Condividi su facebook 
SOCIETà
Dopo vent’anni di Helios
Magazine
“manifesto d’illusioni e
d’amore”
DI Carlo Morabito (*)
Non so se l’alba fosse dorata quando
vent’anni fa nasceva “Helios Magazine” e neppure se fosse stato un parto
podalico, come spesso avviene per le iniziative prese a queste latitudini;
ricordo invece anni non ancora di “crisi” come la conosciamo oggi. Almeno
apparentemente, la fine degli anni ottanta ci consegnava un modello nuovo, da
scartare pian piano dall’involucro lucido sopra e opaco sotto. Uno strano
ottimismo ci pervadeva, facendoci gustare (o solo immaginare) nuove tecnologie
da umanesimo di rete, buone per giovani e anziani, poveri e benestanti,
meridionali e non.
I
cantautori non venivano più processati per scarso impegno e potevano finalmente
parlare d’amore. Timidezza e pudore si nascondevano in pezzi talora ingenui,
scritti più per gli amici che per un target commerciale. Il fiato non ci mancava
per dire che sognavamo ancora e magari il sogno era solo all’inizio. Iniziava
un’era, attorno a noi, di consumi drogati e di graduale allontanamento
dall’introspezione e dall’approfondimento. Noi ragionavamo a voce alta su
politica, antropologia, psicologia e cibernetica. Non so se politica e sindacato
avessero già cominciato a trasformarsi in simulacri e neppure se si insinuavano
già i prodromi dell’attuale sbracato associazionismo virale (cominciavano già a
vedersi molte fiaccolate per le legalità ma non si notavano ancora le icone dei
Santi inchinarsi nei pressi di scintillanti balconi). Tutto mi sembrava avvolto
dall’enfasi eterea della realizzazione degli Stati Uniti d’Europa (“solido stato
internazionale”). Un programma fantastico ci è passato davanti come nel mito
della caverna, Ciampi e Napolitano, firme di trattati e accordi, libero scambio
e moneta unica (che insolita fretta di vedere la faccia delle banconote in
Euro!), passaggi senza dogana e formalità da confini dalla storia pesante,
rappresentazioni continue di cadute di muri. Disperse in questo scenario,
mitiche sirene: la rete per tutti, distanza e tempo che si frantumano in
millisecondi, intelligenze collettive, paesaggi aspri da condividere e linguaggi
liquidi da presentare, elegia dell’incertezza buona. Ci eravamo figurati uno
scenario ben diverso del ritorno, confezionato da egoismi e paure, dei
nazionalismi e della xenofobia.
Questo è quello che ricordo: Europa Unita e
rete, tutte insieme in un abbraccio solidale che ci faceva vivere felici e
attendere con trepidazione le novità del giorno dopo. Sono state tante:
l’affermarsi del “sovranismo”, i muri divisori, il filo spinato, i polpacci di
esseri umani senza speranza morsi dai cani, i bambini affogati, il Mediterraneo
insanguinato, i lager degli immigrati, gli eccidi religiosi, le teste che cadono
nella schiuma, i governi che si succedono nei paesi “arabi” col consenso
occidentale; e poi, lo sbriciolamento dei partiti, la scomparsa di destra e
sinistra, il ritrattare i trattati, le reti sociali che affascinano i giovani
prima di ingoiarli e uccidono le famiglie, la trappola della solitudine nella
luce dello schermo, il pettegolezzo mediatico che inchioda alle croci,
l’inquinamento che ci affoga mentre programmiamo di fermarlo, i soldi europei
che vanno ai ricchi perché i derelitti non sanno usarli.
Una “nuova” società un pò diversa dai nostri
sogni solari incautamente descritti fra le pagine di “Helios Magazine”.
Ma ci siamo ancora e c’è il nostro giornale, manifesto d’illusioni e d’amore.
Ora c’è il futuro, visto da lenti più spesse e opache. Difficile da
pronosticare, siamo cambiati e con meno energia: io credo, però, che forse
abbiamo ancora un senso e un progetto da realizzare. L’errore di base, a mio
avviso, è stato quello di fomentare e poi creare un’Europa sbilanciata,
modellata dalle logiche finanziarie e di rigore dell’Europa Centrale. Non ne
abbiamo colpa, non siamo stati attori principali, ma il nostro entusiasmo ha
probabilmente favorito il consenso d’opinione. Non esiste un modello centralista
europeo che possa reggere all’impatto del Mediterraneo, che non è solo Europa: è
Islam, Stati Uniti d’America, Russia, Cina. Il Mediterraneo è il luogo e il
tempo di una conversione di pensiero, l’alternativa è la guerra mondiale liquida
per bande annunciata da Papa Francesco, che stiamo già vivendo. Chi siamo noi
per poter avere voce su questo? Tuttavia, questo è anche il futuro di chi conta
poco, e che mi sembra di scorgere per il nostro Helios Magazine: fungere
da megafono dell’euro-mediterraneità, guardando all’inverso, dal fondo del
bicchiere e magari farlo per poche orecchie: Ci serve per sentirci ancora
presenti e per non lasciarci dire un giorno che potevamo dirlo.
*) Professore
Ordinario, Prorettore Università Mediterranea di Reggio Calabria
|