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CULTURA

Tradizione e modernità

di pino rotta

 

 

Da quando si è cominciato a dibattere sulla cosiddetta globalizzazione (venti anni circa) si sono affermate due scuole di pensiero contrapposte.

La prima, sponsor della globalizzazione, ha innescato una sorta di apologia della ipermodernità a base di informatica e lingua inglese. Si è diffusa la convinzione che per stare al passo con i tempi era indispensabile conoscere l’inglese e l’informatica. La scuola in Italia ha seguito questa corrente di pensiero marginalizzando quelle discipline quali la storia, il latino, la filosofia, la letteratura, l’arte ritenute superflue per affrontare il nuovo mercato del lavoro. Ovviamente, gli effetti di questa scelta non si sono visti subito ma con il tempo la società si è livellata verso il basso con la perdita di memoria storica e capacità di analisi critica della realtà che solo lo studio delle discipline umanistiche (ma non solo!) possono dare.

Come reazione a questa scuola di pensiero "ipermodernista" si sviluppata quella basata sul "recupero delle radici".

Non solo l’inglese è stato indicato come strumento di colonialismo culturale ma, nel giro di pochi anni, anche la lingua nazionale, l’italiano nel nostro caso ma è un fenomeno che si è diffuso in tutti paesi occidentali, è diventata una lingua strumentale, da usare solo per il minimo di utilità formale.

Il dialetto è stato esaltato come strumento di "recupero" dell’identità culturale. Si è andati a ripescare tutte quelle forme di espressioni localistiche quali la musica e balli popolari, gli antichi mestieri, gli antichi sapori, ecc. il folklore è stato elevato a Tradizione.

In breve tempo l’uso della lingua nazionale si è impoverito a vantaggio delle espressioni dialettali.

Ora facciamo un rapido riepilogo di quello che, nella cultura occidentale, si è consolidato negli ultimi venti anni: conoscenza della lingua nazionale molto scarsa, studi umanistici molto scarsi, di conseguenza difficoltà estrema, soprattutto per i ceti popolari, di conoscenza dell’inglese e dell’informatica e in generale delle discipline scientifiche. In buona sostanza, per la responsabilità degli ipermodernisti e dei fautori del "recupero delle radici", abbiamo oggi una società che sul piano della conoscenza si è verticalizzata ampliando la distanza tra ricchi e poveri. Riducendo la possibilità per i ceti popolari di affrontare le sfide della trasformazione socioeconomica poiché privi delle conoscenze necessarie per farlo; le stesse conoscenze che invece i ceti più ricchi della società hanno potenziato come si riscontra dalle statistiche sulla leadership che ci dicono che al vertice della scala sociale ci sono in grandissima prevalenza persone con una formazione umanistica e una specializzazione di tipo tecnico-scientifica.

Praticamente in tutto l’Occidente e in Italia in particolare il "recupero delle radici" ha coinciso con un perdita di visione generale delle cose, con un etnocentrismo (del tutto anacronistico!) in cui hanno ripreso vigore valori arcaici che sembravano ormai superati quali la mentalità patriarcale, l’esaltazione della razza, la percezione della diversità come minaccia, la nostalgia verso un passato bucolico felice ed idilliaco, mai esistito, ma ipotizzato senza controprova vista l’incapacità di analisi critica della storia. Il risultato è una società più ignorante, chiusa, violenta e… impaurita. Già proprio impaurita poiché dall’ignoranza nascono le fobie, la paura per tutto quello che non si riesce a comprendere.

Bisognava allora scegliere acriticamente la globalizzazione come ce l’hanno presentata e servita? No, era ed è necessario capire che ci sono dei valori e un patrimonio culturale che sta a fondamento della civiltà europea e questi valori sono irrinunciabili pena il rischio (ormai realtà!) di tornare indietro nei diritti civili e umani. Questi valori sono scritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, parte integrante dello Statuto dell’ONU e frutto di tre secoli di lotte per l’affermazione della libertà e della pari dignità di tutti gli uomini e le donne. E questi valori appartengono all’Occidente ma soprattutto all’Europa, queste sono le "radici da recuperare", poi se si sa suonare l’organetto e ballare la tarantella ci farà anche piacere, ma fino ad oggi sotto i colpi di tamburo e con la Babele delle lingue quello che abbiamo ottenuto è la divisione e la perdita di potere democratico dei popoli ed il rafforzamento del Dio Mercato.


 

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