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Recensioni
Nando Minnella, Internetmania
di paola canale
Nomadi
digitali: specchio di un mondo “in fuga” – Internetmania: effetti e dipendenze
“Ci sono cose conosciute e cose sconosciute: fra queste vi sono delle porte. Le
porte della percezione che aprono all’infinito”diceva William Blake.
Internetmania è un libro dalla portata dirompente perché esce fuori da ogni
palinsesto e preformattazione costituita e imposta per corrodere altari di
vanaglorie e futilità. Il nuovo libro di Nando Minnella mette alla berlina
internet e l’instant messaging come l’estremo rampollo del progresso tecnologico
delle società c.d. civilizzate che ormai danno solo largo spazio a
frammentazioni, disconnessioni orgasmiche deviate del tutto e subito. Dietro
tanto rumore c’è un problematico dubbio di comunicazione. Dietro tanto parlare e
perdersi di informazioni e big data, in questo grande sfogatoio multimediale c’è
una reale volontà di darsi e ricevere? c’è una cultura
dello
scambio? A quali bisogni sopperisce l’affidarsi a questo strumento informatico?
Siamo una civiltà di nomadi, di “naufraghi mentali, scippati del futuro,
condizionati dall’eterno presente”, eterni transeunti catturati dal mistero
dell’ignoto, alla ricerca di noi, di altro da noi, di improbabili “fattori x”
che ci illuminino su parti del nostro sè che abbiamo oscurato a lungo o che ci
portano a dipanare matasse accumulate nel tempo. Siamo inconsapevoli Peter pan
eterni nell’inconsapevolezza di aver ucciso il bambino che vive dentro di noi.
Ma alla ciclicità, alla cultura del reale progresso, quello che arricchisce
interiormente e fa accrescere il nostro benessere psico-fisico ed emozionale, si
sono sostituiti andamenti schizofrenici, vivendo il brivido di eccitanti altezze
per sprofondare poi in voragini abissali e incespicare in perigliose rotture del
sistema. Siamo alla debâcle. La morte dell’anima. Non lasciamo vivere più le
nostre emozioni crogiolandoci in platinati idilli di felicità fulminee. Non ci
si scava più dentro, siamo incapaci di vivere dentro noi stessi (solo in inglese
si dice alone, all one, tutti uno). Viviamo e ci relazioniamo digitando,
contattiamo ciò che “viaggia”. L’epoca dei nomadi digitali e il nuovo boom
economico sono specchio di un mondo ”in fuga”. Incessanti viaggiatori sperduti e
assorti con lo sguardo perennemente rivolto verso un orizzonte infinito che
induce al sogno e misteri da svelare, nell’esplorazione e scoperta di una
miriade di elementi che sono le parti nascoste del nostro io e nell’aspettativa
della gioia del ritrovare ciò che era sopito in noi e che ritroviamo riflesso
nell’altro. Ma siamo realmente capaci di darci all’altro o forse ricerchiamo
solo un ideale di noi stessi e rifiutiamo i rapporti reali per mascherare dietro
un monitor o un cellulare esclusivamente le nostre pulsioni, i nostri bisogni
dimenticando che ognuno è un universo a sè stante da esplorare e con cui
relazionarsi? Abbiamo realmente conservata intatta la capacità di uscire per poi
rientrare, di avere dei filtri semipermeabili nella comunicazione per essere
sempre presenti a noi stessi? Gli altri siamo noi. Siamo tutti carcerati
dell’altro nel momento in cui non lo lasciamo vivere nella nostra interiorità e
che stentiamo ad accettare, in continua metabolizzazione di ciò che è diverso e
difficilmente comprensibile e collimabile con la nostra personalità e la ricerca
di una placentica simiglianza. L’enfer c’est l’autres. L’altro ci fa
paura, il diverso perché incarna l’ombra non vista di noi stessi, le bestie
oscure interiori che non abbiamo imparato a conoscere. La rivoluzione
tecnologica ha scombussolato il nostro modus vivendi proiettandoci in fredde
surrealtà nell’infantile illusione che ci possa essere da surrogato o soddisfare
i bisogni che non sappiamo vedere, riconoscere, appagare nelle nostre bieche
esistenze. E’ una generazione sospesa, che vive in bilico. Si è in contatto
sempre con tutti in ogni momento, in realtà con nessuno, tutto si ferma in
superficie, tutto si riduce ad essere uno sfogatoio collettivo. Non c’è più la
capacità di ascolto. Il vuoto resta. Ecco che nascono fobie, disturbi
ossessivi-compulsivi, maniacalità. La web mania e il feticismo tecnologico sono
sintomatologia di un malessere di una società liquida. Vuoto dell’anima e culto
dell’evasione. L’internetmania è un fenomeno che accettiamo o che rigettiamo? si
questiona sulle involuzioni o sulle evoluzioni che esso ha portato ma è
innegabile che non possiamo più farne a meno, schiavi come siamo del tempo e dei
ritmi veloci delle nostre società capitalistiche e degli indiscutibili vantaggi
che esso ha portato per contingenze pratiche in questi termini e quello
dell’abbattimento dei costi. Internet risponde perfettamente alle nostre
esigenze in un sistema malato e i social e gli smartphone sono fonte di
alienazione e dipendenza che hanno assunto una valenza affettiva, inerente “la
sfera dell’essere” relazionale e individuale. S’ingrossa sempre più l’esercito
di cercatori di una felicità artefatta quanto aleatoria. Gli scenari aperti dal
web investono quasi tutti gli ambiti delle attività umane, rivoluzionano i
processi di comunicazione e introducono nuovi modelli esperienziali, relazionali
e cognitivi. Quello che si discute è la reale capacità di comunicare e mettersi
davvero in gioco e in relazione. Il linguaggio è ridotto ai minimi termini ed è
eliminata la grammatica del linguaggio non verbale somatico-gestuale. Il
fenomeno dell'alessitimia, dal greco “a-” mancanza, “lexis” parola e “thymos”
emozione: letteralmente «non avere le parole per le emozioni», che in psicologia
costituisce un deficit della consapevolezza emotiva, palesato dall'incapacità di
mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli
altrui stati emotivi, è dilagante. Il tipo di comunicazione instaurata non è
solo antisimbolistica, fatta cioè di musicali rievocazioni intuitive di emozioni
e sensazioni, muovendosi sulla linea sottile della trascendenza, sul confine tra
la realtà e il sogno, ma anche antidialogica. In questo libro-denuncia si
intende rafforzare, contro il gregarismo omologante, tutte le voci fuori dal
coro che si rifiutano di asservire le reali istanze umane alla mercé dello
sciacallaggio e depredamento ipertecnologico. Si comunica in assenza, si
costituiscono rapporti labili, precari, inquinati dall’ipertrofismo edonistico,
dal narcisismo digitale, dal culto del proprio io e da modelli consumistici
alienanti, “privi di luna e poesia…siamo alla ricerca di eroi e poeti anche solo
per un attimo per i nostri sogni esauriti, marciti”. Si creano avatar o
molteplici Man Machine interfaces, si costruiscono personalità fittizie che ci
rappresentino e spesso proiettano desideri frustrati in un’epoca in cui lo
spazio ci si offre sotto forma di relazioni di dislocazione, il cyberspazio,
“una specie di maschera che costituisca l’interfaccia fra se stesso e la società,
il dannato e complicato mondo là fuori, si recita a soggetto in un set per le
performance apposta per noi”. ”L’io virtuale – secondo lo psichiatra Pasquale
Romeo – a volte assume delle caratteristiche ipertrofiche a tal punto da
soppiantare l’Io reale”, incappando cosi in rischi di frammentazione,
disgregazione dell’io, disturbi d’instabilità e disregolazione emotiva, fobie,
sintomi dissociativi e crisi esistenziali, dipendenza, passando dalla
tossicofilia alla tossicomanialità dovuta al bisogno ineludibile di stare sempre
connessi e collegati. Il fenomeno è divenuto talmente allarmante che sono sorte
le prime cliniche per webtossici dediti ai giochi di ruolo interattivi on line,
chat o patiti di social network, gioco d'azzardo, siti porno e quant’altro.
Alcuni ragazzi sono così disturbati da divenire aggressivi e, producendo questi
ormai divenuti “mezzi sensoriali, estensione delle nostre anime e delle nostre
menti”, gli stessi effetti degli alcaloidi, sono ridotti in stato di schiavitù
psicofisica con veri e propri sintomi di astinenza. La questione legata a una
dipendenza di questo tipo sta nel disordine di una personalità fragile,
nell’assenza di un tessuto sociale e culturale capace di accogliere e far
crescere. Ed è proprio in queste contraddizioni che i social hanno la meglio
supplendo le carenze e occupando i vuoti che si son creati all’interno
dell’individuo e nella società. Personalità dipendenti e scompartimentate,
dunque, in cui ci si spoglia senza veli nei blogs in cui si rivelano anche
inconfessabili intimità certi dell’assoluto disinteresse altrui e ci si finge
femmes fatales o latin lover di primo rango nelle chat erotiche o “ vetrinizza”
nei social networks ingurgitando così il nostro giornaliero intake
psicofarmacologico. La dipendenza deriva dal fatto che il web rispecchia
esattamente quella sordità emotiva esistente nella realtà ma è uno
spazio-discarica in cui ci si appaga facilmente senza correre il rischio di
pericolosi rebounds e che ci illude di sfuggire alla solitudine, mettendo in
piazza se stessi nella speranza che la pubblicità dia un ascolto, che da un lato
odiamo e dall’altro tanto ricerchiamo. La condanna dell’internetmania è una
condanna delle storture che il capitalismo ci ha portato e in cui tenta di
fagocitarci e la comprensione del malessere profondo che ci fa finire dritti
dritti in mano agli psicologi sperando in poteri taumaturgici nella ricerca di
equilibri impossibili per chi non vuole essere “tagliato fuori” in questa
società “a ingranaggi”. E’ la risultanza di un mondo che rema contro il sentire
della coscienza collettiva. Per di più, si fa preda del nostro disagio e nella
convinzione che il web sia gratis non ci rendiamo conto che il privato è
pubblico e i nostri dati vengono spiati dal grande Echelon, raccolti, schedati e
manipolati ai fini del webmarketing e dello sfruttamento oligopolistico della
net-economy, delle ricerche di mercato che servono la produzione di merci e
servizi ad hoc del commercio global-digitale mascherato da filantropia.
“Internetmania” di Nando Minnella è espressione di un pensiero critico, vuole
essere “diverso”, sovvertire le artificiose reductio ad unum che ci
annichiliscono i cervelli e congelano le emozioni, suggerendo la cultura dello
scambio a quello dell’imposizione della cultura dominante che ci viene
sapientemente instillata e volgarmente offerta nella promessa di pseudo felicità
di paradisi fittizi ma in realtà asserviti al profitto e alle brame
utilitaristiche di pochi in una prostrante quanto patetica incensazione del dio
denaro. Si è dinnanzi a un’imperante mentalità fallocentrica che mette in crisi
i valori dell’esistenza meglio accolti nella figura della donna, nella cultura
della ricezione e dell’accoglienza, dell’apertura all’altro contro la cultura
della predominanza e della sopraffazione, la presunzione di conoscenze assolute
contro la logica del dialogo, del farsi dono di sé con duttile e analitica
criticità nel segno della maturazione e della crescita. Sarebbe auspicabile
infatti piuttosto la comprensione e il confronto col diverso, non la sua
scissione e frantumazione, con¬cepire l’uguaglianza nella diversità e la
diversità dell’uguaglianza, passare dalla civiltà dell’Uno alla civiltà del
molteplice. “L’uguaglianza vive nel rispetto del diverso non nella tirannia
degli uguali”. Sulla base dell’assunto che il Web sia uno strumento sterminato
di conoscenza” in cui si annida un guazzabuglio di informazioni da decodificare,
selezionare e rielaborare, si ritiene infatti che si siano raggiunte le più alte
vette della democrazia, nella considerazione che si raccolga consenso cliccando
un “mi piace” e che questo costituisca un “We the people”! Si sta deturpando in
ogni modo il concetto di bellezza, che sta nel desiderio, nei sogni,
nell’armonia, nelle gioie del cuore e della percezione, nell’amore e
nell’ascolto…anche dei silenzi. C’è da chiedersi se essa abbia possibilità di
salvezza in questo mondo. C’è forse per chi ha speranza in una possibilità di
una sua redenzione mentre restiamo assurdamente inerti dinnanzi al deragliamento
totale del suo andamento verso altre rotte ed altre direzioni. Che ognuno
coltivi questo seme di divinità nell’angusto ambito del proprio particolarismo
non basta. E’ piuttosto necessaria una sua trasmissione sempre più reale e
concreta, una sua espansione. Si può informare il mondo a canoni di bellezza che
riflettano la complessità dei colori dell’anima e l’armonia di una capacità di
relazione arricchente e comparativistica, in cui ognuno tenga ben presente che
la libertà di ciascuno di noi finisce dove comincia quella dell’altro e rammenti
sempre il valore della dignità dell’uomo nel suo tempo e nel suo spazio avendone
rispetto.
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