Società
La ribellione silenziosa: Precariato e nichilismo
Flessibilità! Negli anni 90 per molti rappresentava la risposta alla crisi occupazionale che incombeva e incombe sulle nuove generazioni delle società postindustriali, quella occidentale ma anche quella giapponese. Dopo l’inganno della speculazione selvaggia della finanza mondiale, protrattosi per una decina d’anni e venduto con clamore come la nuova ideologia della globalizzazione. Dopo che il sogno della ricchezza facile e veloce per tutti si è rivelato un incubo per milioni di persone nel mondo sulle ceneri di quella falsa ideologia neoindividualista è rimasto un numero incredibile di giovani compresi, oggi tra i 25 e i 35 anni, che in tutte le società postindustrializzate "vagano" da alla ricerca di un futuro. Si definiscono i "freeters" (dall’inglese free cioè libero e da tedesco arbaiter che significa lavoratore) e sono i veri fantasmi del mercato del lavoro dei nostri giorni, giovani senza una formazione e senza interessi culturali. Soprattutto nelle grandi città come Roma, Londra, Parigi, New York o Tokio dove le protezioni sociali sono minime se non inesistenti i freeters passano il loro tempo in attesa di un contratto occasionale, di breve durata e sempre poco pagato. Nel molto tempo libero a loro disposizione occupano gli spazi anonimi di internet-café o occasionali ritrovi di parchi, metropolitane o pub.
Nelle situazioni più estreme, come nelle megalopoli di New York o Tokio, sono dei veri e propri abitanti di questi luoghi, nel senso che non avendo la possibilità di mantenersi un appartamento vicino ai "dispensatori di contratti a termine" diventano in un certo senso affittuari di postazioni internet dove per pochi soldi possono trovare rifugio per passare la notte, dormendo sulle panche degli internet-café.
Non ci sono cifre ufficiali sul reale numero di giovani in queste condizioni ma alcune stime parlano di un terzo della popolazione attiva, solo in Giappone si parla di circa 2.000.000 di giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni.
La caratteristica di questa nuova classe sociale è la totale mancanza di prospettive per il futuro, con un atteggiamento di rifiuto verso tutto ciò che è idea di progresso e di convivenza. Una condizione che certo ha ed avrà delle conseguenze molto pesanti sulla stabilità sociale nei prossimi decenni ma che già oggi manifesta delle conseguenze sia in termini di sicurezza sociale che in termini di orientamento politico.
Questi giovani infatti cominciano a prendere coscienza del loro stato di emarginati cronici e cominciano ad organizzarsi dando voce e rappresentanza al loro mondo di asocialità. A differenza dei disoccupati dell’epoca industriale che davano sfogo alle loro frustrazioni reclamando diritti ed organizzandosi in partiti e sindacati, per lo più orientati verso il sogno della rivoluzione comunista, i precari della nostra epoca, coscienti di non poter mai più raggiungere una posizione sociale all’interno della piccola e media borghesia come lo fu per i loro genitori, danno corpo alle loro ansie ed alle loro frustrazioni con ideologie di tipo nichilista, xenofobo, neonazista. In altri termini, verso una società che li rifiuta, alzano bunker di distruttività e di autodistruttività. Attività di microconflittualità non sono più casi isolati, i "casseurs" delle periferie francesi o le azioni squadriste dei numerosi naziskin sparsi ormai in tutti i paesi occidentali e giapponesi, così come la dilagante "microcriminalità" che scuote le nostre società non sono il sintomo di una politica debole sul piano dell’ordine pubblico, non servono più poliziotti per fronteggiare queste situazioni è necessario prendere coscienza della nuova e devastante condizione sociale in cui vivono oggi milioni di giovani e dare risposte in termini prima di tutto di tutele sociali di primo intervento d’urgenza e soprattutto è necessaria una grande svolta nella concezione del lavoro che va riproposto come valore sociale e collettivo e non più solo in termini di fattore di mercato.
Costerà adottare queste soluzioni? Certo, costerà e anche molto e per molto tempo, d’altronde ne paghiamo già il prezzo, ma non c’è alternativa a questa scelta a meno che non si voglia reintrodurre nelle nostre società il sistema delle caste chiuse; a meno di non volere, e l’esempio degli Stati Uniti è sotto gli occhi di chi vuol guardare, una società fintamente democratica ma in cui in definitiva a governare è la forza militare, in cui a prendere le decisioni sono solo coloro che hanno molto da difendere in termini di privilegi e di ricchezza e, drogando l’informazione, tengono nel terrore la gente per giustificare uno stato permanente di polizia, malamente dissimulato.
In ultimo uno sguardo al nostro Paese. Il fenomeno del precariato è diffuso quanto in tutti gli altri paesi occidentali, attenuato solo da uno stato sociale e da una cultura familiare che però non reggono più il peso di questa realtà. In Italia si corre un doppio rischio: da un lato non si vedono all’orizzonte politiche di stabilità occupazionale e dall’altro, e per conseguenza, si tende a delegare le funzioni di assistenza sociale alle organizzazioni di tipo religioso, confessionale facendo scivolare sempre di più il nostro paese verso una cultura chiusa ed antiprogressista.
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