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 MED - ART

Vernissage di Kreszenzia Gehrer

UNHEIMLICH - L'attesa

di Daniela Scuncia

 

 

 

Quando Kreszenzia Gehrer mi ha detto di questa esposizione, la prima cosa che le ho chiesto è se aveva pensato a un titolo, e lei mi ha risposto "Unheimlich"...Cosa?! Dico io...

Già, perché Kreszenzia Gehrer è nata a Reggio, ma la Germania di suo padre ce l’ha nel cuore e non solo nel senso di amore per una terra della quale in ogni caso si sente parte, ma nel senso più profondo: è proprio in quella terra che affondano le sue radici. Ricordavo ancora che Kreszenzia Gehrer si era laureata a Messina in Filosofia e Bioetica e volevo scoprire com’è che si fosse ritrovata a mettere le sue mani e la sua anima sulle tele. Come tutti i bambini disegnava con molto piacere ma era la più brava a dipingere i cavalli, attirandosi le invidie di tutte le compagne... Tempera e pennelli l’hanno accompagnata nella crescita, con una originale produzione di ritratti in bianco e nero, tra le altre cose. Lo studio della filosofia sembrava assorbirla completamente per un po’, fino all’incontro con le opere di Benedetto Croce che sosteneva che "non vi può essere filosofia senza arte, mentre l’arte può stare da sé". Nella Gehrer l’arte c’era, la filosofia anche... Non restava che rimettersi al lavoro, e nella ricerca continua ecco nascono tra gli altri anche i lavori qui proposti.

Le mani sulle tele non le pone in modo metaforico ma letteralmente le sue opere nascono plasmate da un impasto particolare di cemento e colla che ha collaudato nel tempo, affinandosi in questo particolarissimo trattamento. Colori a olio, oli, matite, terre, chine: questi sono gli elementi che si incontrano sui suoi quadri e si mescolano, stendono, impastano dando forma alla sua idea.

Nel suo laboratorio, le tele della Gehrer diventano parte del panorama ambientale. Riesci a vedere bene il suo lavoro solo quando le porta fuori dallo studio e le contestualizza nel mondo. E allora ecco gli impasti nati dalle sue mani diventano panorami di scoperta e di trasformazione;

Gianluca Romeo dice della Gehrer "Ecco che l’opera d’arte si mimetizza con il mondo, con la terra, non nel senso della mimesis tradizionale, ma nella con-fusione con il reale, con ciò che ci circonda. Un essere-con che però resiste alla fusione e che, quindi, si riserva uno spazio di apertura di senso proprio laddove sembra che senso, materia, fondamento, figura, valore, non ce ne siano più." Per Katia Colica "Lo spazio di Kreszenzia, parimenti, non è solo un ambito abitato, ma un oggetto significante, e la sua complessità non è data solo dalla pluralità dei suoi singoli elementi. È la materia stessa che diventa focolaio di interazione della simbolicità culturale nel suo complesso."

La Gehrer nei suoi quadri crea una frattura tra la superficie delle cose e la visione al loro interno lasciando intravedere le sue figure a volte affascinati, altre deformi che richiamano dei primigeni. Ecco dunque le rappresentazioni di corpi femminili esaltati nella loro funzione materna con fianchi enormi e pance prominenti quasi in una eterna attesa. E il lavoro della Gehrer è impregnato di questo senso di attesa. Nel guscio della realtà, lei produce movimenti tellurici, fratture che evidenziano un tempo sospeso, rappresentato allo spettatore nei corpi massicci di donne, nei volti intensi e fragili, nei colori caldi che non si discostano da quelli usati dalla crosta esterna: i rossi, i gialli, i marroni che diventano pietre, ma anche bagliori, riflessi di qualcosa là in fondo di misterioso e sacro. Così, questa attesa non è più intesa come tempo perduto, inutile, vuoto ma al contrario tempo fecondo, in cui l’uomo ritrova sé stesso, dove riscopre la dimensione dell’altro, dell’incontro e della condivisione; dove la parte sacra del sé viene cercata e ritrovata; il tempo in cui l’uomo, prende la distanza da sé stesso e riesce a vedersi per quello che è, nell’unico tempo in cui è veramente: il tempo presente. Il vuoto, in questo senso, diventa uno stimolo, la speranza di una ricerca per i coraggiosi, quelli che si avventurano nel mare e rischiano di perdersi pur di vedere cosa c’è dall’altra parte.

E oggi, questo viaggio della Gehrer è qui ben visibile e rappresentato dall’insieme delle sue tele, un viaggio che ci porta a indagare su ciò che vale veramente, quel qualcosa che persa dentro noi stessi possiamo ritrovare in un segno grafico, un colore, una suggestione. Un viaggio realizzato in migliaia di chilometri dalla Germania a Reggio Calabria, ma anche il viaggio del vivere con una forza piana e potente verso la comprensione e la denuncia, l’analisi e la ribellione, attraverso una sofferenza silenziosa, intima, profonda. Per cui di fronte alle eccessive sollecitazioni, ai volumi troppo alti, ai colori troppo brillanti, ai messaggi troppo semplici, la Gehrer esprime attraverso le tele il momento mancante senza troppi artifici o metafore iperboliche dell’essere. Semplicemente è. Prive di quel romanticismo specie nella rappresentazione della donna, sono invece espressioni profonde di una sensibilità matura, frutto di importanti che trasposte e trasfigurate, sul quadro rendono con efficacia la riflessione e la contestazione.

Nei lavori della Gehrer si dispiegano tutte le gamme di grigio: dal bistro in quelle forme più calde formate con il magenta e quelle raffreddate con il ciano, a quelle in cui il grigio contiene il bianco e il nero ed è identificato come colore dell’equilibrio. Grigio come espressione del rumore di fondo delle nostre esistenze, ma anche come rappresentazione di una civiltà industriale che nel cemento conosce la propria origine, in contrasto al verde, di quell’ambiente che questa società sta distruggendo.

Mi accorgo ora di non aver approfondito affatto, il termine tedesco che da il titolo a questa mostra: Unheimlich. Userò a questo scopo, le stesse parole dell’artista:

"Unheimlich è ciò che il familiare porta con sé, il senso dell'inquietudine, dell'estraneità, del sinistro e del pauroso; è il sotterraneo per eccellenza... unheimlich è ciò che striscia segreto su un fondale quotidianamente abitato. Anche per questi lavori, come per la precedente ricerca stilistica, materia formante è il cemento, metafora nichilistica della perdita della identità, e la figura distorta, annichilita, sciolta e criogenizzata. Il sordo allontanarsi dell'individuo dal fondo originario."

Reggio Calabria 5/12/2013

 

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