manoscritti greci da parte di amanuensi mussulmani corrisponde l’appropriazione da parte di Bisanzio di moduli propri dell'arte islamica.

Come è noto il risultato più significativo dell’influsso culturale arabo è costituito dalla letteratura scientifica e filosofica. In questo campo mi piace menzionare – per il suo ruolo nella cultura umanistica ed i controversi rapporti con la scienza moderna  la ricerca alchemica che occupa un ruolo notevole nella  cultura europea dei secc. XII-XVI.  L’alchimia era arrivata in Europa alla metà del XII secolo, con le traduzioni in latino di testi arabi, in Spagna. L’alchimia araba a sua volta erede di quella ellenistica, fiorita in Egitto nei primi secoli della nostra era produsse numerosi trattati scientifici  come  Il Libro di re Khalid, traduzione dall’arabo effettuata nel 1144, da Roberto di Chester, le opere di Jabir, la Tavola smeraldina, la Turba dei Filosofi, etc. le opere di Arnaldo di Villanova, dello pseudo Raimondo Lullo, di Giovanni di Rupescissa, di Bernardo di Treves.

Un altro campo della letteratura scientifica dove il rapporto osmotico fra le due culture è più avvertibile è costituito dalla medicina. In Occidente, dopo il crollo dell'Impero Romano, la scienza medica regredì. Gli Arabi, invece, mantennero molto viva questa disciplina, raccogliendo l'eredità di greci, latini, assiri, ebrei e indiani e apportando contributi originali al progresso medico.  Grazie alla cultura arabo-islamica l'Europa medievale potè recuperare quanto era andato perduto del patrimonio lasciato dal mondo classico, con nuove importanti scoperte. In Italia il fatto più importante di questo processo, fu la fioritura della Scuola salernitana che, sorta in tempi antichissimi (i primi insediamenti benedettini nel Ducato di Benevento verso la fine dell’VIII secolo) raggiunse il massimo splendore a partire dall’XI secolo, con l’arrivo a Salerno di Costantino l’Africano.  La produzione è ricca e numerosa. Qui basta ricordare la Articella, raccolta di testi medici di Galeno, Ippocrate e altri classici, oltre a scritti dei commentatori arabi; l'operetta di Ugo de Fouilloi, De medicina animaegli scritti di Alfano (1010-1085), monaco benedettino e studioso di medicina, e Costantino Africano (1015-1087), medico ippocratico, studioso della scienza dei Caldei, degli Arabi, dei Persiani, degli Indiani e degli Etiopi, traduttore di testi dall'arabo in latino, e il famoso The Anatomy of Melancholy del sacerdote inglese Robert Burton (1621) .

 

Ancora più significativi sono i rapporti in ambito filosofico. Con la traduzione in arabo dei classici greci e siriaci, l’influsso della filosofia plotiniana e il neoplatonismo si fusero con le correnti mistiche arabe e si integrarono con una visione magico-miracolosa della vita.  Nasce da qui nel periodo umanistico, una vasta produzione che unisce magia, filosofia ermetica, neoplatonismo e influssi arabi. Il mago rinascimentale diviene così un sapiente che mira alla conoscenza suprema come mostrano la qabbalah cristiana di Pico della Mirandola (1463-1494) e la occulta philosophia di Cornelio Agrippa (1486-1535).

Ma il debito occidentale rispetto alla cultura filosofica è più ampio.  Maria Rosa Menocal (The Arabic role in medieval literary history, Philadelphia, 1987), in un saggio sulle traduzioni dall’arabo compiute tra Palermo e Toledo, dimostra quanto è grande il debito che il mondo cristiano-europeo deve alla scienza e alla filosofia arabe. Questo fatto, peraltro, non doveva sfuggire ai contemporanei se Dante stesso nella Commedia  colloca Avicenna o Averroè, fra gli ‘spiriti magni’ del limbo e se in ambienti certamente non arabofili si studiavano e traducevano i testi dei grandi filosofi arabi. Basti qui ricordare Petrus Ispanus, filosofo francescano, nella cui teoria della conoscenza, secondo Gilson, "Avicenna si sostituiva espressamente a Aristotele per tutto ciò che concerne l’ordine mistico", o Raimondo Lullo, filosofo e teologo catalano (1232-1316), ammiratore di Avicenna e Averroè, come emerge dal suo Libro dell’Amico e dell’Amato. (Dialoghi mistici, Città Nuova, Roma, 1991). In campo filosofico, dunque il rapporto osmotico è strettissimo. Basti pensare solo alla diffusione dell’averroismo latino: che, dalle grandi università del Nord Europa a quelle italiane di Padova e Bologna, almeno fino al Cinquecento alimentò lotte e controversie tra averroisti e anti-averroisti. Anche in questo caso il rapporto fu facilitato dal fatto che il pensiero arabo-musulmano e quello latino-cristiano, facevano riferimento alla medesima tradizione culturale in quanto la cultura, la filosofia e la teologia arabo-islamiche sarebbero impensabili senza l’eredità filosofica greca, conosciuta nel mondo arabo-musulmano anche attraverso traduzioni dal siriaco e dal medio-persiano a partire dal IX secolo. Più tardi, come s’è detto, in Spagna e in Sicilia la cultura arabo-musulmana dava nuova linfa agli studi filosofici facendo rifiorire in modo mediato l’eredità greca.

E veniamo ora all’aspetto che più ci interessa. Nel Novecento alcuni studiosi hanno cominciato a proporre la tesi di precisi rapporti tra le letterature romanze e quelle musulmane. Il tema, affacciato negli anni Venti dall’orientalista spagnolo Miguel Asìn Palcios nel saggio La escatologia musulmana en la divina comedia (Madrid 1919; trad. italiana: Dante e l’Islam, Pratiche, Parma, 1994) venne successivamente approfondito in numerose ricerche, dal saggio di Enrico Cerulli intitolato Il Libro della Scala e la questione delle fonti arabo-spagnuole della Divina Commedia (1949) sino ai recenti studi di Cesare Segre, Maria Corti eccetera). Sono così emerse significative "consonanze" letterarie: fra Dante e poeti arabi come i persiani “Attâr (Il verbo degli uccelli, Se, Milano, 1986) o Sanâ” i (Viaggio nel regno del ritorno, Pratiche, Parma, 1993), che descrivano nei loro poemi viaggi dell’anima nell’aldilà. Secondo gli studiosi citati questo rema indicherebbe un “contatto di culture” in quanto avrebbe un retroterra filosofico comune nelle concezioni neoplatoniche lette attraverso le rielaborazioni di Agostino o Avicenna Recentemente poi Henry Corbin ha colto la stessa influenza nella formazione di idee-simbolo che caratterizzano la concezione dell’amore nello Stilnovo e nella tradizione letteraria medievale come quella della "donna-angelo", (Avicenne et le récit visionnaire, Teheran-Paris, 1954). La mente corre subito alla Vita Nuova che descrive i sentimenti amorosi del poeta in una maniera idealistica, con una  spiritualità molto prossima al misticismo. Vale la pena ricordare che il teologo ispano-musulmán Ibn Hazm (994-1064) richiami "la vita rinnovata", al-haiá al-mu˙addada, nell’opera "La collana della colomba", Tawq al-hamama, (Lei Ibn Hazm di Cordova: La collana della colomba, Alleanza, Madrid, 1979) definizione che l'islamólogo italiano Francesco Gabrieli (Roma) 1904, commenta con queste parole, "per le sue vicissitudini esterne, e soprattutto, per l'intimo naturale austero, la passione politica e religiosa ed il culto dell'ideale, la vita di Ibn Hazm ricorda, conservate debitamente le proporzioni, quella del Dante." 

Ma prima ancora di Dante e dello Stilnovo l’influsso della letteratura araba si era già manifestato nella scuola siciliana, che pur riecheggiando prevalentemente motivi e stilemi dei poeti della Provenza e della Germania, risentiva di innegabili influssi della mistica amorosa arabo-persiana. Il processo dì formazione di questo straordinario incontro di culture alla corte di Federico II è ormai sufficientemente chiaro.

Costanza d’Aragona, porta canzoni e trovatori provenzali nella corte di Palermo; in una  Sicilia, permeata di influssi arabi, magno-greci e bizantini. Questi trovatori non erano ignari della cultura araba. Infatti nel secolo VIII quando i musulmani dominarono per breve tempo la Languedoc si diffuse in quell’area l'imitazione dei poeti andalusi che apportarono forme poetiche nuove legate alla musica. Questi trovatori, come Guglielmo IX, 1071-1126, e Marcabrun, 1130-1148, che frequentavano le corti già raffinate di Provenza ed i castelli di Aquitania, avevano creato un lirismo innovativo, le forme di una poesia popolare ed esperta, (cfr. A.R. Nykl: Ispanico-Arabic Poetry and its Relations with the Old Provençal Troubadours, J.A. Frust, Baltimora, 1946.). Fu proprio questa stessa poesia provenzale quella che passò innanzitutto a Sicilia, alla corte di Federico II. Qui essi si incontrano con la cultura orientale, largamente attestata alla corte di Federico, e con un  mondo nuovo, fatto di usi esotici e leggende fantastiche. In Sicilia i trovadori occitanici trovavano una realtà diversa dalla loro soprattutto dal punto di vista antropologico-sociale. La donna non era la signora dei castelli, o la cortigiana della Provenza e dell'Italia del Nord; la vita di corte non era costellata da facili amori. Le donne siciliane erano affatto diverse e le passioni qui assumevano una intensità corposa fatta di amori intensi e segreti, gelosie, furori e vendette.

Alla corte di Federico trovò inoltre spazio la poesia cavalleresca francese. Portata nell'isola dai Normanni e dai Crociati, trovò un terreno fertile per svilupparsi ma si diffuse soprattutto a livello popolare e nella tradizione dei canti orali. Le leggende, di Artù, e dei paladini acquistarono subito un colorito locali e si mescolarono con le leggende di Saladino, importatevi dall'Oriente. E così si fusero mirabilmente i canti de' trovatori, le novelle orientali, la Tavola rotonda, in un contatto mirabile con popoli diversi di vita e di coltura.

Chiarissimo e direi conclusivo il giudizio di Adolf Friedrich von Schack: Poesia ed arte degli arabi a Spagna e Sicilia, Hiperión, Madrid, 1988, pag. 306: "Nella stessa corte di Federico nacque la scuola poetica siciliana, la prima che usò la lingua volgare e della quale deriva la tradizione dalla letteratura nazionale dell'Italia. Imitando la moda delle brillanti corti musulmane della Spagna, Federico si circondò di poeti arabi, splendidamente pagati che cantassero l'elogio delle imprese imperiali nella sua propria lingua arabica e dilettassero il suo spirito con amorose rime. E è un fatto ben suggestivo per la storia del contatto di entrambe le letterature, cristiana ed islamica, la convivenza di questi trovatori arabi con altri trovatori cristiani che cercavano di emulare l'abilità artistica dei loro colleghi infedeli nella lingua volgare nascente. Benché si ammetta solo il contatto esterno della moda, senza influsso interno alcuno nella tecnica dei trovatori siciliani, basterebbe questo fatto come sintomo di altre imitazioni letterarie. Sebbene questo faretto di cultura islamica, alimentato dalla dinastia normanna di Sicilia, dovette avere influenza notevole sulla diffusione delle lettere e scienza arabi per l'Europa cristiana, la sua importanza impallidisce fino a eclissarsi, paragonandolo col più brillante faretto acceso nella Spagna medievale, la quale offre gli stessi fenomeni che Sicilia, ma con intensità ed estensione incomparabili, e da una data molto più remota, a partire dal secolo VIII della nostra era, cioè, tre secoli prima che i normanni approdassero a Sicilia. 

Un altro capitolo degli influssi arabi sulla cultura letteraria è forse possibile trovarlo nella epistolografia. Ettore Paratore, seguito da altri studiosi ha infatti dimostrato in modo inconfutabile come "la fiorentissima retorica araba... abbia potuto contribuire alla formazione, se non proprio dello stile, almeno del contenuto (che, sotto un certo aspetto, è lo stesso) della prosa cancelleresca federiciana" . Numerosi sono gli elementi addotti dallo studioso: i titoli di origine bizantina e il carattere divino del sovrano che corrispondono ai  coevi titoli arabi; la caratteristica prosa fiorita fino al barocchismo, tipica delle cancellerie musulmane e peraltro diffusa nella cultura latina coeva. Paratore dunque conclude ipotizzando un processo osmotico tra la prosa aulica orientale ed occidentale. Ciò troverebbe conferme nell’epistolografia privata come dimostra il famoso epistolario di Pier della Vigna, dove è possibile rinvenite quella mescolanza di prosa e versi che era caratteristica comune dell'epistolografia araba e quella federiciana. Né vanno trascurati alcuni stilemi e frasi ricorrenti in epistole arabe e ripresi dai dictatores federiciani.

Per concludere va ricordata la possibile influenza della filosofia araba su  Cavalcanti Il poeta, infatti, in rapporto con gli ambienti averroisti di Bologna, conduce nelle poesie un'indagine sull'origine, la natura e gli effetti della passione amorosa. Nella canzone dottrinale Donna me prega l’influsso della filosofia e della medicina orientale appare evidente nelle metafore (la battaglia d'amore, con ferite, "sbigottimenti", intervento degli spiriti vitali, paure, fughe, distruzione e morte) che richiamano le concezioni della trattatistica medica medievale (derivata dagli arabi) sulla "malattia d'amore".

In conclusione affinità e differenze caratterizzano questa koinè culturale che è l’area mediterranea dove si sono intrecciate diverse civiltà e culture   vecchie e nuove: dopo la greca e la romana, la bizantina, la provenzale, la spagnola l’araba sparsa nelle varie regioni, la croata,  la serba con la montenegrina, la macedone la bulgara, l’albanese, la rumena, la turca e forse altre ancora, precedenti all’epoca greco-romana, o contemporanee ad esse sicché questo mare non è “mare nostrum” come volevano i romani ma il luogo dove può affermarsi la cultura della multietnicità e dell’accettazione e comprensione dell’altro.

 

 


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