Non si sono ancora placate le polemiche scatenata dal romanzo "Il Codice Da
Vinci" che la pubblicazione di un altro libro viene a turbare nuovamente
l’autorità della Chiesa e le coscienze dei cattolici. Se con il best seller di
Dan Brown
era stato sufficiente affermare che si trattava solo di un prodotto di fantasia
privo di basi storiche per "bollarlo" come una "trovata pubblicitaria", con il
libro "Inchiesta su Gesù" di Corrado Augias non può essere ripetuta la stessa "tattica"
e sperare di ottenere il medesimo risultato. L’impossibilità di una
semplicistica e sommaria critica del libro in questione è determinata dal fatto
che il giornalista Augias non si limita ad esprimere le proprie opinioni e
perplessità sulla figura storica di
Gesù, ma utilizza le stesse come base da cui far partire una serie di domande
rivolte ad uno dei massimi conoscitori del cristianesimo, lo storico e biblista
Mauro Pesce. Il libro è pertanto fondamentalmente un esauriente saggio storico,
anche se in forma di intervista, sull’uomo chiamato Gesù e come tale va
considerato. Teologi e intellettuali di formazione cattolica hanno comunque
alzato un coro di proteste perchè secondo loro indagare sulla vita di Gesù, come
se fosse un qualsiasi personaggio storico, significa offendere la fede di chi
crede nel " figlio di Dio", dimenticando che generazioni di teologi hanno
trovato nell’esistenza storicamente accertata di Gesù un’arma contro gli
attacchi di un certo ateismo qualunquista. Dopo venti secoli la Chiesa non vuole
cambiare atteggiamento e, sempre più lontana dalle masse di credenti e non
credenti, cerca di imporre la sua visione di una "Verità" unica e incontestabile,
la verità della fede. Verità che paradossalmente
non può essere né provata né negata in quanto "intima certezza", ma proprio in
nome di questa "Verità", secondo la Chiesa, si dovrebbe fermare la ricerca della
verità storica. Lo scontro è tra i più antichi: credere senza conoscere (la
verità della fede) o conoscere per credere (la fede nella verità). Scontro che
nasce per un principio errato: l’unicità della verità. Quando Pilato chiese a
Gesù "Cos’è la verità?", come risposta ottenne un lungo silenzio, silenzio che
io non interpreto come l’impossibilità di comunicare cosa sia la verità ma come
l’affermazione che è il silenzio stesso la risposta, perché in quella pausa
convivevano tutte le più diverse e possibili risposte. Per sintetizzare al
massimo l’analisi sviluppata nel libro "Inchiesta
su Gesù", riporto una piccolissima ma significativa parte della postfazione di
Mauro Pesce: "Gesù
era un ebreo che non voleva fondare una nuova religione. Non era un cristiano." Il
Gesù storico che ci viene presentato da Mauro Pesce è molto distante dal Gesù
della fede o per meglio dire da quello riconosciuto dalle chiese cristiane, ma
dalla sua analisi ad essere messa in discussione è la "fede" o l’origine storica
del cristianesimo? Sono molte le riflessioni che nascono dalla lettura di questo
libro: nella nostra società , ad esempio, ormai divenuta multietnica, quanti tra
quelli che si definiscono cristiani conoscono il vero significato delle
festività religiose che con tanto ardore sono disposti a difendere
dall’ipotetica "invasione culturale" islamica? Forse tra la verità della fede e
quella della conoscenza c’è un’altra verità, quella dell’intuizione. Un poeta "pensante"
scrisse "quando
gli dei erano più umani gli uomini erano più divini": pertanto
nel ricercare i lati umani di Gesù non si commette nulla di offensivo nei
confronti della fede, anzi è proprio riconoscendo a Gesù delle debolezze umane
che si può attribuire al suo sacrificio un valore eccezionale. Personalmente al
Gesù figlio di Dio ho sempre preferito il Gesù figlio dell’Uomo e se il compito
della religione è quello di mettere in "relazione" gli uomini con Dio, essa non
può ignorare che nell’animo umano abitano sia l’esigenza di credere che l’ansia
di conoscere.