
In questo volume le parole che invadono i fogli scaturiscono da
una irrefrenabile forza interiore che muove i sentimenti dell’autore.
Paolo Calabrò con i suoi versi rappresenta,
pur senza piena consapevolezza e volontà preordinata, il poeta-fanciullo di
pascoliana memoria, ma, a differenza del grande maestro romagnolo, Paolo Calabrò
ribalta il concetto di poesia come "nido" a cui ritornare fuggendo le tormente
del mondo e trasforma la sua grande volontà di esprimere sentimenti che
rappresentano il suo mondo. Un mondo fatto di bellezza e di interiorità, la
bellezza dell’occhio di chi guarda questo mondo e che sfida la cruda realtà,
anzi la rifugge come se fosse impossibile accettare che sia "veramente così" "…
Ho imparato ad amarti cara poesia, che mi consenti, fluttuando tra
realtà e fantasia, di dire le cose che nascon dall’anima mia…" (dell’autore:
Poesia).
I versi di Paolo Calabrò, in una specie di
traslazione inversa tra il mondo e il suo modo di percepirlo, arrivano a ad
esplicitare questo concetto di negazione del male. Questo concetto è
magnificamente espresso nella poesia Il Mondo nei versi: "Il mondo è
muto: non può dirci che sta soffrendo, non ha voce per gridare…". Che il
Mondo non abbia voce per denunciare il degrado ambientale, nella percezione del
nostro autore, non sta ad indicare l’inutilità della denuncia del male e della
sofferenza e nemmeno il fatto che tutto ciò possa e sappia arrivare fino al
nostro orecchio ed al nostro sentimento, questi versi rappresentano il desiderio
forte, intenso che ciò non sia più. Quasi a voler dire "basta le sofferenze del
mondo, non solo quelle ecologiche, sono talmente insopportabili che non posso
più ascoltarle" ed allora ecco che il mondo "non ha più voce per gridare"
ed in questa immagine si staglia una simbiosi tra la natura e l’intera umanità.
I sentimenti dell’autore sono allo stesso
tempo basici, fondamentali e di un’intensità che fa defraglare ogni tentazione
di banalizzare la tenue semplicità con cui sono descritti l’amore per la madre o
la moglie amore e madre dei suoi figli, nell’insieme dell’opera quasi sinonimi
della natura creatrice e custode, peraltro annunciata sin dal primo verso del
volume.
Pensare che Paolo Calabrò, nella vita
quotidiana, con il suo lavoro di insegnante, trasferisce alle generazioni future
i sentimenti contenuti in queste righe è di conforto per quanti sentono il
bisogno di guardare il mondo in una prospettiva di bellezza che ribalti il tanto
male cui invece quotidianamente ci tocca assistere.
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