IL MALINCONICO EROISMO DI CHARLES S. CHAPLIN
di Gianni FERRARA
"Che cos'è l'arte? Io vedo una luce, una luce che riverbera sul mondo, una ragione di vivere" (Charles Chaplin)
L'autobiografia di Chaplin più di un fantasioso romanzo riesce a porre il lettore su di una altalena emozionale oscillante tra la commozione e l'entusiasmo. Chaplin, così come in tutti i suoi films, non abbandona il fruitore ad un volo pindarico senza ritorno, ma lo accompagna sulle ali delle lacrime e dei sorrisi per un breve volo che si conclude sulla dura realtà dopo averlo reso consapevole di quanto è difficile e contraddittorio questo nostro secolo. Già le prime pagine di "La mia vita" ci inducono ad una riflessione dalla quale senz'altro si finirà col riconoscere che non vi è nessun interstizio tra Chaplin e Charlot e che in quest'ultimo vive qualcosa di eccezionalmente forte che non è soltanto riconducibile alla genialità dell'artista. Anche Chaplin come il suo personaggio sperimentò il grigio della miseria; egli infatti trascorse la sua infanzia negli orfanotrofi e nelle mense per poveri, indossando abiti lisi, spesso ricavati dai costumi di scena di sua madre.
Il personaggio Charlot è stato e continua ad essere sezionato, scandagliato e studiato sotto i più diversi profili suscitando non solo l'interesse dei critici cinematografici, ma anche degli psicologi, esteti e sociologi i quali nella maggior parte dei casi sono concordi a definirlo un mito o una leggenda.
Ma si può parlare del mito Charlot senza parlare di Chaplin?
Per quanto possa essere corretto definire così Charlot non lo è nei confronti di Chaplin, considerando che sotto l'irrealismo del mito Charlot si nasconde l'estetica realista dell'universo umano visto e raccontato da un antimito: Chaplin.
Il mito si unisce all'antimito così come la leggenda alla realtà e tutto si confonde impedendoci d'essere certi di sapere chi tra Chaplin e Charlot sia la maschera dell'altro.
Chaplin così come tutti i geni fu amato e osteggiato dai suoi contemporanei, il suo clownismo così lontano dalla fastosità hollywoodiana era rivoluzionario, anticinematografico e spesso antiamericano e per questi motivi gli esponenti della cultura borghese idealista lo attaccarono accusandolo di essere un eversivo e tacciandolo come "comunista" quando questa parola era sinonimo di male sommo e pericolosità.
Associazioni nazionaliste organizzarono sit-in difronte alle sale cinematografiche che ospitavano i suoi films per impedirne la proiezione, il Governo americano iniziò a perseguitarlo costringendolo all'esilio.
La pericolosità del messaggio chapliniano era data dal fatto che con lui, per la prima volta, l'emarginazione e la povertà erano diventate un volto, movimenti e comicità e da questo il culto del potere e la forza erano minacciati.
Non posso fare a meno di ricordare Charlot quando ostentando sicurezza accavalla con eleganza la gamba per poi scoprire di avere una scarpa bucata che copre immediatamente con disinvoltura con la bombetta, o quando, dopo aver cucinato una scarpa prima di mangiarla toglie i chiodi come se fossero le ossa di un pollo, immagini queste che resteranno tra le più belle nella storia del cinema.
La bibliografia chapliniana è straordinariamente vasta; di lui si scrisse tutto e il contrario di tutto.
Fu paragonato a Shakespeare, Cervantes, Molière, Velasquez, ma più che queste somiglianze sono le divergenze con i modelli dell'epoca a colpirmi. Quando iniziavano ad affacciarsi minacciose le prime teorie superomistiche, Chaplin creò Charlot, poeta vagabondo, acchiappanuvole e re dei diseredati. Charlot è un omino buffo e debole che combatte contro un destino avverso che lo vuole emarginare e schiacciare, ma da questo non si lascia sconfiggere, l'omino buffo è invincibile perchè tutto il suo essere è pervicacemente legato alla vita. Charlot ha scarpe sfondate ma gira il mondo, non ha nulla ed è sempre pronto a dare, vive per strada, ha fame, soffre e noi ridiamo, ci fa ridere, e le risate dissolvono tutti gli spettri della paura, dissolvono tutto, resta solo la vita, l'uomo e quella malinconica dignità che lo rende eroe.
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