Speranza nel ritorno

PALESTINA

Di Mohammad ALKILANI


Da qualunque punto si voglia iniziare a parlare di Medio Oriente ci si trova comunque immessi in un percorso che porta obbligatoriamente al problema principale della regione, costituito dalla questione palestinese, e qualunque tentativo di normalizzazione dell’aria medio orientale che eluda la soluzione equa e giusta di questo nodo fondamentale è destinato necessariamente al fallimento.

L’essenzialità e predominanza della questione palestinese è un fatto oggettivo che ha la sua base in vari fattori anch’essi oggettivi che prescindono dalle necessità politiche o le analisi filosofiche.

Una cruenta guerra e guerriglia con il suo seguito di sangue e morte è un elemento oggettivo che nasce dallo scontro tra due campi opposti determinati a ottenere ciò che credono o che comunque vogliono sia un diritto inalienabile. La realtà di milioni di profughi palestinesi ammassati nei campi messi su dagli organismi internazionali in cui una enorme massa umana vive negli stenti su una terra che non gli appartiene laddove la propria è sotto occupazione, guardati con sospetto ed alle volte poco tollerati da una popolazione, pur appartenente allo stesso gruppo etnico, vede in quella presenza un presagio di un futuro difficile ed una difficile possibilità di inserimento nel tessuto locale già di per sé fragile e in precario equilibrio socio economico. Una sensazione di frustrazione e di impotenza che nasce dal tempo che passa a vedere i propri figli con una scarsa prospettiva di vita sociale progredita e una prospettiva di sviluppo culturale ampiamente negato se non in piccole dosi e con enormi sacrifici che pochi riescono a compiere.

Un grande sentimento nazionale soffocato dalla lunga occupazione militare o dall’essere ospiti, poco graditi dai paesi fratelli che a loro volta sentono la necessità di una soluzione ad un problema che volenti o nolenti condiziona enormemente un fisiologico sviluppo sociale ed economico e costituisce di per sé un elemento di instabilità sociale e politica che frena un normale sviluppo di una democrazia partecipata.

E’ un elemento oggettivo che siamo di fronte ad uno stato - Israele – creato dal nulla, sulle terre di coloro che sono costretti a vivere in quei campi profughi colmi di disperazione e miseria, legittimato da coloro che hanno vinto la guerra e per questo si sono attribuiti il diritto di colonizzare altre popolazioni ed altre terre colpevoli di avere sotto il loro suolo risorse che i vincitori considerano strategiche e vitali per se stessi e di abitare territori strategici che il vincitore si è attribuito il diritto di controllare. Ma ciò che caratterizza questa nascita è il senso di colpa nei confronti di un popolo – quello ebraico – che ha subito un Olocausto sotto gli occhi dell’Occidente che in quella occasione si è bendato gli occhi e si è tappato le orecchie lasciando che milioni di esseri umani subissero la morte nei lager e ne campi di sterminio salvo dopo mettersi la coscienza apposto pagando il prezzo del misfatto con i soldi altrui, la Palestina, assurta a pegno da corrispondere a coloro che hanno subito quell’orrendo crimine concepito e consumato in occidente ma le cui conseguenze sono pagate da coloro che nulla hanno avuto a che fare con quel crimine.

L’altra sponda del Mediterraneo ha bisogni di pace, di sviluppo economico e di sviluppo sociale che è impedito da una situazione conflittuale pesante voluta e sostenuta dal mondo sviluppato, dall’Occidente che nulla fa per risolvere limitandosi alle enunciazioni di principio e salvo la routinaria presa di posizione ed esecrazione delle violenze che macchiano la terra della Palestina e degli altri paesi della regione.

L’ipocrisia del non intervento è un fatto oggettivo che si manifesta quando poderosi eserciti vengono mossi per liberare un Kuwait occupato facendoci venire il sospetto che ciò viene fatto per gli stessi interessi che hanno determinato la occupazione coloniale di recente memoria e per il controllo delle fonti energetiche che vengono malcelati dalle enunciazioni della volontà di portare democrazia e libertà, non tanto con il pensiero e l’esempio, ma con i missili intelligenti ed i carri armati furbi.

La pace lungo le sponde del Mediterraneo è una necessità vitale per tutti popoli che ci si affacciano e comporta un profondo esame di coscienza ed una correzione di rotta rispetto a quanto è avvenuto fino ad oggi. E’ indispensabile riparare i guasti che la politica coloniale ha creato e la cui conseguenza è sotto i nostri occhi, la paghiamo noi oggi come hanno pagato i nostri predecessori e che rischiano di pagare i nostri figli.

Non vi sono altre strade e non ci sono scorciatoie, la via maestra è quella di stabilire un rapporto corretto tra pari e garantire pari dignità a tutti i popoli della regione evitando che gli appetiti economici ed egoistici portino verso le strade già percorse in modo scellerato fino ad oggi perché le conseguenze possono essere solo catastrofiche alimentando il terrorismo, figlio della disperazione e della frustrazione e facendo crescere il terreno fertile dove prospera la violenza e la morte. La pace prospera solo nella giustizia e la pace porta benessere e prosperità.



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