economia
Italiani, cannibali di sè stessi
di pino rotta
Si continua a parlare,
soprattutto a livello mediatico, di "crisi" quando è ormai sotto gli occhi di
tutti che l’economia occidentale si è avviata (e lo ha fatto sin dagli anni ’90
del secolo scorso) verso una generale riduzione del tasso di crescita e, di
conseguenza, del tenore di vita dei cittadini: la chiamano Crisi
ma si traduce Globalizzazione.
In questi ultimi venti anni le risorse
finanziarie e le principali attività produttive dell’Occidente si
sono trasferite nei paesi dell’ex Unione Sovietica ed in quelli del
cosiddetto BIRC (Brasile, India, Russia e Cina) sotto la regia delle
holding finanziarie e dei loro rappresentanti della Destra politica
americana ed europea. La Sinistra non ha saputo impedirlo, ma la
responsabilità di questa scelta non può essere definita bipartisan:
da Regan e Thatcher in poi, questa è la politica della Destra,
imposta anche con la guerra.
Gli effetti di questa politica si stanno
manifestando in generale con un aumento della disoccupazione e con
una fiscalità sempre più alta e, probabilmente per molti anni,
ininfluente per la ripresa economica.
Ma c’è da fare dei distinguo sia sulle condizioni
di partenza che sulle conseguenze di questa politica di
ristrutturazione del Capitalismo.
Guardiamo, ad esempio a due paesi simili per
cultura e demografia, Italia e Spagna. In entrambi i paesi aumenta
la disoccupazione (soprattutto nelle aree industrializzate) ed
aumentano le tasse per far fronte alla mancanza di liquidità e
finanziare il debito pubblico.
Ma i dati di partenza di questi due paesi non
sono affatto raffrontabili. La Spagna ha utilizzato, soprattutto
fino a dieci anni fa, i finanziamenti dell’Unione Europea per
modernizzare strade, ferrovie, aeroporti, porti, cultura, strutture
turistiche e reti di produzione agricola ed oggi affronta la bufera
finanziaria con queste infrastrutture presenti e funzionanti sul suo
territorio. Inoltre ha un costo dei carburanti di circa mezzo euro e
dei trasporti di circa la metà in meno rispetto all’Italia, ed una
rete di distribuzione alimentare che valorizza molto il "chilometro
zero". Ed hanno investito per preservare l’ambiente come risorsa
preziosa, nonostante la speculazione edilizia che ha fatto esplodere
il sistema creditizio.
Certo gli spagnoli stanno affrontando la
disoccupazione e il de-finanziamento di servizi pubblici e,
giustamente, scendono in piazza a protestare. Ma se anche la
fiscalità spagnola aumenterà nei prossimi anni la rete "già
esistente" di servizi pubblici farà pesare un po’ meno i sacrifici
in termini di contenimento dei prezzi dei beni di consumo rispetto
all’Italia.
In Italia la situazione è diametralmente opposta.
Soprattutto nel Sud, in questi ultimi venti anni abbiamo assistito,
impassibili e in molti anche complici, alla rapina delle risorse
messe a disposizione dell’Unione Europea senza che per contro
venissero realizzate opere infrastrutturali di utilità pubblica.
Siamo un paese a vocazione turistica ma abbiamo devastato il nostro
territorio ed in particolare le coste meridionali. Abbiamo le più
alte percentuali di evasione fiscale e corruzione d’Europa.
Basterebbe fermarsi a ciò per capire che i guai degli italiani e
quelli degli spagnoli, per quanto seri per entrambi, hanno un
effetto sociale di gran lunga differente.
Gli italiani, ed i meridionali in particolare,
per capire dovrebbero guardare di più all’estero e fare come nel
famoso gioco enigmistico: trova le differenze!