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Torino libri Torino - Occhio alla "penna" delle donne
Tornando da Torino, dal Salone del Libro, tra le tante suggestioni che rimangono dentro, e che sono sempre riconducibili a quel "vizio della lettura" abbinato al piacere tattile dato dal libro, c’è un particolare stato d’animo che pervade, uno stato d’animo che è legato alla relazione, prima fonte di qualunque forma di comunicazione umana, la relazione tra le personalità diverse e, ognuna a suo modo, avvincente. La sensazione che ho portato via da Torino però mi
sembra di poterla individuare con più nettezza di quanto non si riuscisse a fare
in passato. A dominare la scena (non ancora il mercato e la comunicazione
consapevole) sono le donne. O meglio è il linguaggio al femminile e questo è
ancor più evidente se si pone attenzione alle proposte di case editrici minori Da autore, ma soprattutto da sociologo della comunicazione, non posso fare a meno di cogliere in questo linguaggio, in questa narrazione coniugata al femminile la cifra del mutamento culturale che, in un momento sociale di violento smarrimento, segnala una speranza seppure flebile di rinascita sociale. Una capacità di reazione allo svuotamento di sentimenti e alla vacuità esistenziale che dilagano in una società violentata dalla logica della mercificazione. Hanno una cosa in comune queste donne: prima di
scrivere hanno letto! E hanno letto tanto, sono tutte dotate di una formazione
di alto livello. Può sembrare casuale ma così non è. La percentuale di donne
scrittrici di cultura alta è molto maggiore rispetto ai loro colleghi maschi. Pur
non essendo un dato statisticamente rilevato, risulta evidente facendo una
piccola, seppur seria, indagine tra gli autori italiani degli ultimi anni.
Questo dato non ha una mera valenza statistica ma è indicatore di una
predisposizione coltivata e sviluppata verso l’ascolto e questo fa la differenza
tra il linguaggio al femminile e quello al maschile, quest’ultimo infatti nelle
varie forme di espressione sia saggistica che letteraria è più caratterizzato da
una vocazione "predicatoria", moralistica o perlomeno predittiva, spesso senza
ombra di dubbi. Il linguaggio al femminile si mostra nella sua autenticità senza il timore di apparire vulnerabile nella evidenza dei sentimenti e delle passioni che vi contiene. E in questo c’è una forza che prescinde dalla stessa volontà dell’autrice, assume forza per il suo non essere ignorabile, per la capacità di mostrare ciò che spesso non si vuole vedere e, con la velatura retorica, normalmente si tende a rimuovere o a nascondere. E’ il caso del femminismo non femminista di Paola Bottero e delle sue autrici che con Contro Versa racconta l’essere femministe in un periodo storico come il nostro in cui la parola stessa è vista con sospetto, diffidenza o nel migliore dei casi indicata come un termine ed una pratica anacronistica, non senza un malcelato cenno di irrisorietà. Contro Versa racconta di storie di Ri-conoscenza di una genealogia di donne, di un rapporto madre-figlia raccontato per recuperare una consapevolezza dell’identità storica e culturale dell’essere donna. Una storia raccontata a più voci ma con un punto di vista comune che proviene dall’essere le autrici tutte nate negli anni ’70, come dire donne che essendo fuori dalla storia sessantottina del femminismo lo riscoprono e lo riscrivono con un linguaggio non più né ideologico né nichilista come fu quello della generazione che le ha precedute. E ancora la disarmante sensualità ed il puro erotismo della poetica narrativa di Margherita Catanzariti che con il suo Segui sempre il gatto bianco realizza un inno all’amore. Un amore che prepotente e vibrante esce dalla pagine nella narrazione certamente di amanti ed amori ma anche dalla capacità che ha l’autrice di rendere la sensualità di luoghi, paesaggi, atmosfere, colori e odori che riusciamo ad immaginare, tanto forte è la passione che promana dal suo romanzo. Per finire con le tre "autrici per caso" che, da una curiosa ma normale frequentazione della rete, si ritrovano a scrivere a sei mani un romanzo dark, un innocente inizio con una vertigine di intrecci che spingono i protagonisti del racconto ad una gara per la sopravvivenza ma anche alla scoperta del gusto della violenza più crudele che si troveranno a praticare per uscirne vivi. Non presente a Torino ma in linea con questa tipologia culturale, sempre per mano di Franco Arcidiaco e per Città del Sole edizione è da segnalare Ancora una scusa per restare di Katia Colica, un reportage in storie di marginalità che solo la forza narrativa e la capacità di ascolto e di immedesimazione dell’autrice riesce a far diventare racconto, letteratura di grande livello, quella specie di libri che leggi dalla prima pagina senza riuscire a chiudere senza essere arrivato alla fine, non per sapere come va a finire ma perché sei trascinato nella dimensione esistenziale dei personaggi raccontati tanto da sentirli vivi e vicini, autentici e drammaticamente esposti alla nostra condivisione e responsabilità. Se questi sono gli orizzonti letterari e culturali futuri c’è da essere fiduciosi nella capacità della nostra società di ritrovare la strada verso l’umanesimo e, senza complessi di castrazione, anche gli uomini dovrebbero essere felici di questa prospettiva
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