Si può affermare che il potere abbia un genere sessuale?
Generalmente associamo il termine potere al genere maschile.
Una connotazione legata alla potenza sessuale, iconograficamente rappresentata
dal simbolo fallico; cioè potere uguale potenza, forza, virilità.
Secondo questo percorso il potere "generatore" non si associa
alla gentilezza, alla tenerezza, all’amore ma alla forza.
La storia dell’umanità ne sarebbe la dimostrazione con la sua
continuità di predominio maschile fondato prima sulla forza fisica, poi sulla
impersonificazione del monoteismo, istituzionalizzato nelle religioni su canoni
maschili, ed infine sul denaro e gli strumenti per detenerlo e conservarlo che
hanno pervaso e continuano a pervadere l’economia e la politica, dalla guerra
alla criminalità organizzata.
In tutto questo si inserisce la figura femminile che, nella
società occidentale, acquista, potere pur rimanendo minoranza e per lo più
relegata nelle famigerate "quote rosa", o meglio conquista il diritto formale di
partecipare al potere. In Italia questo principio passa per la prima volta dopo
la caduta del fascismo quando finalmente anche alla donna viene riconosciuto il
diritto di voto, per molti anni esercitato "sotto tutela" del padre, del marito
e del parroco, la qual cosa marchia la legislazione sociale e politica dei primi
venti anni della neonata democrazia che, anche grazie alla colta e capillare
presenza della chiesa cattolica, getta le basi per una politica di conservazione
senza spazi liberali ne in campo civile ne economico. Un base culturale che vede
il maschio padre, padrone, legislatore, giudice ed esecutore della forza di
coercizione.
Gli anni sessanta del secolo scorso sono stati solo una
parentesi. Con il favore dal benessere economico che ha concesso anche alle
donne la disponibilità di denaro e di consumi anche di tipo voluttuario e
culturale. Una importante e sconvolgente parentesi che ha messo, per un breve
decennio, in discussione la concezione maschilista del potere e formato due
generazioni culturalmente alternative. Due generazioni sono troppo poche per
radicare nella società cambiamenti strutturali, ed alla fine la parentesi si è
chiusa e la cultura del potere coniugata al maschile torna ad affermarsi in
tutta la società occidentale ed in particolare in Italia dove non si sono mai
conosciute concezioni liberali.
Ma perché definiamo culturalmente alternative quelle due
generazioni di persone nate tra la seconda metà degli anni cinquanta ed la
seconda metà degli decennio successivo? Innanzitutto, lo abbiamo già detto, lo
sviluppo economico ha dato la possibilità a persone, soprattutto giovani, di
disporre di beni di consumo, non primari ed essenziali per la sola
sopravvivenza, e di soddisfare anche bisogni di tipo intellettuale e artistico
(non è un caso ce gli anni sessanta sono gli anni della rivoluzione culturale
che si esprime soprattutto nei primi movimenti ecologisti nella musica con
matrici indelebili quali Fabrizio De Andrè, Leonard Cohen, Jaques Breil, Lou
Reed). Ma sono anche anni in cui, mentre matura una sensibilità democratica e
umanistica nel mondo continuano le devastazioni delle guerre, dalla Corea al
Vietnam. La Seconda Guerra mondiale con tutti suoi orrori era ancora troppo
vicina nella memoria e nei segni fisici della gente per non suscitare una
reazione ed i giovani erano pronti a cogliere questa suggestione e reagire non
solo alla guerra ma anche alla cultura del potere violento sviluppando movimenti
pacifisti improntati non sulla parità sessuale ma sulla comunanza dell’esistenza
terrena come individui che avevano il diritto di vivere liberi ed in pace. Ma
liberi da che cosa? Per prima cosa dalle convenzioni sociali, strumenti potenti
della cultura maschilista che legittimava l’uso della forza. A questo tentativo
di trasformazione culturale si contrapposero due potenti armi di dissuasione di
massa: la crisi economica cominciata negli anni settanta e protrattasi fino ad
oggi e la cultura dell’individualismo edonista e consumista che hanno spostato
il desiderio dall’anima al corpo, indotto dall’azione persuasiva della
televisione. Si è rapidamente tornati dal "NOI" all’"IO". Il messaggio che
arriva negli anni ottanta e successivi è chiaro: con gli ideali non vai da
nessuna parte! Pensa a te stesso ed approfitta di quello che puoi! Ritorna la
forza fisica o economica ad essere status symbol del potere ed anche le donne
che vogliono partecipare al potere devono sottostare a questa logica. Chi non ci
sta è fuori, debole, diverso. Certo questo ritorno all’individualismo ha qualche
controindicazione: violenza sessuale, razzista e xenofoba. Ma è un prezzo che il
potere di genere maschile sente di potere accettare e gestire… con la paura!