di Gianni FERRARA
"La critica è una questione morale" diceva Benjiamin rendendo più difficoltoso l'attuale compito della mia penna, che è quello di tracciare il profilo del più immorale protagonista della letteratura; infatti il nome di de Sade è associato da tutti (anche da chi non ha letto le sue opere) alle più oscene immagini orgiastiche caratterizzate da crudeli torture, atti questi ultimi che non a caso prendono il nome di "sadismo". Ma nei violenti rapporti sessuali, che ossessivi si ripetono nelle pagine del DIVIN MARCHESE, appassionando gli erotografi ed offendendo il senso del pudore dei perbenisti si nasconde qualcosa di più? O per meglio dire nel sesso sfrenato e nella sodomia descritta e compiuta da de Sade si cela un pensiero filosofico? Per molti la risposa a questa domanda è si, forse anche per Albert Camus, che in un suo libro dedica il capitolo della negazione assoluta a Sade presentandolo come il primo e più coerente ribelle metafisico, che comunque non riesce a fondare una nuova filosofia, anche se però, aggiunge, il suo pensiero non deve essere considerato come il semplice pensiero di un libertino. Sono significative per comprendere il pensiero di de Sade le sorti di Justine, frequente protagonista delle opere sadiane: ad esempio una di queste si chiude con la fuga sotto il temporale della virtuosa Justine, contemporaneamente a ciò il criminale Noirceul giura di convertirsi se lei si salva, ma il fulmine divino la uccide. Quindi per de Sade Dio nega la virtù e l'uomo; quest'ultimo si deve ribellare a Lui affermando il "vizio" (che per de Sade è il fratello della filosofia) e negando Dio là dove viene affermato, cioè nella morale, anteponendo a questa una religione del piacere e del desiderio che tutto giustifica. A Dio de Sade contrappone la natura, ma anche questa in seguito diventerà per lui nemica "stupida e fatale" la cui unica legge è il creare per distruggere, e dalla ribellione antimetafisica approda a quella antifisica esaltando la sodomia che da rapporto contro natura diventa contro la natura; "...dobbiamo godere nell'antro sterile..." dice de Sade, per privare di qualsiasi nutrimento il malvagio meccanismo della natura. Questo è in sintesi il pensiero di de Sade, pensiero che gli costò quasi 30 anni di reclusione tra prigione e manicomio dove morì nel 1814 all'età di 74 anni.
Le sue ultime volontà furono quelle di essere sepolto nella sua terra disseminata di ghiande per far si che in seguito la sua tomba scomparisse dalla vista degli uomini così come, scrive nel suo testamento, "spero che il mio nome scomparirà dalla memoria degli uomini". La sua volontà di scomparire dalla memoria degli uomini non deve essere interpretata come un estremo pentimento per la sua condotta, ma come la coerente volontà d abbracciare il suo pensiero che ormai prende il nome di "filosofia dell'antivita".
I suoi ultimi desideri furono in parte esauditi. Per quanto riguarda la sua tomba, i sui resti mortali, riesumati per studiarli scomparvero nel nulla, ma non si può certo dire la stessa cosa per il suo nome, che viene amato e ricordato da poeti come Apollinaire che definì de Sade "L'uomo più libero che sia mai esistito". Con la frase di Apollinaire voglio chiudere questo articolo, sperando che nonostante il monito di Benjiamin io sia riuscito ad adempiere al mio compito che non è certo quello farvi piacere l'autore che tratto, facendo apparire come da un cilindro magico nuove verità, bensì cari lettori e quello di spingervi a discutere con me.