![]() |
|
|
Home | News | Pubblicazioni | Club Ausonia | Editoriali di Pino Rotta | Multimedia | Guestbook | Archivio | Contatti |
ARTE
Percorsi galileiani. Vincent Van Gogh
Di ANTONINO PELLICANO'
L’occasione di vedere l' opera di Van Gogh, quasi completamente esposta nel “Museo Van Gogh” di Amsterdam, mi è stata offerta, nel 2011, dall’invito a partecipare alla cerimonia di consegna del Premio Internazionale Europa Nostra, alla presenza della Regina Beatrice d’Olanda, di Placido Domingo e del Commissario Europeo alla cultura, Androulla Vassiliou. A visitare il “Museo Van Gogh” ad Amsterdam si rimane colpiti, come in molti altri Musei nordici, dal senso ordinato con cui si presenta un edificio che contiene quasi tutte le opere di uno dei più grandi artisti della modernità. Ma qui vi è un senso di rispetto per l’opera del Maestro che rasenta quasi la perfezione nel presentarlo al pubblico. Anche perché gli spazi che li contengono sono stati pensati per dare il massimo di importanza al percorso espositivo. Più che completamente esposte (altre opere sono contenute in altri Musei), le opere seguono un percorso cronologico che riflette l’evoluzione temporale del lavoro di Van Gogh e anche le diverse forme stilistiche che egli elaborava con il passare del tempo. Elaborazioni che non rispettano solo la capacità tecnica dell’artista ma anche il suo porsi nei confronti dei soggetti che popolano il mondo che egli raffigura. Non è la descrizione di uno o più quadri quella che qui interessa. Invece, devo sottolineare come il percorso umano racchiuso nelle opere del pittore olandese sia tutt’uno con la fatica che egli mette nel realizzare la figurazione della società come egli la vede e come i diversi suoi stili, con cui si misura nei confronti di altri artisti dell’epoca, dimostrano il superamento degli altri schemi fino a quel momento vigenti. Il continuo ricercare nuovi stili prosegue fino a giungere al fulgore delle sue migliori opere, quelle stilisticamente solo sue, negli ultimi anni della sua vita. E’ noto che egli lamentò sempre di essere sottostimato criticamente sia rispetto ai suoi lavoro sia in confronto con altri artisti che egli era consapevole di aver superato. La mancanza di adeguata stima e comprensione è anche essa parte di un momento che egli vive non solo artisticamente ma anche umanamente. E non solo. E’ anche la sua fede religiosa, che egli cerca di conciliare tra quella protestante e quella cattolica, a essere un conflitto interiore sublimato dal suo lavoro. Van Gogh è forse l’ultimo dei pittori che soffre a realizzare le sue opere ma soffre in modo molto consapevole e moderno. Non come Picasso che di li a poco triturerà tutti gli stili col suo cubismo ma soprattutto con una sicurezza che altri non hanno fino a quel momento raggiunto.
La critica contemporanea tende a superare il dilemma tra la
produzione artistica di Van Gogh e lo stato di disagio che
egli porta con se e che forse è riconducibile all’epilessia
ma più probabilmente alla sofferenza dovuta alla solitudine
artistica ed umana. Ma è all’arte che egli affidò la
soluzione dei suoi problemi. E il suo disagio deve essere
visto anche come consapevolezza delle difficoltà della vita
e soprattutto del valore del lavoro artistico.
E la visione completa dell’esposizione che costringe a comprendere di essere di fronte a un “percorso formativo” utile a chi usufruisce della cultura. Qui abbiamo il punto cruciale di chi possa servirsi pienamente di questo percorso formativo, che è possibile solo a chi ha una determinata sensibilità o a una certa cultura e conoscenza dell’arte. Questioni che rimandano al rispetto che la cultura occidentale da alla sensibilità e alla cultura formativa. E che Van Gogh aveva presente, come egli ben esprime, nei termini del suo tempo: “Perciò la pittura dovrebbe farsi a spese della società e non esserne sovraccaricato l’artista, ma invece, ecco, bisogna per di più tacere, perché nessuno ti obbliga a lavorare, dato che l’indifferenza per la pittura è fatalmente molto generale, e di lunga data” (Van Gogh al fratello Theo, agosto 1888). Sono anni, questi, in cui si forma il positivismo e un nuovo concetto della scienza. E si stampa il primo volume delle Opere Complete di Galileo Galilei (1890), cui ne seguiranno altri 19. (foto 1) Millet, Le spigolatrici, 1857)
La pittura è oggi frammentata, spezzettata, divisa …
Questioni che, in tempi come quelli odierni, rimandano, in
sottofondo, anche al conflitto mai sopito delle
contraddizioni tra questioni assolutistiche e questioni
sollevate dall’illuminismo e nel suo confronto con “la
cultura dell'assoluto, il potere assoluto, la verità
assoluta, cui l'Illuminismo oppone il soggetto individuale,
la verità soggettiva e quindi relativa”. Questo
confronto o meglio, il vederlo come confronto iniziato con
l’illuminismo è una delle ragioni della formazione
dell’attuale “legno storto” e incorreggibile di cui
parla Scalfari in un suo recente articolo e relativo alla “natura
stessa della nostra specie”.
In realtà il conflitto tra arte e scienza nasce prima ed in mezzo c’è la società … ed era presente proprio in Galileo in cui il ruolo dell’arte e dell’artista è essenziale per la costruzione di un nuovo modello di cultura (e di società) che egli cercava di formare con le sue opere e le sue scoperte. E come ha ben notato E. Panofsky, secondo cui la visione scientifica di Galilei influenza il suo senso estetico e il suo senso estetico influenza la componente scientifica. Una completa evoluzione dell’uomo rinascimentale però sottoposto alle regole della Nuova Scienza galileiana, seppure ancora con solidi retaggi nel rispetto della Storia. Come ha notato anche Einstein.
Van Gogh si colloca come esuberante nel contrasto tra assolutismo e verità relativa. Egli incarna questo “senso delle cose”, assorbendo, ma al tempo stesso superando, le correnti artistiche e filosofiche del suo tempo. Essendo cioè consapevole dell’importanza della sua pittura nel rapporto con la storia e i modi di vita che egli raffigura.
E’ appunto la visione del percorso tracciato dalla vista
in sequenza delle sue opere a fermare, da sola, questo
senso. Che non è altrimenti percepibile né descrivibile se
non in frammenti slegati (e quindi insufficienti), come
d’altronde usa fare regolarmente la critica moderna
dell’arte. E’ per questo che non si può descrivere (e non è
stata finora descritta) la potenza vera del lavoro e del
pensiero (aspetto non secondario) del pittore olandese:
quella di incarnare un rapporto con la vita e l’arte che
superi le strettoie culturali in cui è recintato dalla
cultura occidentale il lavoro dell’artista in quanto figura
produttiva. E’ questo il vero senso del lavoro di Van Gogh.
Superare il confine tra arte pensata e realtà vissuta, anche
nei suoi rapporti con la religione. Qui ritorna il suo
conflitto tra protestantesimo e cattolicesimo che lo fece
soffrire non poco, per la forza della presenza di questi
sentimenti in lui.
(Foto
2)
Van Gogh, Contadine che vangano, 1883. )
Se è evidente l’influenza che ricevette da Millet, che spesso rappresenta il mondo contadino in forme che emanano anche una parvenza di sacro, come il Barocco di Bernini che cristallizza il divenire sotto l’aspetto formale (e fino ai giorni nostri), nel pittore olandese il racconto della vita contadina di Millet si estrinseca formalmente solo con la copia delle immagini, invece variate incessantemente da Van Gogh nei loro contorni pittorici, mentre è molto più forte il senso complessivo che il pittore olandese dà ai suoi quadri, peraltro ben esplicato nei suoi scritti. Egli lavora, nel ritratto del vecchio contadino”… immaginando l’uomo terribile che dovevo fare in mezzo al forno della mietitura, in pieno mezzogiorno. Da ciò gli arancioni sfolgoranti come ferro arroventato, da ciò i toni di oro vecchio luminoso nelle ombre.”
Si passa, come si vede dal quadro del 1857 di Millet a quello di Van Gogh del 1883: ma l’olandese va oltre e già 5 anni dopo i colori sono solari, perché “… mi servo del colore in modo più arbitrario per esprimermi con più intensità”(1888). (Foto 3) V. Van Gogh, Ritratto del pastore Patience Escalier, 1888)
Qui giungiamo a considerare il concetto di “arte che
anticipa i tempi”, come in filosofia o in altri campi
del sapere. Ma mentre questi campi del sapere sono a
sufficienza lontani dalla vita quotidiana, l’opera degli
artisti è ancora essenziale alla vita quotidiana per molti
versi. Ed è quindi questo l’interesse del pittore: a scavare
fino ad essere in grado di vivere simultaneamente con le
gioie del mondo e la sua rappresentazione, declinandole in
modo da incidere anche sulla vita quotidiana.
Questo
è, oltretutto, anche uno degli elementi per cui il suo
lavoro, nell’insieme, non è mai stato apprezzato dai suoi
contemporanei. Contribuendo non poco al peggioramento del
suo sistema nervoso. Eppure il confronto stilistico,
peraltro sempre vincente, con gli artisti suoi
contemporanei, il suo ricercare nuovi modi espressivi
evolvendo continuamente, ha raggiunto i toni esemplari che
gli conosciamo. E non è un caso se è il periodo finale della
sua vita a darci quella che oggi riconosciamo essere la
parte migliore del suo lavoro. Ma, ripeto, è l’insieme del
suo lavoro che dovrebbe essere sviluppato criticamente.
(Foto 4) Van Gogh, Campo di grano, 1888)
Potremmo dire che Van Gogh anticipa, con la sua sensibilità, col suo essere uomo e artista, legame intenso e vissuto drammaticamente, la disperazione di Nietzsche e nessuno, tra gli artisti, recupererà tale legame come stile. Come contenuto, lo ritroviamo già 15 anni dopo in Munch col suo “L’urlo” del 1904 da cui si evidenzia il dramma esistenziale dell’uomo, fatto risaltare dai colori densi e la gamma di colori cupi, come quelli del primo Van Gogh. Il dramma, ora, è con se stessi invece che nel rapporto con la realtà in cui si vive. Si è già in ripiegamento rispetto alla speranza dell’artista olandese che nel 1989 scrive al fratello: “… fatico come un vero ossesso, provo più che mai un furore sordo di lavoro, e credo che questo contribuirà a guarirmi”.
Ecco la novità del lavoro di Van Gogh che più delle altre merita di essere ricordata e che si lega alla visione d’insieme del percorso che ho cercato di descrivere. La guarigione significa che si lavora per il futuro: la rappresentazione del presente ha la funzione catartica di dare soluzione all’angoscia dell’uomo. Ma ancora e per lungo tempo, varrà quel che diceva Montaigne ai primi del 1600: “… non descrivo l’essere descrivo il passaggio …” come tutti i pittori hanno fatto fino a quel momento, retaggio di una tradizione rappresentativa millenaria. (Foto 5) E. Munch, L’urlo, 1904.)
Van Gogh racconta il passaggio attraverso vari stili che egli, girovagando da L’Aja a Londra, a Parigi, ad Amsterdam, a Nuenen, di nuovo a Parigi, ad Arles, a Saint-Remy, da Anvers-sur-Oise, via via interpreta e supera col suo continuo riferimento alla realtà: “Il contadino di questi luoghi è altra cosa dall’abitante dei grandi campi di grano di Millet. Millet ci ha riaperto le idee per vedere l’abitante nella natura; ma non ci hanno ancora dipinto l’essere meridionale di oggi” (Van Gogh, 1890). Passa cioè consapevolmente da una visione statica a una dinamica, segnando il tempo come produttore e motore di cambiamento. E di sofferenza. Si ridà importanza al genius loci e Vincent comincia a colmare il fossato che c’è tra descrivere il passaggio e l’essere. Comincia a colmare la differenza tra arte e vita quotidiana, obiettivo non nascosto del lavoro di Galileo: per lui l’artista doveva essere in grado di disegnare tenendo conto delle scoperte che la Nuova Scienza rendeva possibili. Anche l’olandese vive in un periodo di trasformazione: lo sviluppo della fotografia e della scienza lascia il segno anche sul lavoro artistico.
Si può dire, come dice Argan (1970), che Vincent “… vuole una pittura vera fino all’assurdo, viva fino al parossismo, al delirio, alla morte” solo se si nega che la consapevolezza del tempo è presente in Van Gogh, se si nega l’influenza della storia nella mente dell’artista se si da cioè un artista presente solo a se stesso, alla tecnica, alla sua salute e al mondo da ciò discendente, e in quel momento. Un descrittore del passaggio da uno stato all’altro. Ma forse questo non spiega pienamente l’insoddisfazione e la ricerca continua dell’artista. E non spiega l’essere che fa questo lavoro. E questo è valido anche per tutti gli artisti. C’è un residuo storico in Van Gogh, che cancella l’antistoricismo e che è uno dei principali motori del suo lavoro artistico. Perciò, per me, Vincent è l’ultimo pittore strettamente rinascimentale nel senso che si appoggia sulla storia della pittura. E la rende moderna. Su questo significato c’è ancora molto da indagare.
|
|