Gian Pietro LUCINI (poeta,1867-1914)

il Parnaso di Helios Magazine

a cura di Gianni FERRARA
La sua poesia, composta da versi musicali e sarcastici che con ampiezza occupano una frammischiata ipermetrica decanonizzata, lo pone tra i maggiori innovatori dell'arte poetica italiana; tant'è che oggi sempre con meno dubbi, viene presentato come il padre del nostro verso libero. Marinetti commentò l'opera "Il Verso libero" del suo amico avversario Lucini come:"una delle più alte, delle sfolgoranti vette del pensiero umano"; più recentemente Edoardo Sanguineti definì Lucini:<>. Quella di Lucini è la poetica di un arrabbiato dal pensiero negativo che con forza ed efficacia si scontra con l'eccessivo estetismo ideologico dei dannunziani, annullando lo spazio che fino ad allora separava la poesia dalla vita comune.

Espettorazione di un tisico alla luna

Luna,
luogo comune degli sfaccendati
in ogni prova prosodica,
facile rima ai sonetti romantici,
belletto e vernice sentimentale alla bionda e
alla bruna
per gustar le primizie de contatti antematrimoniali
lenocinio archetipo alle adultere;
mezza maschera vuota di simboli,
tegghia d'ottone a friggervi i capricci di Diana,
crachat maggiore allo stomaco immedagliato del cielo;
Luna, ho creduto in te:
al tuo patrocinio incappai nella ragna tesa
da due sguardi e da quattro parolette,
buscai, solennemente,
da una verginità posticcia e macera,
l'imberciatura classica.
Luna,
clorotica fortuna d'argento a navigare,
della tua faccia mi feci un altare:
vi ho deposto, in offerta, le più tirchie ed avare soddisfazioni
de' miei sensi impotenti e castigati,
tutto quanto lasciai, con falsa umiltà,
alle gioje del mondo,
alla tentata e recusatasi felicità.
Luna,
il mio cuor ti sospira e si svuota
d'amarezze e ti vomita bestemmie:
sono un povero tisico che rece,
coi coalgoli rossi, il suo buon cuore.
Luna, balzata sul palcoscenico del firmamento,
mongolfiera celeste in convulsione sorretta dal vento,
simulata matrice in gestazione,
per scodellarci questa Primavera;
ho vergogna per Te, che senza velo
balli la danza del ventre sul cielo.
Occhiaccio strabico e permaloso,
sbirciami in terra, sono il tuo sposo,
sogguarda dalla palpebra rossa e purolenta.
Testè, fosti uno spicchio verdognolo
gobbuto ad occidente
di un'acida e bacata melarancia:
sarai tra poco compressa e glabra pancia
d'adolescente isterica:
sarai libidinosa bocca spalancata,
con lunga lingua di luce a imbavare
i bei fianchi alle Nubi vaghe e strane,
prone al divano dell'orizzonte,
callipigie e impudiche cortigiane.
Questo a Te, questo a me
il contagio conserva alla fregola:
anche sopra le cime della notte
stirano e snodano le membra erotte dal peplo
le Nubi,
pazze e infeconde, convulse e corrotte.
Luna,
civetta ipocrita a starnazzare
per l'aja insabbiata di stelle,
tra il carro e lo Scorpione,
mezza-vergine falsa collaudata,
sopra il catarro e il colascione, dalla poesia
classica;
ho le vertigini, non guardarmi più:
un giovane impotente e smidollato ti squadra le fiche,
Luna smorta, o sorella,
oggi compunta e avvelenata,
dispensatrice di atroci virtù>.


HELIOS Magazine ANNO II - n.5 HELIOSmagazine@diel.it