Editoriale
MEDITERRANEO: PERIFERIA DEL TERZO MILLENNIO?

di Pino ROTTA

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Non siamo stati, purtroppo, cattivi profeti due anni fa quando uscimmo con il nostro speciale "Mediterraneo: mare di incontro". In quelle analisi che abbiamo pubblicato i venti di guerra già si facevano avanti portandosi dietro i presagi di un’angoscia diffusa che oggi è diventata realtà. Un’angoscia che non è solo il frutto della visione di una parte del Mediterraneo e del Medio Oriente, sempre più teatro eventi di giorno in giorno sempre più drammatici e folli, ma anche di una sorta di blocco psicologico che si è esteso nella coscienza collettiva europea afflitta dalla consapevolezza che la situazione di crisi politica internazionale, che tocca da vicino ognuno di noi, è destinata a diventare una realtà con cui convivere per chissà quanti anni ancora.

E’ lo spazio che si chiude attorno a noi tutti, mentre ad Est dell’Europa si abbattono muri e si allargano i mercati a Sud tutto sembra destinato a soccombere sotto il fuoco premeditato delle armi americane ed israeliane e delle bombe assassine del terrorismo. Per i paesi che hanno nel mare lo sbocco, non solo commerciale ma anche culturale, la chiusura dello spazio rappresenta il soffocamento di ogni progetto di futuro. Non si può immaginare di mantenere e valorizzare le proprie radici culturali quando anche il solo spostarsi da un paese all’altro diventa fonte di preoccupazione per i pericoli che si corrono. Questa angoscia sta investendo la sfera del privato di ognuno di noi. La maggior parte degli italiani, impauriti, si rifugiano nei talk show che offrono sentimentalismo a basso prezzo. Il ruolo stesso degli individui si è come rifugiato in un ancestrale regresso uterino, in cerca di certezze e protezione. Come diceva Leonardo Sciascia: "La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini". Bush e Sharon sottoscrivono.

In questa situazione anche la progettazione di eventi culturali di portata storica internazionale come le Olimpiadi, che quest’anno tornano alle origini sul suolo della Grecia, diventa la progettazione di eventi sportivi blindati, dove la presenza di guardie armate e sistemi di difesa antiterrorismo prevale sull’immagine della gara olimpionica simbolo di pace per eccellenza.

Allora ci si chiede quale può essere oggi, in questo contesto, il significato di integrazione e contaminazione sociale e culturale. Ci si chiede se lo scontro tra l’occidente, individuato sempre più con la politica aggressiva degli Stati Uniti d’America, e mondo islamico, che nella realtà della cronaca quotidiana è rappresentato ormai quasi esclusivamente dall’immagine del terrorista pronto a seminare morte e sgomento, siano l’unica realtà con cui realisticamente ci si deve abituare a convivere.

Fino a pochi anni addietro l’Europa si proponeva al mondo come elemento di coesione tra questi due mondi, con il suo ruolo di mediazione culturale, politica ed economica. Con la guerra in Iraq dello scorso anno (che drammaticamente continua ancora oggi) questa funzione dell’Europa è stata sospesa per chissà quanto tempo. Lo stesso allargamento ad Est dell’Europa pone all’ordine del giorno problemi che allontanano gli interessi dal Mediterraneo, anche se dalle dichiarazioni dei vari governi, soprattutto quello italiano, non si evince questa volontà essa è un dato di fatto.

L’allargamento ad Est dell’Europa offrirà ai paesi più forti dell’Unione, a cominciare dalla Germania ma anche all’Italia, occasioni di investimenti economici e sforzi industriali tali che il Sud diventerà assolutamente marginale per gli interessi europei. Tutto questo è solo cominciato, gli effetti già si vedono e si vedranno nei prossimi anni e saranno effetti drammatici nella civiltà, nella cultura e nell’economia soprattutto dei paesi, come Italia, Spagna, Francia e Grecia, che hanno una vocazione storica radicata nel Mediterraneo. Può sembrare esagerato ma questo è un momento storico che si può ben paragonare ai grandi momenti del passato, guardando ai secoli dal 1600 al 1800 in cui lo spostamento degli interessi commerciali passarono dal Mediterraneo all’Atlantico spostando da sud a nord il centro di gravità del progresso economico e sociale. Oggi si sta avverando un allargamento di quell’ottica "atlantica" che sposta gli interessi occidentali non più a nord ma ad est. Si sta allargando, con la caduta dei regimi comunisti l’influenza anglosassone verso Est in un grande asse che andrà da New York a Mosca passando a nord del 38° parallelo. Per consolidare questi interessi ci vorrà tempo, alcune decine di anni forse, nel frattempo è funzionale a questi interessi mantenere una situazione di crisi e di destabilizzazione dell’area che dal Mediterraneo va fino al Golfo persico.

Questa situazione è da considerare irreversibile? Forse, se si consoliderà la politica dell’attuale amministrazione americana, non sarà possibile mutare questo destino. Quand’anche cambiassero le scelte americane (con la sconfitta di Bush alle prossime elezioni) ci vorranno anni per recuperare quanto di costruttivo era stato fatto dall’Europa nel senso opposto. Certo alcuni anni non sono alcuni decenni, quindi è auspicabile che questa situazione cambi il più presto possibile.

Un’Europa che estende i suoi interessi, non solo economici, a Sud del Mediterraneo, sarebbe la vera novità del secolo appena cominciato. Accanto all’Unione Europea, si stava profilando la nascita dell’Unione Africana, sotto la spinta lungimirante della Libia di Gheddafi. Due realtà politiche di queste dimensioni ed importanza politica ed economica necessariamente diventerebbero un nuovo centro di polarizzazione degli interessi mondiali. Di un mondo in cui una visione di collaborazione multilaterale si contrappone a quella monopolistica degli Stati Uniti d’America e farebbe prefigurare tre grandi aree di interesse politico ed economico: quella euro-africana, quella asiatica (con un ruolo centrale della Cina, "vaccinata contro la SARS") e quella nordamericana. Con un altro risultato tutt’altro che secondario, la possibilità di nuovi interessi ed assetti politici nei paesi del Centro-Sud America.

Letta attraverso quest’ottica forse appare più chiara la moltitudine di disastri economici e militari a cui stiamo assistendo da due anni a questa parte, a cominciare dalla crisi argentina (con il corollario ancora tutto da scoprire del ruolo svolto dai finanzieri d’assalto del tipo Cirio e Parmalat), alla guerra in Iraq, alla infinita tragedia che stanno vivendo i popoli di Palestina e di Isreale.

Ma la ruota è in movimento ed il destino delle nazioni è nelle mani degli uomini. Davanti a tutto questo è evidente che è interesse di paesi come l’Italia favorire una politica di assetto multilaterale degli equilibri mondiali e progredire verso uno sviluppo dell’asse euro-africano. Ma oggi la politica del Governo italiano non va in questa direzione (seppure ci siano, ad onor del vero, spinte in tal senso di alcune forze politiche della maggioranza di governo, come ad esempio i socialisti di De Michelis, che però rimangono deboli ed irrilevanti) poiché questo Governo si è appiattito sulle posizioni dell’amministrazione Bush. Non resta che sperare in una nuova capacità dell’Unione Europea, che tra poco rinnoverà il suo Parlamento, ma ad oggi l’unico paese veramente interessato a realizzare questo ribaltamento strategico è la Francia, che nel Nord-Africa e nel Medio Oriente ha grossi interessi economici ed una tradizione di integrazione culturale centenaria. Poco, troppo poco per sperare che la Francia da sola possa invertire l’attuale situazione. Senza il contributo di paesi come l’Italia e la Spagna (che hanno già pagato un immenso tributo di sangue alla logica biblica "occhio per occhio dente per dente") il destino dell’Unione Europea è rivolto ad Est ed il Mediterraneo potrebbe rimanere per molto tempo ancora un teatro di guerra e di terrore.



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