società

Discriminazione e sub cultura della violenza

di Pino Rotta


Discriminazione razziale, sessuale, religiosa e la violenza che sempre si accompagna a queste condizioni sono tutte associabili ad una visione chiusa, egoistica ma anche fobica della vita in sé.

La violenza in tutti questi aspetti della discriminazione non è una variabile, essa è insita in qualunque tipo di comportamento della persona che agisce per discriminare. A volte accadono episodi eclatanti di violenza come l’assassinio, lo stupro, il pestaggio, molto più spesso invece la violenza è verbale, gestuale, psicologica, meno cruenta ma che non ferisce certo di meno chi la subisce.

Discriminazione, termine che letteralmente significa separazione, differenziazione, indica il sentimento di chi vede l’altro come diverso, sempre in termini negativi, cioè un diverso a cui manca qualcosa rispetto a chi lo guarda con questo pregiudizio. Quindi chi discrimina è incline alla "pulizia", alla purezza della razza o all’oggettivazione della persona, privata così della propria essenza umana e della propria personalità. In campo religioso si vede l’altro come portatore di uno stato di peccato, di dannazione, di impurità.

Nessuna religione accetta l’uguaglianza di tutte le persone davanti al divino. Nelle chiese si predica ma non si pratica l’uguaglianza degli uomini e ancor meno delle donne. Nelle madrasse non si predica e non si pratica. E la violenza è storicamente lo sviluppo di questa visione del mondo. Le guerre di religione non sono mai finite da quando esiste l’organizzazione sociale poggiata sulla morale religiosa. La chiesa che predica il cristianesimo ha agito nella storia con inaudita ferocia nei confronti dei "miscredenti" e non solo nei secoli passati, anche oggi in alcune realtà, come gli avanzati e potenti Stati Uniti si uccidono i medici che praticano gli aborti, anche se le leggi dello Stato puniscono questi atti di violenza, ciò non toglie che esistono delle folte comunità che, nel nome di Cristo, predicano e spesso praticano dottrine razziste, omofobe ed il più delle volte sessiste.

Certo occorre tenere conto che la chiesa cattolica ha subito, suo malgrado, nel corso degli ultimi due secoli l’influsso benefico dell’Illuminismo e nel corso della seconda metà del secolo scorso ha dovuto fare i conti con le spinte di emancipazione della donna e degli sfruttati, prendendone atto nell’ambito del Concilio vaticano II°, ma è una tendenza che vede contrapposte, all’interno della stessa chiesa, due dottrine: quella sociale e quella tradizionalista, quest’ultima oggi in forte ripresa.

Il mondo islamico è oggi la manifestazione più appariscente di queste di queste pratiche di discriminazione, con la drammatica assunzione della religione come giustificazione divina dello scontro politico attuato con la jihad, la guerra santa, o con il martirio suicida in nome di Dio.

Non meno violento è il trattamento subito dalle donne e dagli omosessuali nella cultura islamica che arriva alla lapidazione delle adultere ed alla pena di morte, o al carcere duro, per gli omosessuali.

Razzista, omofobo e fanatico della purezza. Questo è il profilo tipico di un individuo maschio imbottito di rabbia nazifascista, ma sarebbe un grossolano errore pensare che gli impulsi che muovono le azioni violente di questi individui (o gruppi) appartengono in esclusiva a questa categoria. Non dimentichiamo che non è l’appartenenza ad una categoria che ne determina la condivisione di principi e norme comportamentali, queste semmai vengono agite per dimostrare la propria "militanza", ma le spinte a commettere azioni violente contro minoranze razziali, contro le donne e contro gli omosessuali sono esse stesse a determinare la scelta di appartenenza, il gruppo, quando esiste, non fa che rafforzare l’autopersuasione.

Le motivazioni a determinati comportamenti vanno ricercati nell’ambito di una cultura diffusa e predominante.

Oggi rispetto a 30-40 anni fa, quando la cosa destava scandalo, non è raro vedere esaltate pratiche inneggianti al militarismo, alla forza fisica, si assiste addirittura alla diffusione dei cosiddetti "giochi di guerra", grottesca simulazione della realtà, il linguaggio comune ne viene pervaso, diventa veicolo di modi di essere, di concezioni del mondo. E’ proprio il linguaggio che tradisce, anche quando non accenna esplicitamente alla violenza, il concetto del rifiuto, della prevaricazione, della diversità di razza, sesso e religione.

Lo avevano ben capito i nostri padri costituenti che 60 anni fa posero già all’articolo 3 della Costituzione repubblicana l’imperativo della nostra civiltà: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali."

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