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SOCIETà
Il terrore degli altri -
La comunicazione della paura
in occidente
DI KATIA COLICA
Lo sgomento di fronte il
terrorismo, il nemico oscuro che si serve di attacchi imprevisti e feroci,
pervade chiunque? Quasi certamente sì; ma lo stesso non si può dire quando gli
attacchi rimangono racchiusi in un ambito sociale e territoriale che, in qualche
maniera, scegliamo che non ci riguardi. La scelta del terrore come arma è una
strategia comunicativa brutale. Citando A. P. Schmid & J. De Graff (Violence
as Communication: Insurgent Terrorism and the Western News Media, 1982): “La
natura dell'atto terroristico, la sua atrocità, la sua locazione e l'identità
delle vittime fungono da generatori della potenza del messaggio. La violenza,
per diventare terroristica, richiede dei testimoni”. Ma quali testimoni e in che
ambito?
Come
ci viene comunicato il dolore degli altri? In relazione alla percezione di una
crescita allarmante del terrorismo nel mondo possiamo affermare che sì,
nonostante le misure sempre più restrittive, i dati analizzati negli ultimi
cinque anni ci riportano un incremento inquietante: secondo le stime raccolte
dal Global Terrorism Index nel 2015, solo nell’anno 2014 il numero delle
morti è incrementato dell’80% rispetto all’anno antecedente. I nostri incubi,
quindi, hanno assunto nuove forme: se durante la Guerra fredda erano dati
dall’attacco atomico, oggi è l’aggressione per mano di un gruppo del terrore ad
accendere il panico. E se contiamo le oltre diciottomila vittime del terrore del
2013 per arrivare alle quasi trentaquattromila del 2014 sicuramente la nostra
serenità di cittadini è seriamente minacciata. Ma, attenzione: i numeri
esaminati restituiscono un trend di crescita principalmente in Iraq, Nigeria,
Afghanistan, Pakistan e Siria che ostentano questo triste primato col 78% dei
decessi; cedendo alla Nigeria l’infelice record di Stato in cui il numero di
morti è cresciuto maggiormente dal 2013 al 2014. Gli attentati alla serenità,
pare, siano all’ordine del giorno anche se il mostro invisibile diventa tale ai
nostri occhi soltanto quando tocca popolazioni che sentiamo intimamente più
vicine: a ben guardare le stime su tutto il pianeta il terrorismo devasta,
certamente. Eppure lo fa in modo particolare nell’area definita MENA (Medio
Oriente e Nord Africa) con, nel 2014, 5580 attacchi e 13.426 morti; a seguire
l’Africa sub-sahariana che con 1626 attentati riporta un’incidenza più elevata
arrivando a 10.915 decessi. Gli attacchi a Parigi, specialmente, hanno
rigenerato la percezione personale del fenomeno, così come fu per la tragedia
dell’11 settembre. E la madre delle organizzazioni terroristiche sembra essere
l’Isis (che, comunque, agisce impunemente generalmente in Egitto, Iraq, Libano,
Siria e Turchia). Ma stando alle indagini tra le organizzazioni terroristiche,
la più temibile pare essere Boko Haram che agisce senza scrupoli soprattutto in
Nigeria, Cameron e Chad. Diventa a questo punto necessario sottolineare come
negli ultimi 15 anni le perdite di civili a causa del terrore armato in
Occidente hanno tracciato il 2,6% del totale e sono avvenute non certamente a
causa di gruppi internazionali di estremisti islamici ma per mano di individui o
micro-gruppi che hanno sviluppato gli attacchi a causa di motivazioni politiche
e razziali. Tra il 1994 e il 2013 in Europa, le cifre sono più alte: circa 4mila
atti violenti per un totale mondiale del 6%, di cui secondo il Global Terrorism,
344 potrebbero essere classificati come comportamenti legati a insorgenza o
lotta armata e non di terrorismo e che - comunque - hanno portato a ben 806
vittime, 5.805 feriti e 13 atti di suicidio. Molto più alto il numero degli
attentati europei negli anni '90 a causa di organizzazioni come l’Eta in
Spagna, il Fronte nazionale corso in Francia e l’Ira in Irlanda. E nella nostra
amata Italia? Il nostro Paese, per fortuna, non incide granché su quelle stime
allarmanti che fanno impennare i dati: sono 138 (soltanto lo 0,2% del totale)
gli attacchi terroristici che il nostro territorio ha patito. Ma la sorpresa è
che ad accrescere il numero dei morti sono sicuramente due giorni luttuosi: il
12 dicembre 1969 con la strage di Piazza Fontana (17 morti e 89 feriti) e il 2
agosto 1980 che vide saltare in aria, alla stazione ferroviaria di Bologna,
centinaia di persone delle quali 85 perirono. Altri movimenti del terrore
imposero la morte dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi (attribuiti
alle Brigate Rosse, rispettivamente nel 1999 e nel 2002) e, per impennare i
dati, si aggiunge quello dell’unico attentatore suicida che, a Brescia nel marzo
2004, si fece saltare in aria in un’auto satura di gas da cucina vicino a un Mac
Donald: l’ipotesi investigativa ha chiuso le indagini definendolo come atto di
un kamikaze maldestro e inesperto. Numeri che dovrebbero farci riflettere per
ammettere che la nostra attenzione, spesso, dà molto valore alle vittime del
terrorismo europeo e occidentale; dimenticando un mondo piegato in cui il
sensazionalismo mediatico non entra ma il dolore è di casa.
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