MEDITERRANEO: LA GENESI E LA STORIA

Di Ezio SAGRIPANTI


La nozione storiografica di Mediterraneo come spazio geografico e culturale integrato è generalmente associata, nella tradizione europea, allo svolgimento della storia antica e segnatamente alla fase imperiale di Roma.

È forse eccessivo attribuire alla civiltà romana la genesi stessa di questa nozione: una prima integrazione politica del Mediterraneo si verifica in effetti con Alessandro Magno e l’Ellenismo ed in precedenza con la colonizzazione greca dell’Asia Minore, dell’Italia e della Francia meridionali; tuttavia lo scarto che separa l’Ellenismo dall’età della Magna Graecia è notevole perlomeno sotto il profilo dell’estensione territoriale e della realizzazione di una più alta sintesi culturale che trascende le identità dei singoli popoli del bacino per dar vita ad una civiltà cosmopolita, largamente influenzata dall’Oriente per il tramite del mondo persiano.

Con Augusto, Nerva e Traiano la Roma imperiale allarga lo schema alessandrino all’Africa settentrionale ed all’Europa occidentale, raggiungendo la sua massima estensione nel 117: la nuova formulazione del Mediterraneo, inclusiva di una più ampia e variegata congerie di civiltà, fornisce la base geografica di un impero vieppiù caratterizzato dal multiculturalismo sebbene sempre orientato al dualismo politico tra l’area occidentale di prevalente lingua latina e l’area orientale tendenzialmente grecofona.

La presunta identità tra Impero e Mediterraneo ha portato per lungo tempo a dedurre dalla decadenza del primo la crisi del secondo, lungo un dibattito che ha di volta in volta spostato la datazione della fine di Roma in base ai diversi fattori esaminati dalla storiografia: crisi economica, invasioni barbariche, penetrazione e successiva istituzionalizzazione del cristianesimo (313), deposizione dell’ultimo imperatore occidentale, Romolo Augustolo (476). La storiografia del XX secolo propone quindi la celebre tesi dello storico belga Henri Pirenne (1862 – 1935), che connette la fine del Mediterraneo come mezzo di comunicazione e scambio alla diffusione dell’Islam e ne posticipa dunque la crisi al VII secolo.

La rottura del nesso tra Mediterraneo e Roma rinvia altresì all’alba di un Medioevo che vede mutare radicalmente la natura del bacino: dal V secolo in avanti la frammentazione politica del Mediterraneo conduce ad una marcata separazione tra Impero d’Oriente e regni romano-barbarici; questa si interseca peraltro con una ciclica contrapposizione religiosa tra le due sponde che si può far risalire all’occupazione araba della Penisola iberica (711-714) e che trova nei successivi scontri in terra francese (Poitiers, 732 o 733) nonché nell’età delle crociate i suoi momenti più aspri.

Ad un opposto estremo temporale, il tramonto del Medio Evo porta con sé nuovi fattori di crisi politica e depressione economica: la caduta di Costantinopoli e la conseguente espansione del mondo ottomano ribadisce con forza la natura di limes politico e religioso ormai acquisita dal Mar Mediterraneo, creando le premesse per una sua ennesima conversione in campo di battaglia; la di poco successiva spedizione di Colombo crea quindi i presupposti per una ulteriore contrazione dei traffici dopo quella provocata dall’avvento dei Turchi e sposta il baricentro economico europeo sulle coste dell’Atlantico.

Nei secoli successivi il Mediterraneo diviene oggetto delle controverse spinte geopolitche delle nazioni europee, in un intrico di interessi divergenti che nel secondo Ottocento oppone tra loro gli imperi ottomano, zarista, austroungarico e le nazioni europee, in primis Gran Bretagna e Francia. La penetrazione europea in Africa Settentrionale, lo sgretolamento dei tre imperi verificatosi alla fine della Prima guerra mondiale, la rivoluzione bolscevica in Russia e quindi il sorgere di una pluralità di formazioni statali quantomeno instabili nell’area balcanica moltiplicano i conflitti nell’area fino al culmine della Seconda guerra mondiale: il nuovo scenario bellico trasforma il bacino in un fronte periferico sul quale si fronteggiano le logiche imperialistiche ed espansionistiche di ipertrofici stati-nazione, dilaniati al proprio interno da una non meno feroce guerra ideologica ed civile.

Se la guerra fredda ribadisce la natura marginale dell’area in relazione al bipolarismo mondiale, la crisi del Socialismo reale e l’invenzione dell’Unione europea aprono il Mediterraneo a nuove prospettive: la questione arabo-palestinese, gli squilibri demografici che caratterizzano le due sponde ed i conseguenti flussi migratori ripropongono per un verso la problematica di uno specifico interesse Mediterraneo non dissociabile dalla politica estera europea; per contro, l’ultima ondata terroristica e l’estremismo islamico riesumano il vecchio concetto di Mediterraneo come luogo di separazione. L’apertura dell’Unione europea alla Turchia – e la sensata rinuncia a definire come ebraico-cristiane le radici culturali dell’Europa - lascia sperare che nel medio termine la prima opzione possa risultare vincente; deve però osservarsi come sino ad oggi l’Europa si sia troppo spesso appiattita sulle posizioni di un asse "carolingio" – cioè franco-tedesco - certo più sollecito nei confronti di un allargamento ad est, anche (o forse essenzialmente) in ragione della debolezza politica e propositiva delle nazioni dell’area mediterranea.



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