Nasce con la veemenza di un fiume lavico la poesia di Roberto
Pirrello, un fluire di versi ardenti come braci capace di asservire lo sguardo e
i sensi alla sua malia. Perché leggere la poesie
raccolte da Pirrello nel suo
libro d’esordio Macchie in versi (Edizioni Rupe Mutevole) è un’esperienza
che scardina gli schemi dell’abitudine, la quiete della lettura riflessiva, nel
momento in cui ogni senso è coinvolto in uno scambio sinestesico dalla piena
delle sue parole, una piena, si badi bene, tenacemente imbrigliata dalla lucida
e nel contempo ludica volontà del poeta.
Già il titolo Macchie in versi racconta della
compresenza nell’autore di due passioni, la poesia e la pittura, alludendo alla
capacità osmotica, all’inesauribile attitudine di entrambe le arti di
travalicare i rispettivi confini espressivi, là dove le parole sanno tracciare
disegni e spargere colori e la pittura figurare visioni di mondi interiori. Con
tale evidenza pittorica si staglia la lirica da cui è tratto il titolo del
libro: "Nascosto dietro l’angolo di un muro / cerco nel cielo la nuvola più
scura // Ebbro di vento cullo la paura / lasciando macchie in versi sulla tela".
Ma se i versi agiscono sull’immaginazione inducendo a
"vedere" i colori del mondo lo fanno attraverso la musica del linguaggio
poetico, la capacità incantatoria delle sillabe combinate e ricombinate a
produrre fantasmagorie di suoni, scardinandone a volte il senso comune fino a
coniare, con la naturalezza che deriva da un talento innato per il ritmo, tutta
una serie di neologismi che rivelano quanto la necessità di comporre sia
strettamente legata all’aspetto giocoso della creatività letteraria e al piacere
che l’accompagna. Basti pensare all’invenzione di termini di forte espressività
e di indubbio effetto onomatopeico come cruneo, nubaglia,
pioggiare, rugolo, rubiniare per convincerci della plasticità
e vitalità della lingua, che il poeta adopera come un materiale flessibile e
poroso da piegare e modellare a suo piacimento pur di ottenere determinate
suggestioni sonore e, mutando i significanti, amplificare i significati.
Perciò l’impressione prevalente che suscita la poesia di
Pirrello, nella molteplicità delle forme che assume, sia quando il verso è
asciutto ed essenziale, sia quando si mostra ridondante e
quasi prosastico, è quella di una musica a colori, di un caleidoscopio di
sensazioni, in cui avvertiamo che il senso del ritmo è ciò che ha guidato e
determinato il disporsi e il fluire delle sillabe sulla pagina. Come un Ulisse
redivivo il poeta anela la prigionia del canto e vi si abbandona: "Sirene /
cantano / incantano il navigatore / che va di penna / a narrare il suo amore".
Alla diversa misura dei versi o dei singoli componimenti,
alla varietà di stili e di linguaggi incontrati nel corso della silloge
corrisponde l’eterogeneità delle occasioni e dei motivi che inducono la
scrittura, i quali spaziano negli ambiti della riflessione sui temi universali
della condizione umana, dall’ineludibile presenza del dolore all’inesorabilità
dello scorrere del tempo, dall’indignazione di fronte alle ingiustizie alle
alterne vicende dell’amore e delle sue pulsazioni, dalla contemplazione della
natura e dei suoi elementi all’amaro quanto profondo legame con la propria
terra, radice testimoniata peraltro da una serie di poesie composte in
vernacolo.
Su tale varietà di temi e intonazioni agisce da punto di
unione l’originalità dello sguardo di Pirrello, quel suo temperamento da
"equilibrista di avventure fuori porta", come si autodefinisce in una delle
liriche più riuscite, nel quale convivono i sentimenti solo in apparenza
contrastanti di entusiasmo e di malinconia, e non ultimo quel gusto ironico che
in più di un’occasione si può cogliere nella raccolta, così come in questi versi
che forse meglio di altri ne descrivono la qualità umana: "ecco mi sento / […] /
un pescator di stelle / all’imbrunire // amo / senza esca // non voglio far
morire".