Società

L’ignoranza partorisce mostri

di Pino Rotta


In Italia, ascoltiamo sempre più spesso, in talk show televisivi, per voce di esponenti politici e commentatori onnipresenti, che la globalizzazione, sviluppatasi negli ultimi venti anni, con le sue conseguenze di mobilità di masse di uomini e donne dai paesi più poveri a quelli più ricchi ha causato il rigetto della gente "indigena" nei confronti di "quelli che ci invadono".

Secondo queste tesi ci troveremmo in due situazioni di fatto: primo che la globalizzazione è un fenomeno nuovo dei nostri tempi, secondo che gli italiani si sentono minacciati dall’afflusso di tanta gente diversa da noi.

Queste due affermazioni, pur avendo parti di realismo emotivamente evidente e fatto percepire, spesso da una strumentalizzazione mediatica, poggiano su macroscopici errori di analisi sia storica che sociologica.

Dal punto di vista storico non serve avere fatto studi specialistici per ricordare che tutta la storia dell’umanità, da sempre, è stata una storia di migrazioni, meticciati, mescolamenti di culture, di lingue, di religioni, di nazioni che hanno cambiato nome più e più volte. Tanto per dare un rapido sguardo, solo nei periodi storicamente documentati, possiamo guardare ai Celti che partendo in più ondate dal Caucaso conquistarono e resero "celtici" quasi tutte le popolazioni dell’Europa dall’Ungheria alla Germania e all’Italia del Nord, dalla Francia alla Gran Bretagna ed Irlanda, dalla Spagna al Marocco, e poi i Greci che colonizzarono il Mediterraneo dilagando nella Magna Grecia, dopo di loro i Romani che portarono il loro modo di vivere e di parlare dalle rive del Danubio a quelle del Nilo, dai Turchi Ottomani che spinsero il loro impero ad insediarsi fino ai territori dell’attuale Bulgaria e dei Balcani fino ai primi del 1900, e arrivando, in epoca moderna, alla conquista delle Americhe ed alla loro colonizzazione cominciata nel 1600 continuata nel 1900 e non ancora terminata. Come ha ben spiegato il prof. Luigi Cavalli Sforza, le razze non esistono e le culture cambiano.

Certo la mobilità delle odierne migrazioni, ad una massa di gente sempre più disinformata sulla propria storia e sulla storia in generale, appare come un fenomeno nuovo e sconosciuto. Nuovo in parte lo è se consideriamo che, dopo il dramma nazifascista e la catastrofe della seconda guerra mondiale abbiamo vissuto mezzo secolo di pace europea, occidentale, periodo in cui le nostre società si sono sviluppate ed hanno potuto progredire tecnologicamente e socialmente. Ma il resto del mondo ha continuato a vivere nello sfruttamento coloniale e quando le guerre e la miseria sono state messe a confronto con quello che arrivava dalle televisioni satellitari dal prospero Occidente, a milioni hanno cominciato a mettere in gioco la propria vita per "fare fortuna" dove si poteva vivere senza guerre, povertà e malattie.

La seconda argomentazione errata è che gli italiani si sentano minacciati dall’arrivo degli "invasori". Argomentazione errata e fuorviante. Gli italiani si sentono minacciati dai poveri disperati e senza nulla da perdere. Non si sentono affatto minacciati dalle centinaia di migliaia di uomini e donne che, arrivati da molti anni nel nostro paese, si sono fatti la loro vita e hanno cominciato a costruire quella dei loro figli.

Ma, si dirà, possiamo negare che la microcriminalità negli ultimi anni è aumentata e che gli autori di questi crimini sono quasi sempre stranieri, albanesi, rumeni, che oggi, per ragioni politiche vengono distinti dai Rom?

La risposta è no, non possiamo negarlo. Ma la politica, prima ancora che la gente comune ha il dovere di assumersi le proprie responsabilità storiche.

Gli albanesi e i rom non spuntano dal nulla. Spesso si dimentica che negli ultimi quindici anni l’Europa ha portato, dopo aver favorito lo scoppio delle guerre civili fornendo armi e addestramento militare, le sue bombe nei Balcani, e che pur di accelerare la caduta dell’Unione Sovietica, ha preferito assistere alla dissoluzione nella corruzione e nel cannibalismo sociale, di tutte quelle nazioni che componevano l’impero sovietico. Anzicché tentare di governare questo processo (magari aiutando la transizione con Gorbaciov) hanno accettato che l’ex Unione sovietica finisse nelle mani di governi fantoccio, guidati da gente come il rubicondo Boris Ieltsin. Senza contare che in questo processo di dissoluzione e di gestione di cruenti conflitti si è inserita, come ben si sa, l’italianissima, potenza mafiosa organizzando e gestendo sbarchi clandestini, sfruttamento di uomini, donne e bambini, commercio di armi e di droga.

Queste organizzazioni oggi si sono ritirate negli eremi a mondarsi l’anima o continuano ad operare più potenti che mai? Certo in televisione finisce più facilmente il violento ed immorale rumeno, prodotto da questa storia di espulsione sociale, che non il burattinaio italiano in società con il corrotto e ricco suo socio straniero, ma la politica e la società a problemi veri deve rispondere con soluzioni vere non con spot televisivi. Forse in questa nostra Italia quella che sta venendo meno da tempo non è la tolleranza ma una cosa altrettanto importante: la serietà.

 

 

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