ITALIANI PER CASO
La globalizzazione sta creando un nuovo feudalesimo
di Pino Rotta
Se nasci in paese del cosiddetto "terzo mondo" hai praticamente due possibilità: o sbarchi in una culla imbottita di seta e piume d’oca e ben presto ti accorgi di essere capitato dalla parte "giusta" o apri gli occhi su di un pagliericcio tra insetti e puzza e capisci subito che sei "capitato male" perché bene che vada riuscirai a diventare adulto ma la puzza e gli insetti ti rimarranno addosso finchè campi assieme alla puzza. Non è che lo scegli, semplicemente ti capita, possiamo chiamarlo destino, ma forse sarebbe più giusto definirlo calcolo delle probabilità. E quella di capitare dalla "parte sbagliata" in quei paesi è una probabilità enormemente alta.
Quello di nascere e vivere per tutta la vita nella condizione in cui si è nati, e fare dei figli che avranno la stessa sorte, ci richiama alla mente la condizione della società feudale nel Medioevo europeo. Una condizione storica in cui le classi sociali erano rigidamente separate e statiche, regolate con un sistema normativo che era adatto a preservare questa divisione. Un periodo lungo della nostra storia che, uscendo dalle classificazioni accademiche che si è solito attribuirgli, è durato più di mille anni, dalla caduta dell’impero romano alla rivoluzione francese all’incirca. Mille anni. Forse non ci pensiamo abbastanza ma la divisione in classi sociali chiuse e separate è stata, anche nell’Occidente oggi emancipato e tecnologico, una condizione che ha tenuto legati milioni e milioni di uomini e donne al loro destino fino all’epoca in cui l’organizzazione dell’economia e del commercio non ha reso inadeguata questa condizione e lanciato questi uomini nell’arena del mercato, trasformando gli aristocratici in ricchi e la plebe in proletariato, cioè in poveri. Il ceto medio è una classe sociale recente nella storia dell’umanità e forse già comincia a prendere la strada di un nuovo Medioevo, con tanto di paure ed intolleranza connesse.
Questo può sembrare assurdo, ma provate a pensare alla globalizzazione ed ai suoi effetti sociali. Quello che per poco più di un secolo è stato visto come "progresso", inteso in senso ampio e non solo nel senso scientifico del termine, e che ha dato la possibilità alle classi sociali più povere di accedere ad una condizione di vita migliore, di dare un futuro ai propri figli diverso da quello dei padri, avviando lo sviluppo del ceto medio, oggi viene messo in discussione dalla nuova e più massiccia concentrazione di ricchezza nelle mani di un numero sempre più ridotto di persone che spostando capitali e produzioni nei paesi in via di sviluppo, dove le condizioni di povertà garantiscono il mantenimento di bassi salari e condizioni di sfruttamento del lavoro (anche minorile) sta mettendo in ginocchio quello che siamo abituati a chiamare "stato sociale", cioè quel sistema di garanzie (salute, pensioni, istruzione) che un secolo di lotte aveva imposto per mitigare l’aggressività del capitalismo, riuscendo a strappare non solo condizioni di vita migliori per i proletari ma anche una presa di coscienza del diritto degli individui ad essere riconosciuti come persone e non solo come strumenti di produzione. Oggi il capitalismo della globalizzazione semplicemente sposta i suoi territori d’impresa, con le buone o con le cattive (guerre incluse) e butta il ceto medio occidentale in una "guerra tra poveri", in una competizione cioè tra noi occidentali impauriti dalla possibilità di perdere le condizioni di vita che avevamo conquistato nel secolo scorso ed i poveri dei paesi in via di sviluppo che tra la fame e lo sfruttamento non hanno altra scelta che farsi sfruttare pur di campare e chi non è ancora entrato nella "possibilità di vita da sfruttato" (ma comunque di vita!) sbarca sulle nostre spiagge sfidando il mare e la sorte, non solo perché forse troverà un lavoro per sé e per i propri figli, ma anche solo perché da noi, anche da emarginato, comunque riesce a vivere, cosa che nei paesi d’origine, spesso a cause delle guerre e delle malattie, insomma della miseria, non riesce a fare.
Questo aumenta il senso di insicurezza di noi occidentali e, come nell’arena dei gladiatori, fomenta la lotta per la sopravvivenza. Il problema è che tutto questo ci distrae dalle reali cause di tutto ciò: la legge di un mercato senza regole, non quello che vediamo tutto colorato in televisione, ma quello sotterraneo dei capitali che migrano dall’Italia all’Argentina, dall’America all’India, dall’Europa ai paesi dell’ex Unione Sovietica, tra un intrigato marasma di corruzione, mafia, immigrazione clandestina, nascita di governi fantocci, eliminazione di tiranni ormai inutili e scomodi. Noi siamo spettatori ed attori di questa nuova scena della storia. Noi e l’invasione dei nuovi barbari, noi e gli altri, noi e coloro che, anzicchè essere nostri alleati contro i burattinai che muovono i fili sono le marionette che inscenano con noi questa pantomima della storia dei nostri giorni.
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