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Recensioni

Poesia

Macchie In Versi (Poesie di Roberto Pirrello)

di Daniela pericone

 

Nasce con la veemenza di un fiume lavico la poesia di Roberto Pirrello, un fluire di versi ardenti come braci capace di asservire lo sguardo e i sensi alla sua malia. Perché leggere la poesie raccolte da Pirrello nel suo libro d’esordio Macchie in versi (Edizioni Rupe Mutevole) è un’esperienza che scardina gli schemi dell’abitudine, la quiete della lettura riflessiva, nel momento in cui ogni senso è coinvolto in uno scambio sinestesico dalla piena delle sue parole, una piena, si badi bene, tenacemente imbrigliata dalla lucida e nel contempo ludica volontà del poeta.

Già il titolo Macchie in versi racconta della compresenza nell’autore di due passioni, la poesia e la pittura, alludendo alla capacità osmotica, all’inesauribile attitudine di entrambe le arti di travalicare i rispettivi confini espressivi, là dove le parole sanno tracciare disegni e spargere colori e la pittura figurare visioni di mondi interiori. Con tale evidenza pittorica si staglia la lirica da cui è tratto il titolo del libro: "Nascosto dietro l’angolo di un muro / cerco nel cielo la nuvola più scura // Ebbro di vento cullo la paura / lasciando macchie in versi sulla tela".

Ma se i versi agiscono sull’immaginazione inducendo a "vedere" i colori del mondo lo fanno attraverso la musica del linguaggio poetico, la capacità incantatoria delle sillabe combinate e ricombinate a produrre fantasmagorie di suoni, scardinandone a volte il senso comune fino a coniare, con la naturalezza che deriva da un talento innato per il ritmo, tutta una serie di neologismi che rivelano quanto la necessità di comporre sia strettamente legata all’aspetto giocoso della creatività letteraria e al piacere che l’accompagna. Basti pensare all’invenzione di termini di forte espressività e di indubbio effetto onomatopeico come cruneo, nubaglia, pioggiare, rugolo, rubiniare per convincerci della plasticità e vitalità della lingua, che il poeta adopera come un materiale flessibile e poroso da piegare e modellare a suo piacimento pur di ottenere determinate suggestioni sonore e, mutando i significanti, amplificare i significati.

Perciò l’impressione prevalente che suscita la poesia di Pirrello, nella molteplicità delle forme che assume, sia quando il verso è asciutto ed essenziale, sia quando si mostra ridondante e quasi prosastico, è quella di una musica a colori, di un caleidoscopio di sensazioni, in cui avvertiamo che il senso del ritmo è ciò che ha guidato e determinato il disporsi e il fluire delle sillabe sulla pagina. Come un Ulisse redivivo il poeta anela la prigionia del canto e vi si abbandona: "Sirene / cantano / incantano il navigatore / che va di penna / a narrare il suo amore".

Alla diversa misura dei versi o dei singoli componimenti, alla varietà di stili e di linguaggi incontrati nel corso della silloge corrisponde l’eterogeneità delle occasioni e dei motivi che inducono la scrittura, i quali spaziano negli ambiti della riflessione sui temi universali della condizione umana, dall’ineludibile presenza del dolore all’inesorabilità dello scorrere del tempo, dall’indignazione di fronte alle ingiustizie alle alterne vicende dell’amore e delle sue pulsazioni, dalla contemplazione della natura e dei suoi elementi all’amaro quanto profondo legame con la propria terra, radice testimoniata peraltro da una serie di poesie composte in vernacolo.

Su tale varietà di temi e intonazioni agisce da punto di unione l’originalità dello sguardo di Pirrello, quel suo temperamento da "equilibrista di avventure fuori porta", come si autodefinisce in una delle liriche più riuscite, nel quale convivono i sentimenti solo in apparenza contrastanti di entusiasmo e di malinconia, e non ultimo quel gusto ironico che in più di un’occasione si può cogliere nella raccolta, così come in questi versi che forse meglio di altri ne descrivono la qualità umana: "ecco mi sento / […] / un pescator di stelle / all’imbrunire // amo / senza esca // non voglio far morire".

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