Ardengo SOFFICI (1879 1964)


Parnaso (a cura di Gianni FERRARA




Per la formazione culturale ed artistica di questo poeta proveniente dalla campagna Toscana furono importantissimi gli anni che trascorse in Francia (1900 1907), tant’è che nelle sue liriche appare chiara una duplice influenza: Rimbaud e Apollinaire. La critica moderna gli riconosce solo un mediocre apporto al mondo della poesia; giudizio negativo che trova la sua giustificazione nel fatto che il Soffici fu soprattutto un pittore che si dedicò allo studio dell’impressionismo e del cubofuturismo: motivi questi che ci suggeriscono di osservare le sue liriche come esecuzioni pittoriche costituite da immagini interiori ed esteriori.

......Si, caro!
L’uomo più fortunato è colui che sa vivere nella contingenza al pari dei fiori:
Guarda il signore che passa
E accende il sigaro, orgoglioso della sua forza virile
Recuperata nelle quarte pagine dei quotidiani,
O quel soldato di cavalleria galoppante nell’indaco della caserma
Con ciocchetta di lilla fra i denti.
L’eternità splende in un volo di mosca.
Metti l’uno accanto all’altro i colori dei tuoi occhi;
Disegna il tuo arco:
La storia è fuggevole come un saluto alla stazione;

E l’automobile tricolore del sole batte, sempre più invano,
Il suo record fra i vecchi macchinari del cosmo.
Tu ricordi, insieme ad un bacio seminato nel buio,
D’una vetrina di librario tedesco, Avenue de l’Opéra,
E della capra che brucava le ginestre
Sulle ruine della scala del palazzo di Dario a Persepoli.
Basta guardarsi intorno
E scriver come si sogna,
Per rianimare il volto della nostra gioia.
Ricordo tutti i climi che si son carezzati alla mia pelle d’amore,
Raggianti al mio desiderio:
Nevi,
Mari gialli.
Gongs,
Carovane:
Il carminio di Bombay e l’ora bruciato dell’IRAN
Ne porto un geroglifico sull’ala nera.
Anima girasole, il fenomeno convergere in questo centro di danza;
Ma il canto più bello è ancora quello dei sensi nudi.
VIA

Palazzeschi,eravamotre,
Noi due e l’amica ironia,
A braccetto per quella via,
Così nostra alle ventitrè
Il nome, chi lo ricorda?
Dalle parti di San Gervasio;
Silvio Pellico o Metastasio;
C’era sull’angolo blu.

Mi ricordo però del resto;
L’ombra d’oro sulle facciate,
Qualche raggio nelle vetrate;
Agiatezza e onorabilità.

Tutto nuovo, le lastre azzurre
Del marciapiede annaffiato
Le persiane verdi, il selciato
I lampioni color caffè;

Giardinetti disinfettati,
Canarini ai secondi piani,
Droghieri, barbieri, ortolani,
Un signore che guarda in su;
Un altro seduto al balcone,
Calvo, che leggeva il giornale,
Tra i gerani del davanzale
Una bambinaia col bèbbè;

Un fiacchere fermo a una porta
Col fiaccheraio sssopito,
Un can barbone fiorito
Di seta, che ci annusò;

Un sottotenente lucente,
Bello sulla bicicletta,
Monocolo e sigaretta,
Due preti, una vecchia, un lacchè.

- Che bella vita- dicesti-
Ammogliati,, una decorazione,
Qui tra queste brave persone,
I modelli della città.

Che bella vita fratello!-
E io sarei stato d’accordo;
Ma un organetto un po' sordo
Si mise a cantare: Ohi Marì...

E fummo quattro oramai
A braccetto per quella via.
Peccato! La malinconia
Sera invitata da sè.


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