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Critica

Breve storia e sviluppi della novella italiana

di Maria barreca

 

 

La novella italiana reca in sé una vasta e ricca storia. I trattati di retorica medievale, eredi del pensiero di Cicerone, pongono in risalto la distinsione tra l’historia, che riferisce fatti realmente accaduti, storicamente reali, ma lontani nel tempo, l’argumentum, che riferisce fatti immaginari, ma verosimili, che sarebbero cioè potuti accadere, la fabula, che riferisce eventi inverosimili adatti come intrattenimento al pubblico, non narrando il factum, ma il fictum, ovvero l”’inventato”.

Precipuo fine della fabula non è dunque la didattica o la persuasione moraleggiante, ma il puro piacere nel raccontare: ciò implica peraltro la brevitas del racconto, la delectatio, la linearità dei sintagmi espositivi e la vanitas, ovvero la mondanità del narrato: lo scopo del racconto non è la comunicazione di un significato profondo, ma superficiale e spesso ironico.

La novella trova la sua linea di sviluppo nel progressivo perfezionarsi di generi minori della narrativa medievale: l’exemplum, la legenda, il lai, il fabliau, anzi essa potrebbe essere definita come il genere narrativo che conduce alla realizzazione della loro piena espressione artistica le tendenze retoriche e letterarie proprie del sermo brevis, non solo mediolatino e volgare, ma anche classico e orientale.

Nel prologo del Novellino si sottolinea come la novella debba cercare di raggiungere il massimo di efficacia  nella narrazione con il minimo di parole. Essa procura la delectatio, cioè un piacere estetico continuo ed assoluto non finalizzato alla morale; i racconti sono lineari e si risolvono nella circolarità della cornice.

La novella nasce come genere marginale, prodotto letterario effimero, destinato ad essere venduto e consumato, sottoposto a inevitabili rimaneggiamenti, e ad indebite appropriazioni, tuttavia la marginalità suscita nella cultura gerarchizzata del Medioevo un senso si interesse e di attrazione.

Buona parte della produzione novellistica e dei racconti del Duecento vengono pubblicati sotto l’anonimato. Dai testi anonimi è assente ogni pretesa letteraria. Anche i manoscritti sono frammentari, miscellanei, privi di miniature e poco preziosi.

Il genere novella riesce tuttavia a racchiudere nella sua struttura tutte le potenzialità espressive proprie del racconto tradizionale e a riprodurre caratteristiche, come la gestualità e la mimica, tipiche dell’oralità.

Anche l’osceno viene riscattato dalla teoria dell’ honestum, indicante in tal caso un altissimo controllo retorico, che assoggetta il linguaggio triviale al freno dell’arte. Il racconto e la novella sono nel Duecento espressione artistico-letteraria dei gusti e degli interessi del mondo borghese: nel racconto, il ceto sociale emergente dei mercanti e degli artigiani faceva emergere le proprie aspirazioni e valori, allo stesso modo in cui il romanzo cavalleresco era depositario dei valori del mondo feudale cortese.

Non a caso, la novella nasce in Toscana, regione in cui maggiore era l’influenza politica ed economica della borghesia in ascesa. Il racconto italiano del ‘200 segue un’ aspirazione realistico-laica ed edonistica, attratto da argomenti attinenti al vissuto, alle implicazioni personali e pragmatiche del reale, ha come protagonisti personaggi realistici, è raffigurazione piena della realtà, tanto da sovrapporsi ad essa. La raccolta duecentesca più interessante dal punto di vista compositivo, anteriore al Novellino, è quella dei Conti di antichi cavalieri, che, nata nella zona di Arezzo (area toscano-orientale), nell’ultimo quarto del secolo, consta di ventuno racconti, che si soffermano sull’esaltazione di figure eroiche  o letterarie del mondo antico: Agamennone, Ettore, Cesare, Pompeo, per giungere all’esaltazione delle gesta dei cavalieri medievali, come eredi degli antichi eroi. Al centro del serie di novelle si pone il racconto di Tebaldo, che sembrerebbe contenere l’intero significato dell’opera: in esso viene magnificata l’arte della parola elegante e raffinata, senza la quale, né le virtù cortesi, né la capacità di governo avrebbero rilievo. La collezione di detti e fatti di cavalieri antichi passerà a definire, attraverso la mediazione dantesca, un’intera tradizione letteraria, da Boccaccio ad Ariosto.

Grande importanza nella storia della novellistica hanno i volgarizzamenti, cioè la riproposta in volgare italiano delle grandi collezioni di racconti di origine orientale, già tradotti in latino nel corso del secolo XIII. Tra i volgarizzamenti più famosi, ricordiamo la Disciplina clericalis, il Libro di Sinibad, il Libro dei Sette Savi, testi che fanno parte della categoria dei racconti narrati per ritardare il compiersi di un’azione deleteria, di solito l’uccisione del protagonista della storia. Il testo-modello, a livello tematico, è il racconto biblico della “Moglie di Putifar”: i racconti hanno infatti spesso l’intento di salvare la vita di un giovane principe, accusato presso il re suo padre di aver tentato di sedurre la propria matrigna, le cui avances egli aveva invece respinto. Nel Libro dei Sette Savi i racconti vengono pronunciati da sette saggi, con l’intento appunto di difendere il giovane principe, e dalla matrigna, con il fine contrario di farlo condannare, durante un arco di sette giorni, nei quali al principe è proibito parlare in sua discolpa. I racconti dei savi hanno dunque lo scopo di screditare la donna agli occhi del re, sono racconti a sfondo misogino, nei quali si esibiscono tranches di vita vissuta, con l’intento di evidenziare la lussuria e la malvagità femminile. Ad ognuno dei racconti, la donna risponde con una storia di eccezionale significato morale; concluso il ciclo di sette giorni, il principe può finalmente parlare in sua difesa: nel suo racconto, il mito classico sull’incesto per eccellenza, cioè la storia di Edipo, si mescola alla storia biblica di Giuseppe, il principe racconta i fatti come effettivamente sono andati, ottenendo alla fine il riconoscimento della propria innocenza e lo smascheramento della matrigna.

Con il Novellino si realizza in Italia il primo tentativo di organizzare una raccolta sistematica di racconti.  Le novelle di cui il libro si compone sono attinte dalle principali tradizioni narrative precedenti, quella biblica e quella classica, la mediolatina e l’orientale, con l’intenzione di riscrivere il materiale tradizionale, secondo una nuova prospettiva artistica. La raccolta viene compilata a Firenze da autore anonimo, negli stessi anni ai quali risale la Vita Nova di Dante. Il titolo corrente di Novellino è la conseguenza di un abuso perpetrato nell’edizione milanese dell’opera, datata 1836. La tradizione manoscritta e a stampa ci tramanda invece altri due titoli: le Ciento novelle antiche e il Libro di novelle e di bel parlar gientile, che, rinvenibile nella più antica tradizione manoscritta, è da ritenere come l’unico originale, congruente, tra l’altro, con il programma letterario enunciato nel prologo dell’opera. Con il Novellino, si stabilisce ormai un legame tra “bel parlare” e “novella”, fra la parola e il racconto, fra ars loquendi, cioè retorica e ars narrandi, cioè letteratura. L’uso tecnico del termine  novella sta ad indicare la nascita del nuovo genere della narratio brevis medievale sulle ceneri dei generi antichi. Nel Prologo del Novellino, è il compilator a parlare: egli dice di aver raccolto una serie di racconti sui quali ha impresso il marchio della propria personalità artistica e culturale. Questa nuova prospettiva retorica e stilistica trasforma la figura del compilator in quella dell’ auctor, trasforma la novella in racconto. Il discorso dell’auctor inizia con la correlazione fra verità evangelica, secondo cui la ricchezza della parola sgorga dalla pienezza del cuore, e verità storica, scaturita dal Libro della Natura, secondo il quale c’è corrispondenza fra “cuore gentile” e parola elegante e piacevole, c’è perfetta corrispondenza tra parola di ispirazione divina, che esalta Dio, e costituisce il cibo dell’anima, e parola mondana, che “rallegra il corpo”. L’autore si sofferma quindi sui modelli da cui ricava i nuovi exempla da proporre, i facta e i dicta degli uomini nobili e gentili del passato. Novella è la parola detta con arte: essa ha condotto chi l’ha raccontata alla salvezza dell’anima, oltre che all’affermazione mondana. Il Novellino è un’ opera che presenta una notevole simmetria tra le varie parti, un viaggio attraverso gli strati sociali, da re e cavalieri (bellatores), cui è dedicata la prima parte dell’opera, ai pensatori e uomini di corte (oratores), ai mercanti e al popolo (laboratores). Il Novellino si apre e si chiude nel nome di Federico II di Svevia, che rappresenta il paradigma di uomo alla base dell’opera: egli era infatti ritenuto esempio di “bel parlare” e di costumi gentili. La prima e l’ultima novella mettono inoltre in evidenza l’una personaggi di origine orientale, il “Prete Gianni” e il “Vecchio della Montagna”.

All’aprirsi del secolo appare, dopo tanti anni di scritti anonimi, il primo nome di autore di novelle italiano, Francesco da Barberino, coevo di Dante, primo tra gli autori medievali a pensare ad una sistemazione del patrimonio narrativo medievale. Era autore dei Flores Novellarum, opera andata perduta. Della produzione del Trecento rimangono anche due trattati in volgare, Reggimento e costumi di donna e i Documenti d’amore, in cui l’autore inserisce numerose novelle di tradizione occitanica. Nel ‘300 è ancora in auge il volgarizzamento, come quello toscano-veneto di Barlaam e Josafat, racconto della conversione al Cristianesimo del principe indiano Josafat, grazie agli insegnamenti dell’eremita Barlaam, che si snodano come lunghe discussioni a carattere religioso e morale.

Altro volgarizzamento importante è quello toscano del Ludus scacchorum, trattato di ispirazione morale di autore incerto in cui i racconti sono organizzati intorno all’idea originale del gioco degli scacchi. Troviamo infine i volgarizzamenti toscani del patrimonio agiografico mediolatino, le traduzioni delle Vitae Patrum e dei Dialogi di San Gregorio Magno. Nella tipologia dei racconti agiografici rientrano anche i Fioretti  di San Francesco, che riuniscono aneddoti relativi alla vita del Santo e dei suoi seguaci, la raccolta nasce da un volgarizzamento degli Actus Beati Francisci et sociorum eius, composto con ogni probabilità  a Siena verso il 1370-1385.

Una tipologia narrativa fondamentale per la letteratura trecentesca è quella della favola, che ha come protagonisti animali e ricava molti aspetti ed espressioni dall’omelia religiosa, che utilizzava l’exemplum come racconto efficace per veicolare verità religiose e morali. Il materiale favolistico si basa spesso non tanto su fonti classiche, ma medievali, fra le raccolte va evidenziato l’Esopo Toscano, che comprende sessantatre favole, definite nel prologo come “Novelle”.

Con l’Avventuroso Ciciliano,di Bosone da Gubbio, entriamo invece in un altro spazio letterario: il romanzo con inserimento di novelle. Questo genere, che unisce una trama primaria a delle narrazioni secondarie, era già diffuso nella tradizione ispanica e trova in Italia la sua affermazione con il Paradiso degli Alberti. L’Avventuroso segue l’itinerario di tre baroni siciliani, che fuggono dalla Sicilia durante i Vespri del 1283, l’isola rappresenta il luogo dell’alienazione, abbandonato per cercare l’apertura ad un Mediterraneo ricco di avventure. I tre baroni faranno ritorno in Patria ricchi di denaro e di esperienza, integrandosi alla popolazione isolana maggiormente rispetto a quanto non lo fossero in precedenza.

Nel 1300 si sviluppa anche la novella in versi o cantare novellistico. Sono probabilmente i canterini di piazza i primi autori di versi in ottave, rivolte ad un pubblico non più solo borghese, ma maggiormente di estrazione popolare. Insieme al gusto del racconto, si cerca quello del suono cantilenante, la musicalità diventa infatti per un pubblico non colto indispensabile aiuto alla memoria.

Giungiamo così agli anni del Decameron: esso rappresentò nella prosa ciò che la Divina Commedia  di Dante fu nella storia della versificazione italiana. Il Boccaccio si era già cimentato nel genere del romanzo d’avventura d’argomento d’ol con il Filocolo, nel poema cavalleresco con il Teseida, nel romanzo psicologico con l’ Elegia di Madonna Fiammetta. Con il Decameron egli raggiunge l’espressione più alta della propria opera, la raccolta di novelle riprende infatti vari generi di letteratura in volgare già affermatisi in precedenza, come l’exemplum e il fabliau, e completa il cammino iniziato dal Novellino, come sunto di una serie di generi tradizionali. Il Decameron si situa a metà tra la narrazione di racconti di origine orientale e quella romanza delle narrazioni esemplari. Importante novità è rappresentata, all’inizio dell’opera, dalla dedica al pubblico femminile, le donne innamorate che trovano conforto nella letteratura. Esse diventano il destinatario privilegiato dell’opera di Boccaccio: insieme al pubblico femminile, l’autore introduce se stesso, la cui azione si distribuisce tra i dieci componenti della “brigata”, il messaggio narrativo si inserisce nel contesto storico: l’epidemia di peste del 1348. Il disegno generale del Decameron pare dividersi in due metà con la cinquantunesima novella, narrata da madonna Oretta, sull’arte del raccontar novelle. La prima parte dell’opera è incentrata sul tema della Fortuna, la seconda su quello della Virtù. Si realizza dunque una progressione dal dominio del Caso verso il dominio dell’Uomo, la creatura umana che lotta per il proprio Bene, per la propria personale affermazione. La porta d’ingresso al nuovo argomento è la Sesta Giornata, incentrata sulla tematica della salvezza umana, che viene dalla forza della parola e dalle capacità personali, dal “motto di spirito”, che risponde ad una sollecitazione incentrata su un rapporto interpersonale. Si sviluppa così il tema della competizione umana, incentrata su uno “schema d’ingegno”, vince chi pronuncia l’ultima parola, chi ha la capacità, con un discorso fluido e adeguato, di risolvere le tensioni ideologiche e narrative. La Settima Giornata costituirà poi la celebrazione della beffa legata ai fatti d’amore, al tema del tradimento: al centro dell’opera, la salus, la venus e la virtus, che la tradizione italiana celebrava fin dal Novellino.

 

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