di Carlo Calabrò
Prima di addentrarci nella esposizione delle teorie della Comunicazione è opportuno rivolgere uno sguardo preliminare alle modalità di apprendimento cui ogni essere umano è normalmente soggetto.
E’ stato infatti accertato che l’individuo percepisce la realtà esterna attraverso i 5 sensi con le seguenti percentuali:
1% attraverso il gusto, 1.5 % attraverso il tatto, 3.5% attraverso l’olfatto, 11% attraverso l’udito, 83% attraverso la vista.
Un ulteriore approfondimento ha consentito di verificare che i dati ritenuti seguono il seguente andamento percentuale :
- chi legge riesce a memorizzare il 10% delle informazioni,
- chi ascolta, il 20%,
- chi vede, il 30%,
- chi vede e contemporaneamente ascolta, il 50%,
- chi ascolta, ripete e discute, il 70%,
- chi ascolta, ripete, discute e fa, il 90%.
Il problema della Comunicazione, inteso come esigenza di sistemazione scientifica ed organica, fa la sua comparsa in America a cavallo degli anni quaranta e cinquanta. Le prime teorie sulla Comunicazione si devono a Shennon e Weaver da una parte e a Lasswell dall’altra.
Il modulo proposto da Shennon e Weaver, ad una prima analisi, potrebbe apparire addirittura banale e scontato nel suo contenuto. Esso, infatti fa perno sul concetto che la comunicazione è raffigurabile come un semplice trasferimento di informazioni da un soggetto emittente ad un soggetto ricevente, tramite dei messaggi.
FIG. 1 - IL PROCESSO DI COMUNICAZIONE : MODELLO DI SHENNON E WEAVER
La struttura di questo modello presuppone che:
- l’emittente codifichi e lanci un messaggio,
- attraverso un canale di comunicazione,
- che il ricevente decodifichi il messaggio,
- che i sistemi di codifica e decodifica del messaggio usati dall’emittente e dal ricevente siano identici o compatibili,
- che i canali di comunicazione sono soggetti ad interferenze che possono condizionare l’efficacia del messaggio.
Come sempre avviene in ogni campo della ricerca scientifica, la portata rivoluzionaria del modello di Shennon e Weaver suggerì ad altri studiosi alcuni correttivi di ordine contenutistico e metodologico che ne conformassero ulteriormente la portata innovativa.
Così Lasswell, quasi contemporaneamente a Shennon, elabora un modello più sofisticato e, pur lasciando inalterato lo schema, lo arricchisce di ulteriori elementi di valutazione che ne irrobustiscono la trama speculativa.
(fig.2)
FIG.2 – MODELLO DI LASSWELL
Vengono in evidenza in questo modello alcuni quesiti circa i soggetti del processo comunicativo i contenuti e le modalità di trasferimento delle informazioni.
Lasswell si chiede:
- chi sia e quale estrazione culturale abbia l’emittente;
- quale sia il contenuto del messaggio;
- quali canali vengono utilizzati per veicolare l’informazione, quali sono le loro caratteristiche,
- chi sia e quale estrazione culturale abbia il ricevente, quali sono le sue aspettative, che immagine si è formato dell’emittente;
- quali siano i risultati ottenuti dal messaggio;
- se nel processo comunicativo intervengono direttamente od indirettamente altri soggetti, che tipo di impatto produce sul messaggio la loro presenza od il loro atteggiamento-comportamento ( ne agevola la comprensione, la distorce, la evidenzia ? ).
Dieci anni più tardi, nel 1958, Braddok completa il modello di Lasswell introducendo nella valutazione dei contenuti della comunicazione le circostanze (ambientali, temporali ecc…) in cui avviene il processo comunicativo, nonché gli scopi che si prefigge di raggiungere.
Il 1967 rappresenta lo snodo temporale cruciale per la sistemazione scientifica delle teorie sulla comunicazione.
L’impulso determinante parte da uno psicologo americano P. Watzlawick e collaboratori lanciano un concetto che è destinato a rivoluzionare i timidi accenni di teorizzazione fino a quel momento circolanti. Studiando il comportamento umano ed animale l’equipe di Watzlawick giunge alla conclusione, apparentemente trascurabile in quanto ovvia, che una delle caratteristiche del comportamento è quella di non avere il suo referente opposto. In buona sostanza non è possibile non avere un comportamento. Tutte le attività e gli atteggiamenti degli esseri viventi, nelle loro variegate manifestazioni, esprimono dei dati comportamentali irrefragabili. Anche il silenzio o l’indifferenza lanciano messaggi mirati o meno ad un target che non può non rispondere alle sollecitazioni che provengono dall’emittente, instaurando, a volte inconsapevolmente, un dialogo continuo e prolifico. A mo’ di esempio: il passeggero che condivide con noi lo scompartimento di un treno e che sta dormendo in un osservatore poco attento non suscita alcuna impressione, ma egli sta comunicandoci informazioni come:
Ma il comportamento del nostro compagno di viaggio rappresenta solo una parte del processo comunicativo in atto. Noi, pur non pronunciando alcuna frase siamo lo stesso, e come, parte attiva del processo, infatti:
L’esempio precedente conferma l’intuizione di Watzlawick che: sia la più appassionata delle discussioni, come il più banale degli atteggiamenti del regno animato concretizzano aspetti della comunicazione. La comunicazione è un dato universale imprescindibile. In definitiva: non si può non comunicare.
Comunicare significa etimologicamente mettere qualcosa in comune, trasferire il proprio patrimonio di conoscenze, di aspettative, di sentimenti, di progetti ecc… da un ambito ristretto e personale ad una regione di fruizione più ampia di condivisione con altre persone o gruppi.
Le teorizzazioni di Watzlawick e collaboratori aprono uno scenario sconfinato di applicazioni ingigantendo la portata speculativa delle intuizioni della scuola di psicologia di Palo Alto.
La definizione più generale ed astratta individua come comunicazione qualsivoglia situazione, evento, oggetto o comportamento che riesce ad influenzare le modalità di manifestazione del comportamento di un altro organismo. Un animale che pascola nella prateria sta eseguendo un programma finalizzato: spegnere la fame. Il rumore del ruscello gli fa interrompere l’esecuzione del programma in corso per soddisfare il bisogno di spegnere la sete.
Il corollario più significativo del processo comunicativo è la constatazione che la comunicazione è sempre a due vie il trasmittente lancia le informazioni e da avvio alla interazione comunicativa, chi riceve il messaggio, a sua volta, rimanda segnali comunicativi che raggiungono il trasmittente rassicurandolo circa l’efficacia del suo messaggio o consigliandogli gli opportuni accorgimenti o modifiche di comportamento che si rendono eventualmente necessari per il raggiungimento del pieno obiettivo del suo discorso. Così il relatore in una conferenza trasmette delle informazioni che raggiungono i singoli componenti dell’uditorio in maniera estremamente variegata. Vi è chi si dimostra particolarmente interessato all’argomento in trattazione ed assume di conseguenza un atteggiamento posturale che ne denota la concentrazione. Vi è viceversa chi, per vari motivi (osticità dell’argomento, prolissità del relatore ecc…) manifesta dissenso o disinteressamento con comportamenti ( leggere il giornale, tossire, conversare con il vicino, sbadigliare ecc..) che si traducono in altrettanti segnali di feed-back (informazione di ritorno) che fungono da preziosi punti di riferimento per il relatore accorto e sensibile alle esigenze ed aspettative del suo pubblico, suggerendogli di rimodulare il taglio del suo intervento.
Naturalmente nella interazione comunicativa è opportuno rapportarsi all’interlocutore con atteggiamenti di disponibilità all’ascolto ed alla comprensione delle ragioni altrui, evitando per quanto possibile atteggiamenti di pedante saccenteria o superiorità che in molti casi non fanno altro che trascinare il rapporto su una china di dissenso che non consente di raggiungere gli obiettivi programmati. Esempi più che eloquenti possono essere tratti dai rapporti tra superiori e subalterni nel mondo del lavoro privato o della pubblica amministrazione. Troppo spesso ci si trova di fronte a manager o dirigenti che, approfittando del ruolo che occupano e con atteggiamenti di mediocre supponenza, dileggiano o rimproverano i dipendenti in pubblico, dimostrando, oltre che scarsa sensibilità nei rapporti umani e di lavoro, poca lungimiranza e perspicacia nel programmare il successo delle loro attività. Obiettivi che si possono raggiungere in qualsiasi organizzazione solo assicurandosi la massima collaborazione del personale. In questo senso è buona norma soprattutto che chi deve organizzare il lavoro degli altri usi accorgimenti di ordine psicologico che si dimostrano estremamente proficui dal punto di vista della motivazione. Il dirigente deve, quindi, lodare in pubblico il dipendente per infondere in lui l’orgoglio di essersi meritato l’elogio e negli altri componenti del gruppo di lavoro il desiderio di emulazione. Del risultato finale beneficeranno tutti: i singoli, il gruppo e l’organizzazione. Di contro il rimprovero per la mancanza di risultati o peggio per danni arrecati all’organizzazione va somministrato in forma strettamente privata e riservata, possibilmente a quattr’occhi, per non creare sentimenti di frustrazione nel collaboratore. Soprattutto nel caso in cui non ci si vuole privare del suo apporto occorre smorzare i toni del colloquio, non imputargli in maniera brutale e priva di scrupoli la responsabilità dei risultati disastrosi. Fargli percepire che, probabilmente non tutta la colpa è da addebitare al suo comportamento; che all’origine dell’insuccesso vi sono certamente delle incomprensioni che nel futuro sarà opportuno evitare per ottenere risultati conformi ai programmi ed alle aspettative di chi investe ingenti capitali.
In buona sostanza è necessario convincersi che nei rapporti con il target è indispensabile imparare ad ascoltare con umiltà e convinzione dice N. Damascelli (in Comunicazione e Management – Franco Angeli- Milano)." Ascoltando quanto ci dice il nostro interlocutore, potremo non soltanto apprendere elementi, fatti e circostanze di cui non avevamo tenuto conto ( e quindi correggere e migliorare il nostro pensiero) ma soprattutto otterremo informazioni sugli scopi del nostro interlocutore, sui suoi problemi, sulle sue ansie e timori, e quindi entreremo in possesso di dati preziosi per rendere più efficace e mirata la nostra comunicazione".
La comunicazione può avvenire utilizzando diversi supporti di trasmissione:
- con la parola (orale o scritta) ed avremo una comunicazione verbale;
- con il comportamento dell’emittente ( postura del corpo, gesti, mimica ecc…);
- con oggetti che si possono facilmente associare alla persona o all’oggetto della comunicazione,
In questi ultimi due casi avremo una comunicazione non verbale.
Tra i due sistemi di comunicazione quella non verbale è di gran lunga la più importante in termini di efficacia.
Per rendersene conto basta osservare quello che avviene per esempio in una conversazione tra due persone che stanno litigando: se uno dei due soggetti dice: "io sono calmissimo, ma lei è un imbecille!" e nel profferire la frase si agita, assume un atteggiamento minaccioso e diventa paonazzo in viso; risulta evidente che la sua gestualità (messaggio non verbale) contrasta nettamente con la sua voce (messaggio verbale), e che il contenuto del messaggio non verbale è prevalente rispetto al messaggio verbale e rispecchia le vere intenzioni del soggetto.
Allo stesso modo se un ospite nell’accogliervi in casa sua vi intrattiene elogiando le qualità di perfetta casalinga della moglie, ma l’ambiente che state osservando è l’immagine esatta del disordine e della provvisorietà, non crederete certo alle parole, ma nel valutare le qualità della padrona di casa vi affiderete di più alle sensazioni che vi trasmette la vostra vista. In tutte le situazioni, quindi, il decoro dell’ambiente o delle persone è un referente prezioso che trasferisce all’esterno un’immagine più o meno positiva dell’impresa, dell’ufficio.
La valenza cognitiva ed emotiva di alcuni messaggi verbali e non verbali si articola su una scala di valori che concretizzano:
- un massimo di valore cognitivo ed un minimo di valore emotivo nel caso in cui il messaggio abbia per oggetto la trattazione di argomenti razionali come: trattati scientifici, testi legislativi, in cui tutte le parole hanno un preciso significato, scandito inequivocabilmente e che non può dare adito a dubbi di sorta,
- un rapporto equilibrato tra contenuto cognitivo e contenuto emotivo nel caso in cui si tratti di trasferire informazioni che riguardano attività formative, culturali, arti grafiche: è evidente che in tali circostanze vengono in evidenza sia aspetti di ordine affettivo-sentimentale che aspetti tecnico-scientifici,
- un massimo di valore emotivo ed un minimo di valore cognitivo nel caso per esempio in cui l’ argomento in discussione sia centrato su argomenti di letteratura, poesia ecc…nei quali emerge con prepotenza il coinvolgimento irrazionale-emotivo ed il significato dei vocaboli può non avere un’attinenza logico-formale identificabile con certezza.
Altro aspetto rilevante del processo comunicativo riguarda l’interazione diadica che intercorre tra due persone e che può assumere i tratti caratteristici del colloquio o dell’intervista.
Vi è da considerare che in ogni trasmissione di messaggio, con qualunque mezzo effettuata, si possono insinuare elementi di disturbo (cosiddetti rumori) che ne possono condizionare o alterare la corretta ricezione. I motivi e le fattispecie di tali interferenze hanno natura e contenuti tra i più disparati. Alcuni attengono al linguaggio adoperato dall’emittente che può risultare nebuloso, infarcito di termini tecnici che il destinatario del messaggio non riesce a decodificare, volutamente omissivo di argomenti altrimenti importanti nell’economia generale del ragionamento. Altri investono direttamente connotati della personalità e dell’estrazione socio-culturale di chi trasmette il messaggio: educazione, titolo di studio, capacità di astrazione e ragionamento, convinzioni politiche, religiose, immagini e sensazioni di esperienze pregresse che possono evocare situazioni o eventi. Altri ancora, di non trascurabile rilevanza, riguardano i mezzi attraverso i quali viene veicolato il messaggio : scariche elettriche, eventi atmosferici, disturbi nelle trasmissioni televisive, macchie di inchiostro che oscurano parte del contenuto ecc.
La comunicazione si può articolare in: formale o informale.
La comunicazione formale esige che chi lancia il messaggio sia un organo, individuale o collettivo, investito di una autorità ufficiale nel proporre l’argomento e che possa rispondere personalmente del contenuto del messaggio.
La comunicazione informale, invece, si sviluppa con modalità incontrollabili sia alla fonte che nei successivi sviluppi a cascata che normalmente alterano in maniera irreversibile il messaggio originario. Una suggestiva applicazione di comunicazione informale si ha nelle cosiddette "voci di corridoio" che veicolano notizie spesso confezionate in ambienti esterni al gruppo cui sono dirette ed hanno come caratteristica essenziale il fatto che l’ informazione viene lanciata da un ispiratore e rielaborata a più riprese da "gate keepers" (portinai) che provvedono a diffonderla, alterata (ingigantita o ridimensionata), all’interno di gruppi di cui sono leader di opinione. La notizia in questi casi segue un percorso a cascata di tale portata involutiva che al termine del suo percorso può trasmettere informazini di contenuto diametralmente opposto all’originale.
LA COMUNICAZIONE DI MASSA.
I sistemi di comunicazione di massa costituiscono un fenomeno relativamente recente, almeno nelle varianti che veicolano messaggi via etere. Tali sistemi di comunicazione hanno prodotto un radicale cambiamento culturale e di costume. Fino all’avvento della radio e della televisione chi voleva accedere alla informazione politica, di cronaca, di costume ecc.., doveva andare a cercarsela acquistando un giornale ( il marcato analfabetismo escludeva dalla fruizione larga parte della cittadinanza). Con l’avvento della radio e della televisione si assiste ad una rivoluzione epocale: è la notizia che, attraverso questi canali, raggiunge progressivamente tutti i cittadini senza preclusioni o discriminazioni di sorta, divenendo comunicazione di massa.
Fig. 3 - I PROCESSI DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA
Dal modello di figura 3 è facile rilevare che l’informazione che parte dal centro di irradiazione raggiunge direttamente un target indifferenziato di destinatari privo di connotazioni qualitative. In questo modello non esistono mediatori del messaggio per cui risulta estremamente arduo controllare tutti gli effetti che esso può produrre nei sottogruppi che lo recepiscono.
FIG.4 – MODELLO DI LAZARSFELD, BERELSON, GAUDET.
Il modello di figura 4 visualizza la dinamica del processo comunicativo sottoposto alla mediazione di soggetti o organizzazioni che filtrano il messaggio e lo diffondono in sottogruppi omogenei orientandone le reazioni ed i comportamenti. In questo caso l’informazione, irradiata dal centro, raggiunge gli opinion leaders che la plasmano, rendendola assimilabile, e la trasmettono a loro volta ai gruppi che sono in grado di influenzare o che rappresentano su mandato.
Naturalmente quando il messaggio viene veicolato attraverso i mass media la complessità del processo comunicativo è accentuata dalla presenza contemporanea di una miriade di variabili che si intersecano, arricchendone la struttura. Le più ricorrenti, studiate e codificate da Maletzeke, riguardano:
- Il comunicatore che:
Il messaggio che il comunicatore lancia rappresenta una sintesi ponderata di tutti questi elementi.
- Il medium che:
- Il ricevente che:
E’ utile a questo punto fare una riflessione sul perché si instaura un processo comunicativo.
Il problema si presta a diverse impostazioni. Le più ricorrente è costituita dalla necessità per l’autore del messaggio di attivare nel ricevente una reazione che abbia come risultato la modifica del suo comportamento, allineandolo alle aspettative ed agli obiettivi che hanno motivato l’emissione del messaggio.
Ciascun individuo, in ogni momento della sua esistenza, progetta ed esegue programmi che obbediscono al bisogno di soddisfare specifiche esigenze. Le credenze, di ogni ordine e grado ed i valori ad esse connessi, integrano le discriminanti di fondo che motivano il comportamento.
Ogni nuovo messaggio raggiunge il ricevente mentre sta eseguendo un programma. Egli vi reagisce mettendo in atto un comportamento che può collimare con il programma in corso di esecuzione, rafforzandone la conclusione. Può accadere, però, che il messaggio contenga elementi discordanti o comunque confliggenti con lo scopo e le finalità del programma in esecuzione. In questo caso il ricevente è costretto a ponderare la valenza dell’informazione e valutare la opportunità o meno di modificare il suo comportamento, correndo gli eventuali rischi che la scelta comporta. Per fare un esempio banale si pensi ad una persona che sta passeggiando tranquillamente su una strada isolata e scorge da lontano due persone dall’aspetto poco rassicurante che gli si fanno incontro con fare minaccioso. A questo punto la situazione nuova che si è venuta a creare lo pone di fronte ad una alternativa: o decide di portare a termine il suo programma (la passeggiata), accettando i rischi che l’incontro con i due individui possono comportare per la sua incolumità personale, oppure ,valutando che la sua sicurezza sia più importante della passeggiata, cambia percorso.
E’ evidente che la comunicazione, proponendosi come mediatrice del comportamento, rimanda alla problematica del potere.
La parola potere, nella sua accezione usuale, profila la possibilità per il suo detentore di assumere un comportamento esente da costrizioni.
Ma significa anche che chi esercita il potere intende ottenere che chiunque vi è sottoposto adegui il suo comportamento ai "desiderata" del detentore del potere. Ciò naturalmente può avvenire tramite:
Analizziamo nel dettaglio questo enunciato.
Poco vi è da dire sulla coercizione. L’uso della forza come mezzo di persuasione rientra nei canoni organizzativi di associazioni di tipo mafioso o teppistico che intendono imporre con la sopraffazione ed il sopruso il proprio punto di vista al prossimo, al fine di realizzare un tornaconto economico o , più semplicemente per trasgredire all’ordine sociale.
Le società più progredite riconoscono l’esercizio della coercizione come mezzo espressivo del potere esclusivamente allo Stato che ne è il detentore assoluto.
Nel processo comunicativo la coercizione si presenta come un ordine imperativo, diramato attraverso una informazione trasmessa a mezzo di comunicazione sia verbale, che non verbale di tipo cognitivo (elaborazione razionale e circostanziata) o strumentale.
Sulla persuasione vi è da fare una distinzione di ordine psicologico. Si tratta, infatti, di osservare che altro è convincere, altro è persuadere.
Per convinzione si intende una spiegazione razionale che avviene tramite una comunicazione verbale di tipo cognitivo o strumentale, organicamente strutturata. Viene recepita dal ricevente come necessaria ed omologata come affine ai propri fini ed interessi. Il comportamento del ricevente ne conferma la validità espressiva. Ne sono esempi tutti i messaggi e le informazioni di tipo scientifico.
La persuasione, al contrario, si sostanzia nella emissione di una comunicazione di tipo verbale o non verbale a prevalente contenuto emotivo o espressivo che sfocia nella suggestione. L’interlocutore aderisce alla volontà ed agli interessi manifestati dall’emittente non perché convinto della bontà del contenuto del messaggio, ma perché abbagliato ed influenzato dai riflessi emotivi e/o sentimentali dell’evento. Si possono citare a riguardo tutte le situazioni sia visive che verbali come spettacoli teatrali, musicali, mostre di arti figurative ecc…
La persuasione ha rappresentato fin dagli albori della storia del pensiero un elemento imprescindibile della metodologia scientifica. Chiunque abbia alcunchè da comunicare si sforza di farlo nei termini più convincenti in rapporto agli strumenti culturali in suo possesso. Ma questi sono solo fattori, per così dire, esteriori che permettono di modulare le tecniche di espressione della comunicazione, ma nulla o quasi ci dicono in merito alle possibilità di modificare il comportamento degli interlocutori.
L’avvento della psicologia scientifica ha consentito la elaborazione teorica di tecniche di persuasione dimensionate: le une sullo studio dei bisogni umani, le altre sulla dissonanza cognitiva.
LA STRATIFICAZIONE DEI BISOGNI.
I bisogni si prestano a diverse possibilità di studio a seconda che si tratti di indagare situazioni legate alla vita dell’individuo, di gruppi o di organizzazioni.
Particolare rilevanza rivestono i bisogni funzionalmente legati alla organizzazione di strutture industriali, commerciali, di istituzioni pubbliche e private, di associazioni culturali, sportive, sindacali ecc..
Di tutte le analisi proposte quella di Maslow configura una sintesi sufficientemente rappresentativa ed omogenea. E’ opportuno, pertanto, darne un resoconto sommario.
Maslow dispone i bisogni psicologici in una scala gerarchica a piramide nella quale il primo stadio è rappresentato dai bisogni fisiologici che sono i più immediati ed universali. (vestirsi, nutrirsi, riprodursi ecc..)
Al secondo gradino si collocano i bisogni di sicurezza. Una volta assicurata la soddisfazione dei bisogni primari l’attenzione e l’interesse degli associati si concentra sulla soddisfazione del bisogno di garantire all’organizzazione quel minimo di sicurezza necessario per garantire un ordinato sviluppo dell’ attività programmata.
Man mano che si progredisce nella scala dei valori aumenta il contenuto qualitativo dei bisogni. Al terzo gradino della piramide emerge, dunque, il bisogno di appartenenza. Ogni soggetto del gruppo è motivato da un sentimento di solidarietà con gli altri individui che lo costituiscono. La comunanza degli obiettivi funge da fulcro attorno al quale si coagulano azioni materiali e sentimenti. Sentirsi parte di una organizzazione, pur nella distinzione dei ruoli, spinge l’individuo, adeguatamente sollecitato dal management, ad esprimersi al massimo delle sue possibilità.
Appartenere ad un team che si pone obiettivi di assoluto prestigio nel suo settore lavorativo accende nell’individuo un forte desiderio di stima. Non gli è sufficiente un generico riconoscimento e l’ accettazione delle sue qualità, ma desidera conquistarsi la considerazione, l’apprezzamento e la stima degli altri membri del gruppo.
Al vertice della piramide troviamo i bisogni di autorealizzazione. Per completare il percorso di consolidamento della professionalità acquisita in ogni campo dell’agire umano, soprattutto nelle società post-industriali, l’individuo "sente" il proprio apporto psico-fisico alla realizzazione degli obiettivi come indispensabile. L’autorealizzazione è il coronamento degli sforzi profusi per l’affermazione della propria personalità. (fig.5)
Fig.5 - PIRAMIDE DEI BISOGNI DI MASLOW
LA DISSONANZA COGNITIVA
La teoria della dissonanza cognitiva è stata elaborata dallo psicologo Festinger e ha una valenza universale. Serve a giustificare il comportamento e le scelte degli individui umani e degli animali.
Festinger sostiene che due elementi cognitivi sono dissonanti se, considerati singolarmente, l’uno è il prodotto necessario del contrario dell’altro. Sono invece in assonanza se un elemento è la diretta conseguenza dell’altro.
Elemento cognitivo per Festinger è ogni cosa od evento che possa formare oggetto di elaborazione cognitiva a livello di sistema nervoso centrale.
Vi sono una infinità di circostanze e situazioni che evidenziano la presenza di elementi cognitivi di dissonanza, rispetto a scelte ed atteggiamenti :
- Attivazione di meccanismi di difesa delle proprie tesi ,
- Ridimensionare l’importanza dell’interlocutore,
- Smussare i più acuti contrasti,
- Fare opera di proselitismo a favore della propria causa, irrobustendone con il numero dei consensi la forza.
- Cambiare opinione, riconoscendo la validità delle proposte altrui.
GRUPPI DI INCONTRO
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