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RECENSIONE
Francofonia, il
nuovo film di Aleksandr Sokurov
Marco Nastasi
Presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il film “Francofonia”,
del regista russo Aleksandr Sokurov ha come pretesto narrativo la storia di due uomini, il direttore
del Louvre, Jacques Jaujard ,e l'ufficiale tedesco , il conte Franziskus Wolff-Metternich, che,
durante l'occupazione nazista del 1940, trovarono un accordo per salvare lo sterminato patrimonio
contenuto nel museo. Sokurov, attraverso questo film, compie un'operazione profondamente
decostruttiva, cercando di formalizzare uno statuto più autentico dell'immagine come reazione ad un
mondo in cui vi è una bulimica produzioni di immagini insignificanti che tutto tendono ad
omologare. Francofonia è da questo punto di visto un’opera profondamente ambiziosa, poiché’
rappresenta il tentativo di assegnare dall'arte l’immane compito di tradurre i significati più
impliciti della realtà storica. Il regista russo mostra come l’arte possegga un potente potere
taumaturgico di uno strumento universale che plasma il tempo, oltre la divisione schematica
passato-futuro , trascendendo la storia e l’attualità politica, come specchio rivelatore delle
umane vicende ed antidoto alla dispersione valoriale dell’Europa dei nostri giorni. Già l’inizio
del film è emblematico e magnificamente metaforico. Infatti, “Francofonia” prende il via con lo
stesso Sokurov che si mette in contatto, tramite Skype, con un uomo, capitano di un cargo, che
sfida una tempesta per portare in salvo un patrimonio artistico, simbolo della memoria e della
bellezza ,entrambe in balia dei flutti cechi della storia e della politica. La scelta di creare
questa sinergia, tra una moderna tecnologia del “vedersi” ,Skype, ed una tradizionale forma
espressiva del “vedere “,il cinema , è un manifesto concettuale che mostra la sublime trascendenza
della a-temporalità dello sguardo . Un’altra sinergia ,in questo caso più propriamente narrativa ,è
rappresentata dall’alleanza tra il direttore e l’ufficiale nazista, due uomini a cui gli eventi
della contingenza storico-politica hanno assegnato il ruolo di nemici, mentre l’arte li rende
complici per poter salvare le opere del Museo dagli orrori della guerra. Eccole che appaiono chiare
delle significative dicotomie, salvezza-guerra(quindi distruzione), memoria –oblio ,coscienza
–incoscienza. Alla base di queste contrapposizioni vi è la dialettica tra l’arte ed il flusso
continuo degli eventi storico-politici, spesso privi di senso ,o quantomeno difficilmente
rintracciabile. Mentre l’arte, che sembra dal punto di vista ontologico l’autentica coscienza
dell’essere umano, è l’unica possibilità per svelare un barlume di senso che ci affanniamo a
cercare nella realtà. Ecco perché un film come Francofonia non è solo cinema, ma diventa anche
rievocazione storica ,indagine filosofica ed infine uno strumento politico, perché’ ci permette di
mettere a nudo l’identita’ dell’Europa, suggerendoci un nuovo sguardo per riguardarci cosa siamo
stati e cosa siamo, uno specchio per i nostri tratti più peculiari ,una finestra sul nostro mondo in
divenire. E come riesce Sokurov a tradurre in immagini tutto questo? La scelta è virtuosa dal punto
di vista cinematografico, brillante e significativa dal punto di vista culturale. Infatti la
cinepresa si sofferma sui dettagli dei volti realizzati da pittori rinascimentali ,quell’ arte del
ritratto che da sempre è una protagonista assoluta della cultura europea. Tante sono le immagini dei
ritratti ("Il ritratto racconta di noi, della nostra storia. Che sarebbe l'Europa senza l'arte del
ritratto?"), e mentre la cinepresa indugia su un naso, un occhio, o su un’impercettibile piegatura
delle labbra, il regista sembra volerci suggerire che la pittura ci permette di capire chi siamo noi
europei. Guardare il viso degli altri per capire ciò che ci diversifica e ciò che ci unisce. Come
disse Emmanuel Lèvinas : “Nel semplice incontro di un uomo con l’altro si gioca l’essenziale,
l’assoluto: nella manifestazione, nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo è mio
nella misura in cui lo posso condividere con l’altro” Ed è proprio questo che l’Europa sembra aver
smarrito ,la voglia e la capacità di alzare il proprio sguardo verso l’altro e verso il proprio
passato, inteso come le macerie dei conflitti che si è lasciata alle spalle ma, nello stesso tempo,
come il suo immenso tesoro fatto di arte e cultura, la struttura più affidabile su cui ricostruire
e ridefinire cosa significa Europa. Oggi invece assistiamo ad un continente , non solo con lo
sguardo da troppo tempo abbassato, totalmente accecato dal paradigma dominante della finanza. Le
conseguenze hanno portato ad un sostanziale dissolvimento dell’identità europea, un’evoluzione
pirandelliana che partendo dal tentativo unitario, sta proseguendo in “centomila” egoismi e che
rischia di finire con il “nulla “ per tutti. Che il monito arrivi da un regista russo (con la
fondamentale premessa del grande autore) non è un caso, perché’ da sempre la Russia è una sorta di
sorellastra dell’Europa, con cui il rapporto è ricco di contraddizioni ma ineluttabile sia per le
tradizioni del passato che per la stringente attualità. E Sokurov, mostrandoci nei primi minuti del
film le fotografie di Tolstoj e Čechov morenti, a occhi chiusi, sembra dirci che il ventesimo secolo
dell'Europa è stato sognato dalla letteratura russa del diciannovesimo secolo, e nello stesso tempo
che non si può fare a meno della Russia per tessere un’identità europea. Il film, dopo aver per
tutto il tempo attraversato l’arte figurativa, termina con il non-figurativo: tre schermi vuoti che
cambiano progressivamente colore. In questo, non dobbiamo leggere una sorta di arresa, come se
l’immagine del passato fosse ormai dissolta e priva di senso, ma come nuove possibilità suggerite
dalla modernità. Il tentativo di ridiscutere l’immagine ed i suoi significati, senza far scivolare
nell’oblio il lascito del passato, senza che per l’Europa ci sia una maschera usa e getta al posto
di un volto dallo sguardo vivo.
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