Il muro, prima di
essere un oggetto materiale, è un fenomeno mentale e culturale. Esso
rappresenta l’incapacità della cultura ovvero della condizione di una specie
che pensa e che fa storia, di risolvere i problemi di coesistenza che si pongono
nell’arena del polemos.
E il "polemos",
come sempre, riguarda popoli e gruppi che hanno storie diverse ma anche
importanti analogie e contatti. La separazione tra oriente e occidente non è
più marcata, perlomeno ai fini dell’esito bellico, della separazione, nei
secoli passati, all’interno della cristiana Europa. Resta l’incapacità che
denunciamo; incapacità del pensiero di risolvere pacificamente i problemi,
incapacità che ha sostenuto e sostiene infinite sofferenze dando un senso di
insignificanza alle esistenze individuali.
Nei secoli passati,
dalle lande assolate del medio oriente, è transitato lo "zero"
sublime invenzione (o scoperta) indiana che attraverso il mondo arabo, pervenne
ai curiosi pensatori cristiani poco dopo il mille. Da quelle stesse zone e da
quella stessa cultura è transitata la notazione dei numeri, detta appunto,
araba, ed è arrivata l’algebra. Non so quanti abbiano coscienza del fatto che
senza questi transiti o prestiti, nessuna automobile o telefonino o computer
poteva essere pensato e costruito e la civiltà occidentale non poteva essere
quella che è.
L’occidente ha
utilizzato queste grandi invenzioni, ha accettato la loro esportazione senza
domandarsi da dove provenissero ma sperimentandone la convenienza.
L’umanità è divisa
in popoli e culture che spesso non si capiscono tra loro a cominciare dal
fondamentale strumento linguistico.
Spesso accade che un
popolo inventi qualcosa. Può essere che quella invenzione abbia un valore
limitato: un’usanza, un costume che resta circoscritto entro i confini del
popolo che l’ha prodotto, ma può anche essere uno strumento con portata
universale, suscettibile di essere utilizzato, perfezionato e adottato da tutti.
Così fu per la ruota, così fu per la scrittura. Vorrei aggiungere qualcosa di
non scontato: così è per la democrazia, mirabile invenzione dei Greci non
ancora utilizzata da tutti i popoli, non ancora perfezionata ma sicuramente
benefica per tutti perché dà senso e valore alle esistenze individuali che
formano i popoli e le nazioni.
Eppure, nonostante i
risultati eccezionali che si ottengono attraverso le pratiche cooperative, i
commerci, le relazioni tra popoli e culture, il secolo XXI, quello che stiamo
vivendo, esordisce con la costruzione di un muro nelle zone cruciali del vicino
oriente e con due simmetrici undici del mese (settembre e marzo) che sembrano
esprimere una rabbia gigantesca e il livore di un mondo nei confronti di un
altro.
Come spiegare tutto
questo?
La politica utilizza la
parola magica ed esorcizzante "terrorismo" che non esprime altro che
un’immensa superficialità: è una parola che non spiega niente ma si
costituisce in alibi per ogni decisione discutibile, come appunto quella del
muro, oltre che per favorire giganteschi affari.
Il termine
"terrorismo" con la sua valenza demagogica e la sua assenza di
significato certo, costituisce l’alibi per una logica utilizzata ancora da un
occidente che non vuol fare i conti con la storia.
Dire
"terrorismo" è come dire "cattiveria"; il termine si
circonda di un’impalpabilità nebbiosa e fa da schermo a tentativi di maggiore
comprensione dei fenomeni. Insomma quel termine è utilizzato da chi non vuole
pensare.
Il muro che nasce su
questa dimissione del pensiero, non riguarda arcaiche distinzioni etniche:
Israele ha radici semitiche esattamente come i popoli di etnia giordana e
palestinese (anche se la sua cultura si può considerare indoeuropea) ma
riguarda piuttosto il modo di vita e di essere dell’occidente. Lo stato
ebraico, seguendo la definizione di Marco Pannella, incastonata in una visione
superficiale della storia, è la "marca" dell’occidente nel
territorio islamico del vicino oriente.
Questo fatto è
considerato quasi un fasto da celebrare e non un problema serio poggiato su
antichi drammi che vanno dall’accusa di deicidio, ai pogrom, all’incapacità
dell’Europa di relazionarsi in altro modo ai popoli colonizzati, fino all’olocausto.
Tutto questo ha creato ciò che non si doveva creare: uno stato, in un
territorio Islamico, portatore di cultura occidentale che si è imposto con le
armi e favorendo una diaspora che evoca la propria. Qui l’esportazione di
modelli non è fatta in maniera indolore e pacifica ma con la forza di armi
sofisticate e con un retaggio di tragedie.
Esportare la democrazia
con le armi, le stesse armi di cui l’occidente per pura convenienza economica
che calpesta ogni altro valore, inonda il mondo, specialmente il mondo povero
garantendo così la sua povertà. Ecco la mistificazione: laddove l’occidente
vuole imporre il proprio potere e i propri modelli usa il termine
"democrazia" violentandolo come già si fece nei paesi dell’est. Sa
che in quel termine si annida la speranza che seduce singoli e popoli e lo usa
spregiudicatamente. La democrazia è così bella che si può imporre anche con
le armi, questo ci fa credere la propaganda occidentale.
Le armi sono tra i
pochi prodotti che non alzano il tenore di vita eppure i popoli poveri spendono
parti consistenti del loro reddito per armamenti; ma nel mondo povero non ci
sono fabbriche di armi sofisticate dunque la presenza di guerre e guerriglie
diventa un affare gigantesco per l’occidente. E in occidente, nonostante
qualche protesta, si tollera; e il cittadino medio, che non ha voluto o potuto o
saputo, prendere coscienza del problema, si irrita se vede masse di disperati
che giungono in Europa portando la loro disperazione assieme ad una buona dose
di risentimento.
La politica dell’occidente
non ha mai affrontato seriamente questo problema e non intende farlo. Si sono
concepiti solo rimedi cosmetici legati alle organizzazione umanitarie che
possono lenire la durezza dei problemi ma non risolverli.
Non è il caso di
ripercorrere le tappe storiche più recenti nelle quali si sono viste le
inadeguatezze delle istituzioni internazionali. Il luogo dove il muro sorge, ad
emblema di una cultura che non sa parlare con l’altra, è rappresentativo di
un rapporto immaturo che l’occidente mantiene con i popoli che ha conquistato
e sottomesso.
In occidente ci sono
studiosi intelligenti che mettono in evidenza gli errori della Gran Bretagna e
degli Usa e dell’occidente in genere, ma le istituzioni di quei paesi
continuano nella loro politica, sostenuti da storici e filosofi di regime,
pragmatici, realisti e ben pagati.
La mancanza di una vera
strategia politica in occidente caratterizza il secondo novecento. Si fa
solamente tattica e si bada al breve periodo. Così gli Usa, che avevano minori
responsabilità sia nella genesi storica dello stato ebraico sia negli errori
coloniali commessi in medio oriente, scegliendo la difesa acritica di Israele
hanno creato l’ostilità di un miliardo di musulmani.
Infatti un problema di
quella portata, che sintetizza le valenze più cupe e complesse della storia, è
stato lasciato alle intemperanze e agli errori locali. La responsabilità dell’occidente
continua anche oggi quando per rispettare la "marca occidentale" non
si è imposto a Israele un contingente internazionale in una situazione che per
gravità uguaglia e supera, gli altri fatti che hanno determinato tempestive
coalizioni internazionali a difesa di interessi occidentali.
L’occidente ha fatto
il possibile per creare le condizioni del muro. Il muro inteso non solo nella
sua dimensione materiale ma nella logica di separazione, che crea le condizioni
per declinare le forme più radicali ed estremistiche delle religioni. Le
valenze fondamentaliste dell’islam sono assai simili a quelle del
cattolicesimo dei secoli passati, solo che oggi questi fondamentalisti
dispongono di sofisticati strumenti tecnici che fanno paura.
La sofferenza inflitta
al popolo palestinese da un popolo che ricorda le persecuzioni come senso della
sua storia, ha creato le condizioni dei Kamikaze, che non nascono mai in
condizioni fisiologiche, ma in presenza di drammi storici e mostra anche l’ironia
irrazionale della storia che preme come destino sui singoli e sui popoli.
Allo stesso modo le
ideologie razziste, sostenute lungo i secoli da artisti e poeti compiacenti,
hanno prodotto l’olocausto che rappresenta la base psicologica cioè una delle
condizioni dell’intransigenza, a volte insopportabile, dello stato ebraico.
Il muro dunque è il
simbolo di un fallimento, un altro nella nostra storia, un altro che dobbiamo
incasellare o rimuovere come fanno gli storici pragmatici ed hegeliani che non
pensano mai a come sarebbe stata la storia e cosa poteva essere ma teorizzano,
per consolarsi, la necessita del "quia", il determinismo e il
pragmatismo che celebra solo la sequenza che si è realizzata e vede il fatto
come valore.
E’ chiaro che oggi l’esistenza
di Israele va garantita ma non dimenticando la sua genesi storica nella quale è
coinvolto tutto l’occidente perché così si perdono strumenti per risolvere
la crisi del presente.
Per evitare la paralisi
e il fatalismo, così diffusi specialmente presso chi conduce una vita comoda e
sicura, occorre pensare ad un futuro in cui vengano assunte e riconosciute le
responsabilità storiche. Non si deve chiedere perdono, come più volte, e
intelligentemente, ha fatto l’attuale capo della cristianità, attraverso i
libri e gli intellettuali illuminati; l’occidente deve chiedere perdono e
assumere il peso dei propri errori attraverso le sue istituzioni politiche, solo
così potrà recuperare il senso e il diritto di un intervento che non sia
sempre coloniale.
Gli stati uniti devono
chiedere perdono al Cile e al Vietnam ora che i documenti che provano il loro
coinvolgimento sono emersi, prodotti da loro stessi attraverso momenti di
trasparenza che non possono non essere apprezzati. Anche per la guerra irachena,
che ha eliminato 1\80 dei dittatori, ma ha rotto un ordine internazionale già
precario, bisogna che inquilini più coscienziosi della Casa Bianca chiedano
scusa e comincino a riabilitare le vittime della loro politica a cominciare da
Salvatore Allende. Questa speranza mitiga la severa critica agli Usa che stiamo
facendo perché non dimentichiamo la responsabilità e l’epopea di quella
nazione fatta dai reietti d’Europa che salpavano verso terre lontane offesi
dalle teorie dei benpensanti Europei che ponevano con arroganza l’equazione
povero=inferiore, adatto quindi alle inospitali terre americane poste alla
frontiera del mondo. Oggi sono i figli di quei poveri che dominano il mondo e ne
hanno responsabilità.
Il futuro si costruisce
sulle basi di un riconosciuto passato altrimenti i demoni della storia non si
dileguano e attossicano il presente.
Questa indicazione di
metodo e di storia segna il valore di quella politica e di quegli uomini
politici, che invece di far vedere al potente alleato americano i limiti della
sua azione, vi si associano e vi si subordinano speranzosi di un premio.
La Francia, la Germania
e la Chiesa, indipendentemente dalle motivazioni genetiche della loro azione,
hanno svolto un compito importante: hanno intaccato la solidità dell’impero,
hanno leso il conformismo politico, hanno prodotto e pensato alternative. La
strada è quella. E solo per quella strada sarà possibile mettere sul tappeto
anche le responsabilità non occidentali per favorire azioni comuni all’insegna
di nazioni associate poste sullo stesso piano di dignità.
Purtroppo all’orizzonte
non si vede nulla di tutto questo anche perché una crisi internazionale di
enormi proporzioni sta caratterizzando le cosiddette democrazie e le istituzioni
in genere; eppure un loro rinnovamento potrebbe venire forse da una nuova e più
matura consapevolezza della storia; per abbattere i muri che si stanno
costruendo bisognerà lavorare sodo e specialmente pensare. Il pensiero maturo
è una condizione necessaria per superare muri e barriere e vivere l’inesorabile
planetarizzazione della specie in modo dignitoso.
(nella foto "Il Muro della Pace"
dell'artista Gianni Realini)