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 Società

Il Sesso e la riproduzione

di Pino Rotta (tratto dal saggio E' un mondo complesso, analisi bioantropologica dell'Occidente)

 

 

 

 

 

 L’Occidente naturalmente non è il Ghana o la Malacca e la struttura sociale risponde ad altre esigenze funzionali ed ad altri bisogni psicologici, comunque il fine rimane la perpetuazione della struttura. Magari mettendo in discussione la tradizione naturale. Cambia la concezione della riproduzione sessuata e cambia anche la stessa idea del sesso.

Otto agnellini nati dalla clonazione di cellule di una pecora adulta. Un essere che nasce e si sviluppa clonando una propria cellula, cioè replicando sè stesso.

Questo è il tema che ha reso incandescente il dibattito scientifico, ma ancora di più quello etico, degli ultimi anni.

Se il problema si limitasse solo agli agnelli tutto assumerebbe un tono meno drammatico, tant’è che l’ipotesi paventata da molti invece è quella della clonazione di un essere umano, richiamando alla mente infauste teorie di eugenetica.

Dal punto di vista pratico scientifico ci basti sapere che la cosa, seppure con immense difficoltà e grandi possibilità di insuccesso, è ormai tecnicamente realizzabile, non ci dilungheremo quindi su questi aspetti. Ci sembra più interessante cercare di capire quali sono le motivazioni di fondo del clamore che una notizia come quella del risultato conseguito dal biologo di Edinburgo Ian Wilmut, del Roslin Institut, ha suscitato.

Che la riproduzione di un individuo da una propria cellula dia vita ad un individuo identico al primo è cosa per nulla dimostrata. Sostiene Marcello Buiatti, genetista di fama internazionale, docente all’Università di Firenze: “...I gemelli sono individui che hanno lo stesso patrimonio genetico, ma dal momento in cui vengono al mondo, hanno immediatamente storie che si differenziano e che li differenziano...”.

Ancora più importante ci sembra la riflessione del prof. Maurizio Mori, bioetico, alla domanda circa i rischi sul processo evolutivo intaccato dalla clonazione: “... Prima di rispondere a questa domanda, dobbiamo farcene altre. E cioè: l’evoluzione è finalizzata a qualcosa, ha o non ha una sua direzione? È giusto che l’uomo gliene conferisca una a favore di sè stesso o degli altri animali? Una volta stabilito questo, non si può comunque pensare che qualsiasi intervento nella natura sia comunque negativo. Faremmo come quei medici dell’800 che si scagliavano contro i vaccini dicendo che avrebbero distrutto l’umanità e la natura. L’uomo interviene già sui processi evolutivi. A volte lo fa estinguendo specie preziose per l’equilibrio ecologico, altre volte annientando dei suoi nemici mortali come l’agente infettivo del vaiolo. O come, domani speriamo, quello dell’AIDS senza che si provi rimpianto...”.

Da sempre la scienza è stata amata ed odiata per i benefici e per i pericoli che da essa provengono. Sia gli uni che gli altri sono sotto gli occhi di tutti, così come sotto gli occhi di tutti sta l’atteggiamento da “Santa Inquisizione” che gli ambienti più conservatori della società non finiscono mai di adottare. È forse la possibilità dell’uomo di decidere del proprio destino che scandalizza oggi, tanto da richiedere il sacrificio degli agnelli di Wilmut, sull’altare del terrore?

Il comportamento dell’uomo, seppur condizionato dal bagaglio genetico (genotipo) è il risultato di una serie di condizioni ambientali e culturali (fenotipo) e la variazione anche modesta di queste condizioni cambia immediatamente il risultato comportamentale, cioè è un’altra storia individuale, un’altra vita. Questo è un fatto!

Se ci sia una direzione evolutiva che la natura segue o se essa non segua piuttosto un processo casuale per ora non sappiamo. Propendiamo per la seconda ipotesi, per quanto se ne sa.

Quello che è certo è che etica e morale seguono una strada assolutamente rigida ed arroccata a categorie che vengono date per acquisite da secoli senza pensare che oltre ai mutamenti di conoscenza scientifica vi sono anche i mutamenti psicologici che l’uomo sviluppa proprio in stretta relazione con i progressi della conoscenza. L’uomo cambia scoprendo!

Alle soglie del terzo millennio dell’era cristiana e dopo un milione e mezzo di anni dell’era umana non ci si è posti ancora il problema di concedere la possibilità all’uomo di adottare categorie etiche che facciano prevalere l’essenza di quello che veramente unico vi è nell’individuo: il proprio vissuto emozionale ed intellettivo.

Noi siamo legati indissolubilmente a quelle che sono le esperienze della nostra esistenza individuale, da queste traiamo il modo di pensare, agire e tutto il bagaglio dei nostri sentimenti.

Che l’individuo nasca in modo tradizionale, secondo il determinismo biologico imposto dall’evoluzione, o che sia il frutto di un intervento umano su questo determinismo, quello che troverà nella sua esperienza di vita lo segnerà in maniera unica e determinante.

Potrà vivere in un ambiente naturale che gli garantisce salute e soddisfacimento dei bisogni materiali, oppure in uno che gli provochi malattie e miseria. Ed il suo modo di pensare, sentire ed agire sarà plasmato da queste condizioni.

La scienza potrà consentire all’uomo di vincere i danni che il passato gli ha consegnato, fargli vincere la sfida contro gli elementi naturali che lo condannano all’estinzione, farlo proiettare verso altri ambienti fuori dal piccolo pianeta su cui è nato, oppure egli potrà seguire le paure di chi vede sfaldarsi obsolete strutture metafisiche sotto i colpi del progresso scientifico e teme di perdere i privilegi che queste fin’ora hanno concesso a pochi “eletti”.

Queste riflessioni danno una luce diversa agli scudi levati nella nuova crociata contro la scienza. Se spostiamo la nostra attenzione, per un attimo, dal particolare al generale lo scenario che se ne ricava ci sembra abbastanza eloquente: in tutto l’Occidente (negli altri Paesi non c’è bisogno!), da alcuni anni si sta portando avanti una campagna di terrore che ha il sapore della tristemente famosa Inquisizione seicentesca.   Siccome non si possono più mettere al rogo le persone si cerca di creare sgomento davanti ai risultati del progresso scientifico, creando nell’immaginario collettivo l’idea di mostri orribili mezzo uomo e mezzo bestia o mezzo uomo e mezzo macchina. Tutto questo mentre non crea nessuno scandalo il fatto che ormai ad ogni angolo di strada si offre alla gente lo spettacolo del miracolo “fai da te”, decine di madonnine in lacrime, sanguinanti e miracolose, o addirittura, gadgets allegati a noti quotidiani nazionali che spacciando la fantascienza per scienza, presentano ai bambini, tra un fumetto e l’altro, ipotesi di evoluzioni biologiche mostruose; nè si fa tanto clamore sulla proliferazione di armamenti terrificanti e sempre più sofisticati, prodotti in tutto l’Occidente, Italia compresa, o sulla persistenza della pena di morte in molti paesi anche occidentali (vedi Stati Uniti), o sul ricorso scellerato al finanziamento e alla fornitura di armi a regimi e gruppi terroristici che poi sfuggono al controllo e si rivoltano contro i loro “benefattori”.

Questo ci deve allarmare, perchè sembra che questo scandalo nasconda, più che le vere preoccupazioni (che pure occorre considerare sempre circa l’uso possibile di scoperte scientifiche), il tentativo di far passare il principio che qualcuno abbia un’autorità morale unica ed indiscutibile cui si devono conformare i comportamenti umani, imbrigliando i cervelli nelle reti di legislazioni varate sull’onda emotiva. Altra cosa ripetiamo è il problema dell’uso possibile delle scoperte scientifiche e della loro mercificazione (vedi la brevettazione delle scoperte genetiche).

L’uomo tra mille, centomila o un milione di anni forse non esisterà più, o forse sarà riuscito a “indirizzare la propria evoluzione” verso una forma che gli consentirà di vincere le radiazioni atomiche o ultraviolette, le epidemie, la fame, la sete, ecc., e questo non per presunzione di onnipotenza divina, ma solo per volontà di sopravvivenza. E’ il momento di rendere democratica la conoscenza scientifica affinchè tutti possano formarsi una coscienza proiettata verso un futuro in cui l’intelligenza e non il dogma guidi le scelte individuali; affinchè la prudenza non sia paura e l’uomo non sia considerato, antiteticamente solo frutto della biologia o creatura divina, ma intelligenza creativa di un ambiente che cambia, anche in conseguenza della sua azione. Per questo la scienza non ha bisogno di gabbie ma di pareti di cristallo, attraverso cui poter osservare l’azione umana in questo processo coevolutivo non solo  delle tecniche di riproduzione della specie ma soprattutto della funzione di autoconservazione della struttura sociale.

Da sempre il sesso è stato per l’uomo, oltre che il mezzo per riprodursi, un potente strumento di socializzazione. L’istinto alla riproduzione, fisiologicamente associato al piacere che accompagna l’atto sessuale, in tutte le epoche ed in tutte le civiltà ha prodotto innumerevoli rituali e strumenti espressivi sempre più complessi e simbolici. Questa sublimazione dell’istinto sessuale, quando è finalizzata ad incentivare e favorire la procreazione ruota attorno al corpo fisico, reale ed in primo luogo al corpo femminile, seguendo uno sviluppo culturale che, praticamente in tutte le civiltà, ha assimilato il corpo femminile ad uno strumento di procreazione, un mezzo di produzione della vita ad uso del maschio.

La predominanza del maschio nella gestione degli strumenti necessari al procacciamento dei beni di sostentamento della famiglia ha inglobato, oggettivandone la funzione “riproduttrice”, anche la donna.

Nei capitoli successivi richiameremo un concetto di Henry Laborit riferito al distacco della struttura sociale, presa come soggetto autonomo rispetto ai singoli individui che la compongono, dalla funzione della riproduzione sessuata propria dell’individuo. Appare ovvio che questa propensione della struttura sociale alla preservazione di sè stessa, a prescindere dalla riproduzione sessuata, non deve essere letta come una negazione della sessualità quale strumento di autoconservazione della struttura sociale, bensì come una traslazione di questa funzione dal livello dell’atto sessuale concreto al livello della sublimazione simbolica della sessualità.

L’atto sessuale è vissuto in funzione quasi esclusivamente riproduttiva  nelle società con una struttura organizzativa poco complessa, le cosiddette società primitive (definite più o meno primitive proprio in relazione al grado di complessità e degli strumenti sia tecnologici che simbolici che esprimono questa complessità), nelle quali i rituali sessuali sono elaborati e messi in atto per consentire il controllo della procreazione, spesso attraverso un sistema di rigide norme etiche e di tabù.

Nelle società ad alto tasso di complessità strutturale quei rituali, ancorchè regredire, diventano invece più complessi ed astratti, spostando anche l’obiettivo delle proprie finalità dalla riproduzione della specie alla conservazione della struttura sociale.

Nella società occidentale il grado di complessità è così elevato che i mezzi di comunicazione rappresentano sempre più non solo uno strumento per scambiare informazione, ma “territorio” stesso della comunicazione in cui ogni individuo si muove recependo ed inviando messaggi che concorrono a creare un mondo autonomo in cui ci si può muovere ed interagire in una dimensione virtuale.

Nell’ambito della sessualità questo mondo virtuale, oltre ad essere vissuto come più sicuro, non solo perchè mette al riparo dall’AIDS ma perchè in esso è il soggetto a gestire l’offerta e la domanda di “rapporti” o, per meglio dire, di relazioni, è anche libero dai rituali inibitori che la società reale gli contrappone. E’ questa sensazione di potere nella gestione della sessualità immaginata o virtuale che ha favorito il proliferare di stampa, cinematografia e, al passo con i tempi, anche di siti web su Internet.

Il sesso in quest’ottica non ha nulla a che vedere nè con la riproduzione nè con l’oggetto stesso dell’immaginario erotico. Ciò che diventa importante, che fa scattare la fantasia erotica, è la libertà e la molteplicità delle situazione erotiche possibili che vanno a stimolare l’immaginazione.

Sul piano morale questa realtà viene condannata o assolta, a seconda della convinzione etica e religiosa di chi dà il giudizio, ma non vi è dubbio che, modificando la tradizione etico-religiosa antica di migliaia di anni, vi è un distacco del concetto di sessualità dalla funzione riproduttiva ed un suo inserimento nella complessità di una struttura sociale nuova ed in continua trasformazione che ha visto la luce solo da alcuni decenni ed è ancora tutta da indagare.

Questo approccio nuovo alla sessualità spesso è indice di solitudine e di incapacità di relazioni reali, ma non bisogna commettere l’errore di credere che questo sia l’elemento prioritario, sottovalutando il processo di elaborazione immaginativa che va alla continua ricerca di nuovi spazi di libertà, in un territorio nuovo, con strumenti e codici che ancora stiamo imparando a conoscere.

 

 

 

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