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arte E società

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 ARTE E società

LA Dolce Vita e La Grande Bellezza

Metaforica staffetta non solo cinematografica‏

di MARCO NASTASI

 

 

 

Un gruppo di “mondani”, dopo una festa, si ritrova alle prime luci dell’alba in spiaggia, incuriositi da un gruppo di pescatori  che stanno tirando le reti con dentro uno strano mostro marino. Questa è la scena con cui si chiude “La Dolce Vita” di Federico Fellini. Vediamo il protagonista ,Marcello, uscito per ultimo dalla villa, che si affretta anche lui a  vedere il mostro, ma è richiamato da Paola, la ragazzina incontrata sulla spiaggia qualche giorno prima: il rumore del mare disturba il loro dialogo a distanza e riescono solo scambiarsi alcuni gesti ed un saluto. Scena profondamente simbolica ed evocativa, in cui il regista trasla con grande maestria dall’occhio dello strano pesce catturato al volto della ragazza. Tutto sembra farsi metafora del canto del cigno di una stagione e  l'inizio di un'altra in cui l'incomunicabilità e l'incapacità di sentire (Marcello ripete ,quasi con triste arrendevolezza, ”Non  sento, non ti sento” guardando Paola da lontano) diventeranno le stelle polari, mentre il rumore di sottofondo un'invadente e costante colonna sonora. Si spengono le luci morbide di quella "Dolce Vita" ,il riflesso delle candele di una stagione ormai affievolita, per  entrare nel diluvio di  accecanti lampi de-erotizzanti, quando la macchina con Marcello ed i suoi amici è ormai lontana . L’eco di quel “non sentire” ormai si è radicalizzato in una congestione dei sensi che soffoca l'immaginazione ed il pathos, dando vita, in parallelo, all'inizio della disillusione nelle "grandi speranze "(oggi sempre più invisibili).Ecco che quel bagliore un po’ sbiadito dell’alba ,dopo una notte di festa, si è mutuato in un'immaginifica caverna ,ben mascherata da paese dei balocchi(costruzione di una meta-realtà) ,ma all'interno profondamente oscura e senza più riferimenti, dove sembra solo splendere l'epitaffio della " Grande Bellezza”. Attraverso una sorta di staffetta, non semplicemente cinematografica, capace di sintetizzarsi e sublimarsi in un unicum di "immagini - movimento", specchio sincero di un mondo in trasformazione, dagli anni sessanta ai nostri giorni, che arriviamo alla scena iniziale del film  "La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino. Infatti, dopo il prologo in cui assistiamo alla morte di un turista giapponese colpito da una parossistica  Sindrome di Stendhal , causata dalla visione della bellezza, questa si ancora intatta, della Roma dei monumenti e dell'arte, la cinepresa plana bruscamente su una festa .Qui viene messo in scena un vero e proprio tripudio  di una mondanità kitsch, dove una variegata umanità si scatena in balli e musiche, per festeggiare il compleanno del protagonista ,Jep Gambardella “Il re dei mondani” (per sua stessa definizione).Eccolo il contraltare sinergico, ed in realtà perfettamente naturale al finale della “Dolce Vita”. Nel finale del film di Fellini assistevamo ad un gruppo di persone festaiole ,dall’aria stanca per la baldoria notturna, in una spiaggia accarezzata dai primi bagliori dell’alba, dove un silenzio implicito cominciava a dispiegarsi attraverso quel “non sentire” che preludeva ad una nuova stagione, in cui la disillusione era nel limbo dell’inconsapevolezza. Nei volti e nei balli pacchiani dei protagonisti del “La Grande Bellezza” quella disillusione si è pienamente manifestata ,ed accettata come condizione esistenziale ineluttabile. Musica a pieno volume ,rumore assoluto al posto del “silenzio” felliniano, dal “non ti sento” a “non voglio sentire”, perché  nulla può cambiare. E se ,con la carica simbolica propria del cinema, quello strano mostro marino della “Dolce Vita”, dall’occhio ormai incapace di vedere ,sembra rappresentare un presagio, l’annunciazione di una fine (non solo temporalmente cinematografica);nella festa iniziale del “La Grande Bellezza” abbiamo la gigantesca insegna luminosa “Martini”. Un occhio totem- pubblicitario, che sembra dominare su quell’ umanità fracassona e volutamente cieca, per un’illusoria ed effimera via di fuga. Ma il cinema, e l’arte in generale, devono anche mostrare un barlume di possibilità’, e mentre Marcello si allontana con i suoi amici, sordo al “richiamo di Paola”, Jep ,nel finale, invece, in una dimensione onirica più vera della sua mondana realtà’, ci dice, quasi volesse mostrarci in modo poetico uno squarcio di speranza, :“In fondo, è solo un trucco”.

 

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